Genetic brain disorders, conceptual 3D illustration. Mutations in the DNA leading to brain diseases. Neurogenetics, neurodegenerative disorders

 

 

di Massimo Lapponi

 

Il quadro che abbiamo delineato, fondato su dati certi e non su sole ipotesi, è certamente molto inquietante. Ma vi è un aspetto della questione che quanti intendono realizzare il controllo sociale, portato alle sue ultime conseguenze, sembrano non tenere in considerazione. L’idea che la vita psichica dell’uomo sia sostanzialmente determinata dai suoi elementi fisico-biologici non è in fondo che un lascito della concezione positivista e materialista che ha dominato la scienza per lungo tempo, ma che ormai incomincia a vacillare. Proprio, dunque, questo affidarsi ad un’improbabile concezione meccanicistica della vita psichica costituisce il punto debole del loro progetto.

Ovviamente l’elemento fisico-biologico gioca una ruolo importante nel comportamento umano, ma tuttavia sarebbe azzardato affermare che esso lo determini in modo sostanziale.

È apparso recentemente un autorevole articolo scientifico del biologo Bruce Lipton, dal titolo “Biologia della convinzione”, “Biology of belief”[1], secondo il quale non è il DNA a determinare sostanzialmente ciò che noi siamo, ma è il nostro elemento psichico a determinare anche il nostro essere organico. 

Secondo l’autore dell’articolo, l’idea che noi siamo in qualche modo determinati dalla struttura del nostro DNA ci deresponsabilizza. “Non posso farci niente” pensiamo, “quindi perché provare?”. «In realtà» scrive Lipton «sono le nostre convinzioni che selezionano i nostri geni, che selezionano il nostro comportamento». Ed egli mostra come una cellula funzioni indipendentemente dal DNA e come, anzi, la sua percezione degli stimoli ambientali influenzi il DNA. Lo stesso avviene al corpo umano nel suo insieme: le nostre personali percezioni e convinzioni hanno un potere determinante sul DNA.

Se questo rovesciamento di prospettiva mette in crisi lo stadio più avanzato del progetto di controllo sociale, cioè l’intervento diretto sul DNA e sulle nostre funzioni biologiche, tanto più esso potrebbe rendere problematica l’efficacia degli interventi indiretti, cioè i condizionamenti del nostro comportamento ottenuti mediante la pressione economica, fiscale, culturale, propagandistica e mediatica. Nei confronti di questa pressione la vita psichica non reagisce meccanicamente, ma la reazione è necessariamente filtrata attraverso la nostra percezione, le nostre convinzioni, la nostra attività cosciente e riflessiva.

Ovviamente il controllo sociale ha cercato, attraverso i decenni, di scalzare sempre più l’indipendenza della nostra attività riflessiva e di determinare, in tal modo, la qualità delle nostre percezioni. Ma, se questa operazione ha avuto la sua efficacia, essa non ha però agito in modo meccanico e determinante. La nostra coscienza, infatti, avrebbe sempre avuto la possibilità di filtrare gli stimoli esterni attraverso un’attività cosciente indipendente, come in realtà per molti che non si sono lasciati influenzare è effettivamente avvenuto.

Un fatto che ha contribuito in modo determinante a indebolire l’indipendenza della nostra coscienza è stato proprio la deriva di un certo progressismo teologico, che, come abbiamo detto, ha creduto di dover abbandonare l’impegno ascetico e morale tradizionale per concentrarsi in un’azione sociale sganciata da quei presupposti spirituali che per secoli la Chiesa aveva sempre difeso. In tal modo, senza prevederlo, il progressismo impoveriva la nostra vita cosciente e la esponeva ad un sempre più invasivo controllo sociale.

Ma in realtà l’inaridimento della vita spirituale e il conseguente indebolimento della libertà interiore di fronte agli stimoli esteriori e alienanti ha una storia molto più lunga. La cultura moderna, quale si è andata organizzando almeno dal secolo XIX, e la scuola che di essa è espressione contenevano già le premesse per un sostanziale indebolimento della vita intima della coscienza umana.

Più di un secolo fa l’illustre pedagogista Friedrich Wilhelm Förster (1869-1966) osservava che le nostre scuole superiori e le nostre università sono anche i maggiori centri di corruzione sessuale della gioventù. In tutta la sua opera – che purtroppo è rimasta inascoltata e dimenticata – egli pone la civiltà moderna davanti a un bivio: o la scuola si impegnerà in modo nuovo a creare una “civiltà dell’anima”, indirizzando la gioventù a coltivare le proprie forze spirituali superiori della coscienza e dell’amore, oppure tutto il formidabile impegno degli anni di istruzione sarà rivolto massicciamente ad una formazione puramente intellettuale, estranea alla vita dell’anima, per rendersi padroni delle energie della natura, messe a disposizione da una tecnica in continuo sviluppo, al fine di soddisfare desideri di godere, di possedere, di autoimporsi che diverranno sempre più insaziabili. Nel secondo caso l’uomo, credendo di elevarsi al di sopra della natura, in realtà diverrà sempre più lo schiavo della natura inferiore che è in lui, mettendo al suo servizio le proprie energie spirituali e causando così in tutta la società una degenerazione morale – e non solo morale – priva di qualsiasi limite.

Il richiamo del Förster a rinnovare profondamente la scuola, perché essa non si facesse complice della degenerazione non solo morale, ma anche fisico-biologica della gioventù è rimasto purtroppo inascoltato. Anzi, la scuola negli ultimi decenni ha accentuato maggiormente il suo indirizzo tecnico e nozionistico, abbandonando sempre più quei contenuti umanistici che, se pure in modo indiretto, avevano una relazione con la vita dell’anima. Con lo scopo di preparare la gioventù prevalentemente, se non esclusivamente, al moderno mondo del lavoro, essa di fatto avviava tutte le energie spirituali della gioventù a servire gli impulsi dei desideri e degli istinti, anziché a dominarli con una vigorosa e superiore autocoscienza.

Dalla lezione del Förster avevamo già ricevuto lo stimolo per un ripensamento del ruolo della Regola di San Benedetto nella società di oggi. Il santo di Norcia, infatti, un millennio e mezzo prima del Förster aveva fatto una critica analoga alla scuola del suo tempo, incapace di formare una gioventù moralmente sana. Ma la critica di San Benedetto non era stata formulata a parole, bensì con l’esempio della sua stessa vita. Appena avvertiti i tragici effetti di una scuola inadeguata, il giovane Benedetto era fuggito da essa e, sotto la guida dell’ispirazione divina, aveva infine creato una vera scuola alternativa: la scuola del servizio divino, delineata dalla sua Regola. Dalla considerazione che un’alternativa valida ad una scuola difettosa non poteva essere riservata a pochi individui speciali, ma doveva essere estesa a tutti, era nato il progetto di riversare a piene mani le ricchezze dell’insegnamento di San Benedetto nella moderna società. Questo progetto era stato illustrato in molti interventi, tra gli altri in un articolo dal titolo “San Benedetto e la purificazione dell’economia”, nel quale si richiamava la testimonianza dell’economista Barbara Ward (1914-1981), il cui pensiero concordava sorprendentemente con quello del Förster – vedi.   

Ma in seguito ad una successiva riflessione, al magistero di San Benedetto è apparso necessario aggiungere quello di Sant’Ignazio – che del resto ha avuto legami profondi con la vita benedettina, dalla sua memorabile veglia davanti alla Madonna Nera nel monastero di Montserrat al suo successivo ritiro di quasi un anno nella solitudine di Manresa (1522-1523).

In un articolo precedente avevo accostato la purificazione interiore a cui ci conduce, come esigenza primaria, la scuola alternativa di San Benedetto al digiuno di quaranta giorni di Cristo nel deserto, in preparazione alla sua missione, con queste parole, chiaramente ispirate al Förster:

«Le tentazioni di Cristo nel deserto esprimono in modo mirabile lo spirito di questa purificazione: già l’allontanamento dalla società umana e da tutti i diletti sensibili è un segno molto eloquente della strada che Gesù vuole insegnarci, perché, attraverso la rinuncia, acquistiamo il vero amore, il vero dominio sul mondo e la vera dignità. Infatti, senza questa profonda purificazione, solo apparentemente l’uomo è libero di amare, di dominare e di farsi valere: in realtà egli non domina, ma è dominato dalla natura che abita in lui e che in lui diviene cosciente di sé, ma non per questo, come si è osservato, si sottomette al suo spirito. Anzi, assurgendo al mondo dello spirito non purificato, essa lo sottomette ai propri fini. E i fini della natura sono i suoi istinti belluini, che soffocano nella carne la dignità e l’amore dell’uomo. Così, tanto più l’uomo è materialmente potente, ma spiritualmente povero, tanto più il suo apparente dominio sulle forze naturali agisce violentemente contro di lui fino a travolgerlo nella sua totale rovina».

Se riportiamo questi concetti nell’ambito del problema che prima ci siamo posti, cioè dell’indipendenza che sarebbe nostro dovere e interesse conseguire nei confronti delle diverse pressioni e condizionamenti che insidiano la nostra interiore libertà nella società moderna, dobbiamo concludere che la via maestra per non essere determinati dal controllo sociale, in tutte le sue forme, è quella indicata dal Sant’Ignazio nei suoi Esercizi.

Proprio la fretta che tutti sperimentiamo, ma che condiziona specialmente la vita dei giovani, condotti dall’uso dei moderni media a reazioni immediate ai continui stimoli, ci fa comprendere per contrasto l’importanza del tempo prolungato della riflessione, così bene illustrato dagli Esercizi ignaziani, come mezzo per acquistare la nostra libertà spirituale nei confronti degli impulsi che vorrebbero condizionarci. In questa prospettiva il mese sottratto agli impegni sociali e la concentrazione della coscienza allo scopo di non farsi determinare dalle spontanee inclinazione della natura, ma di sottomettere queste ultime alle superiori esigenze dello spirito, non significa affatto trascurare i doveri della socialità e della cristiana carità per un interesse egoistico, ma al contrario lavorare per porsi nella condizione di agire per il bene della società emancipati dai quei vincoli ingannevoli che limitano la nostra libertà per sottometterci al controllo sociale di un potere arbitrario e illegittimo.


[1] Tramite il seguente link si può scaricare un sommario dell’articolo e andare all’articolo origianle: https://www.theepochtimes.com/your-thoughts-control-your-dna-biologist_523100.html?utm_source=healthnoe&utm_campaign=health-2022-04-21-2&utm_medium=email&est=CO4pH8S1mv6qderrcJRbTYbJaWsZo6%2FpuJKQhcmREg%2Bh%2BSpw28VEhShNMi2KMW8woem9

 

Le precedenti puntate le trovate qui e qui

 


 

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