conformismo omologazione regime

 

 

di Massimo Lapponi

 

Secondo capitolo

 

Lasciamo per il momento il discorso sugli Esercizi e ritorniamo al progressismo post-conciliare. Notiamo, in questa diffusa tendenza, da una parte l’attrattiva verso i regimi del socialismo reale, visti come concretizzazione di quella giustizia sociale che la dottrina tradizionale avrebbe trascurato, e dall’altra l’indisponibilità ad accettare le regolamentazioni dell’ascetica e della morale tradizionali. Ebbe molta risonanza al suo tempo il titolo di un’opera di Don Milani: “L’obbedienza non è più una virtù”. Nelle intenzioni dell’autore – ammesso che il titolo così concepito non sia stato messo da altri – si voleva propriamente sottolineare il fatto che spesso i superiori ecclesiastici danno direttive ingiuste, e che in tal caso il suddito coscienzioso non deve rendersi complice di un’ingiustizia. Ma di fatto quel titolo divenne piuttosto un motto di insofferenza per le regole tradizionali del comportamento, un po’ come l’espressione sessantottina “vietato vietare”.

C’è una certa logica rigorosa nell’accostare l’impegno esclusivo nell’azione sociale, politica e rivoluzionaria al rifiuto dell’ascetica e dell’etica tradizionali. Queste ultime, infatti, rivolgevano l’impegno morale dell’uomo verso la propria perfezione – la salvezza dell’anima! – mentre ciò che conta è la salvezza della società. Quindi quelle regole in realtà erano soltanto un’ipocrita distrazione dal vero impegno richiesto al cristiano autentico.

Dunque alla regola, al dovere, alla legge naturale e divina si sostituisce il diritto inalienabile a far valere le proprie inclinazioni personali e la propria volontà.

Ma qui sorge un problema: le inclinazioni e la volontà degli individui, che pretendono di imporsi contro ogni regola, sono realmente espressione genuina della vita personale o non potrebbero essere, invece, facilmente manipolabili?

Questo dubbio si va diffondendo tra le persone più riflessive con la presa di coscienza di un fenomeno sempre più manifesto: il cosiddetto controllo sociale, cioè la tendenza del potere politico ad invadere la vita individuale con una regolamentazione sempre più estesa dei comportamenti, delle emozioni e delle stesse opinioni. Questo controllo sociale si è intensificato negli ultimi decenni attraverso misure sempre più invasive nel campo economico, fiscale, scolastico, ludico, sanitario, assumendo anche la forma del conformismo intollerante delle opinioni – il cosiddetto “politically correct” – nel campo della sessualità e dei cosiddetti “nuovi diritti” ad essa collegati, quali l’educazione sessuale della gioventù nel quadro della “salute riproduttiva”, l’interruzione di gravidanza, i diritti LGTB, la maternità surrogata etc. La convergenza del potere politico e del cosiddetto “quarto potere”, cioè dei mezzi di informazione ufficiali più autorevoli e diffusi, ha creato un clima di intimidazione e di censura dal volto sempre più autoritario e tirannico verso ogni opinione e comportamento che non si allinei con la regolamentazione che si vuole imporre.

Ma a questo controllo sociale, che potremmo chiamare “esteriore”, minaccia ora di aggiungersi un controllo molto più invasivo, il quale vorrebbe esercitarsi attraverso l’inserzione di nano-tecnologie nello stesso organismo umano e di avveniristi procedimenti tecnico-biologici miranti a modificare lo stesso DNA degli individui per poterne così determinare il comportamento. Questo processo di monitoraggio dello stesso organismo umano si attuerebbe attraverso obblighi sanitari, con i quali gli individui sarebbero costretti ad assumere prodotti farmaceutici, che in realtà veicolerebbero elementi di nano-tecnologia finalizzati a gestire le funzioni biologiche che determinano il comportamento umano. Il punto di arrivo di questa strategia sarebbe una sorta di simbiosi tra l’uomo e la tecnica informatica, tra le facoltà umane e l’intelligenza artificiale, all’insegna di un sempre più invasivo controllo sociale.

Ma la pressione di questo controllo, sia essa dichiarata ed esplicita ovvero, più spesso, subdola e ingannevole, presuppone quel meccanismo che i sociologi chiamano dei “bisogni indotti”, cioè di quelle esigenze artificiali che il potere commerciale crea per il proprio interesse economico e il potere politico favorisce indirettamente in vista di un sempre più esteso controllo. Ed è importante osservare quanto questi bisogni indotti siano stati facilitati dalla tendenza progressista a bandire le regole della vecchia morale ascetica per promuovere il “libero” esercizio dei desideri individuali. Se infatti le regole morali tradizionali costituivano un freno per le inclinazioni spontanee dell’uomo e dichiaravano illeciti determinati comportamenti, in quanto lesivi dei superiori interessi iscritti nella natura umana dalla stessa divina creazione, nello stesso tempo esse erano anche un baluardo invalicabile nei confronti del potere politico-commerciale, obbligato ad inchinarsi di fronte alla loro sovrumana maestà.

Una volta, però, che è stato eliminato il concetto stesso di “legge naturale e divina”, parlare di “diritti inalienabili dei desideri individuali” risulta inconsistente e sofistico. Se il diritto non è fondato su un dato indisponibile, su che cosa potrebbe reggersi? Non c’è nulla di meno indisponibile del desiderio, che con grande facilità cede alla logica dei bisogni indotti. Tolta dunque la barriera dell’illecito, fondato nella stessa natura umana, il lecito appare in un primo tempo come una liberazione, ma poi trapassa con la massima facilità nell’obbligatorio, non per legge naturale e divina, ma per regolamento politico e controllo sociale.

Infatti soltanto una società modernamente sviluppata può offrire i mezzi  per soddisfare i bisogni indotti, in continua espansione, e a questo punto il potere politico, una volta emancipatosi dalla soggezione alla legge naturale e divina, può agevolmente subordinare il godimento dei benefici della vita sociale all’adeguamento alle sempre più stringenti regole del controllo sociale – tanto più in una prospettiva mirante alla realizzazione del socialismo, se pure in forme diverse da quelle già sperimentate.

Sembra dunque di poter affermare che negli ultimi decenni vi sia stato un rapido trapasso dall’eliminazione della legge morale intangibile alla “liberazione” dei desideri individuali, allo sviluppo sempre più ampio dei bisogni indotti, favorito dal progresso della tecnologia applicata all’industria ludica e commerciale, all’espansione sempre più autoritaria del controllo sociale, prima esteriore e indiretto, poi anche direttamente invasivo dello stesso organismo umano.

 

Il primo capitolo lo travate qui.

 

 

 

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