Trieste manifestazione No green pass
Trieste manifestazione No green pass ottobre 2021

 

 

di Miguel Cuartero Samperi

 

 

Non sono un estimatore degli scioperi, ma ci sono dei momenti storici in cui per i lavoratori “incrociare le braccia” diventa l’unico modo di far sentire le proprie ragioni al datore di lavoro che, bisogna tenerlo sempre a mente, ha sempre il coltello dalla parte del manico.

Non sono un estimatore degli scioperi (un diritto sancito dalla Costituzione, art. 40, e regolato dalla Legge146/1990) perché le derive sono dietro l’angolo e i forconi non sono mai stata una soluzione. Se lo sciopero diventa un arma per “girare il manico” e metterlo in mano al lavoratore, si capisce che il problema non si risolve, anzi la situazione è destinata a diventare presto incontenibile. L’abuso di sciopero porta a situazioni di blocco che ledono le aziende e i lavoratori stessi nonché l’efficacia del servizio offerto, sia quale sia. Così succede ad esempio coi trasporti pubblici che diverse volte all’anno si bloccano per sciopero mettendo in ginocchio le grandi città senza che (a quanto pare, viste le recidive) si ottengano i risultati auspicati.

Se lo sciopero è per i padroni un arma di sovversione dell’ordine costituito, per i lavoratori è spesso l’estrema ratio quando il dialogo è impossibile e dall’altra parte si alza un muro. Di certo però non tutti possono scioperare. Innanzitutto per il motivo già detto: mettersi “contro” il proprio datore di lavoro vuol dire spesso segnare la propria carriera o complicarsi irrimediabilmente la vita lavorativa. Quindi un autogol non auspicabile perché ci si rende bersaglio di misure disciplinari o di politiche interne alle aziende.

C’è poi la necessità di una protezione legale, e quindi di appartenenza ad un sindacato ma anche di agire in un gruppo numericamente considerevole in modo da incidere in misura sufficiente sulla produzione o la prestazione del servizio offerto. Se non si danno queste condizioni, lo sciopero è una opzione da non considerare. È per questo che i cosiddetti “scioperi generali” non possono che riguardare solo alcune categorie di lavoratori che abbiano le coperture legali e lavorative necessarie.

Così succede per i professori, gli impiegati statali i comunali. Così sta avvenendo con i portuali di Trieste e di Genova e coi camionisti che si oppongono al green pass obbligatorio. Anche perché il confronto, oggi, è tra i lavoratori e uno stato-padrone che con misure che ledono la dignità della persona, la sua autonomia e il suo diritto al lavoro nonché applicando a piacimento deroghe alla Costituzione, obbliga i cittadini a munirsi di vaccino o tampone per accedere al lavoro.

Quindi lo sciopero, come estrema ratio, può servire, ma solo se messo in atto da alcune categorie che possono avere un peso specifico nei confronti della propria azienda o dello stato (uno sciopero di librai ad esempio, farebbe solo sorridere, figuratevi uno sciopero di un solo libraio: potrà tranquillamente accomodarsi alla porta). Il fatto che lo sciopero divenga una azione inutile e addirittura dannosa per chi lo mette in pratica se non ci sono le suddette condizioni, ha dato spazio alla pratica estrema degli “scioperi della fame”, perché un suicidio annunciato o tentato, può certamente fare notizia.

Bisogna però tener conto anche dei media che mai come oggi sono saldamente al fianco del governo in una perfetta unità di intenti. Da due anni infatti i mezzi di comunicazione pubblici e privati si sono adeguati alla narrazione governativa diventando a tutti gli effetti organi di propaganda statale. Ogni voce discordante (sia essa di gente comune o di professori universitari, medici o filosofi) viene silenziata o ridicolizzata.

Così è stato con le numerosissime manifestazioni che negli ultimi mesi si sono svolte in tutta Italia. Ignorate completamente dai media, derubricate come miserevoli flop oppure (come nell’ultima grande manifestazione che ha riempito piazza del Popolo a Roma) segnalate come piazze violente a causa dei disturbi creati da alcuni manifestanti. Questo è necessario segnalarlo perché anche uno sciopero generale che metta in difficoltà il paese potrebbe benissimo (e di fatto sta succedendo) venir anestetizzato dai media, dipinto come una azione irresponsabile e i suoi protagonisti come degli idioti (sono apparsi articoli che denigrano il linguaggio dei portuali di Trieste, comunemente definiti “scaricatori di porto”. Ma di gente che non sa parlare italiano, se questo conta, ne abbiamo pieno il Parlamento).

In questo momento storico, lo sciopero di queste categorie di lavoratori può aiutare tutti coloro che, impossibilitati a scioperare, subiscono la pressa dello stato-padrone con la complicità delle aziende pubbliche e private (c’è infatti un certo entusiasmo da parte delle aziende nel provvedere solertemente al controllo del green pass in ottemperanza alle leggi vigenti). Scrive Riccardo Cascioli sulla Nuova BQ: «I portuali di Trieste potrebbero essere quel granello di polvere che blocca l’ingranaggio di quella macchina infernale messa in moto dal governo».

Se dunque mettere in ginocchio il paese è l’unico modo di cercare di far valere le proprie ragioni e mostrare il disagio creato dal governo con l’appoggio del presidente Mattarella, ben venga. Forse i portuali di Trieste e di Genova non passeranno alla storia, ma il loro coraggio li ha fatti entrare di prepotenza nella cronaca, anch’essa sanificata e regolata dai media di stato.

Resta il fattore politico che sembra invalicabile: Mario Draghi ha le spalle ben coperte (da Mattarella e dall’Europa). Il rischio di mettere in ginocchio il paese non lo preoccupa affatto mentre una crisi politica sembra altamente improbabile (con Salvini e Berlusconi ai suoi piedi per non venir esclusi dalla scena politica). Linea dura, pugno di ferro, intransigenza. «Niente rinvio dell’obbligo e niente tamponi calmierati: Draghi va avanti sulla sua linea», titola il Corriere della Sera. Il Governo non ha nulla da perdere, la strategia della paura, dei divieti e della tensione ha provocato un’impennata delle somministrazioni dei vaccini (questa la malcelata ratio della legge sull’obbligo del green pass). Per piegare coloro che resistono gli basterà un decreto di proroga che rimandi la fine dell’emergenza. Difatti non è la scomparsa del virus ma la scomparsa dello stato di emergenza che ci potrebbe far tornare alla normalità.

 

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