A J.J. Hanson danno quattro mesi di vita per un tumore al cervello. Gli propongono pure il suicidio assistito. Ma lui lo rifiuta. Vive quasi quattro anni e spende fino agli ultimi giorni della sua vita per combattere la battaglia contro questo tarlo pernicioso che è il suicidio assistito. In questo periodo mette al mondo un altro figlio. J.J. Hanson poco prima di morire chiede a sua moglie di testimoniare al mondo la bellezza della vita. Ora sua moglie sta mantenendo fede alla promessa fatta, incontrando persone e tenendo incontri in tutto il paese.
Ecco un articolo di Monica Burke nella mia traduzione.
A J.J. Hanson, un amorevole marito, padre e marine (militare della marina degli USA), è stato diagnosticato nella primavera del 2014 di un tumore al cervello, un Glioblastoma Multiforme di 4° grado, la forma più mortale di cancro al cervello. Era nel fiore della sua vita.
Hanno ricevuto la stessa diagnosi e hanno scelto due percorsi molto diversi
Questo cancro aggressivo era la stessa malattia che spinse la Brittany Maynard a togliersi la vita mediante il suicidio assistito con l’aiuto di un medico in Oregon nello stesso anno.
Non appena la storia di Brittany conquistò i titoli dei giornali, J.J.Hanson ricevette grandi pressioni affinché seguisse lo stesso esempio, togliendosi la sua vita. Invece, J.J.Hanson ha usato i suoi ultimi giorni di vita per parlare contro il suicidio assistito e i suoi effetti negativi sulla società.
Ora, altri stanno cercando di preservare la sua eredità e di continuare il suo lavoro, compresa la vedova Kristen Hanson. Ha parlato in un incontro durante un recente evento presso la Heritage Foundation dal titolo, “J.J. Hanson’s Living Legacy: Rinnovare la nostra volontà di vivere e di amare fino alla fine della vita“.
La tavola rotonda inoltre includeva la partecipazione di Matt Vallière, un amico personale di J.J. e direttore esecutivo del Patient Rights Action Fund; Madre Maria Francesca delle Suore Domenicane di Hawthorne; e Ryan Anderson, il ricercatore senior di William E. Simon alla Heritage. Hanno parlato dei pericoli della legalizzazione del suicidio assistito da un medico e della necessità di un maggiore accesso a cure di fine vita di qualità.
L’incontro è iniziato con una testimonianza registrata di J.J. e da sua moglie Kristen.
Kristen ha parlato del desiderio di J.J. di condividere la sua storia come un modo per portare speranza ai pazienti e alle loro famiglie.
“Ecco perché sono qui oggi”, ha condiviso Kristen. “J.J. si è fermamente opposto al suicidio assistito fino alla fine della sua vita e una delle ultime cose che mi ha chiesto è stata che avrei dovuto continuare a condividere la nostra storia per proteggere i pazienti vulnerabili che vengono messi a rischio con queste leggi. Lo sto facendo per lui e per tutti coloro che non sanno nemmeno che hanno bisogno di qualcuno che combatta per loro”.
Ha anche sottolineato la necessità di una migliore assistenza per quei pazienti e la necessità di ricordare che le previsioni dei medici su quanto tempo qualcuno ha ancora a disposizione per vivere non sono sempre corrette.
Almeno tre medici hanno detto a J.J. che gli rimanevano solo quattro mesi di vita. Ha finito per vivere per altri tre anni e mezzo. In quel periodo, J.J. e Kristen hanno avuto un secondo figlio e hanno creato un mondo di ricordi.
“Se fai questa scelta, se lo fai (il suicidio assistito) non lo saprai mai”, ha detto Kristen. “J.J. ha avuto tre anni e mezzo buoni, tanti bei momenti che abbiamo condiviso come famiglia. James ha conosciuto il suo papà, sa chi è il suo papà adesso. Abbiamo Lucas. Le gioie che abbiamo potuto provare in questi tre anni e mezzo sono troppe per poterle contare. Se avessimo ascoltato (i medici), se avessimo rinunciato alla speranza, avremmo perso così tanto”.
(Nel video che segue, al minuto 01.42, trovate la toccante storia della malattia raccontata direttamente da J.J. e sua moglie, scene di vita familiare)
Vallière, un caro amico di J.J. e un avvocato contro il suicidio assistito da un medico, ha spiegato che legalizzare il suicidio assistito porterà alla tragedia del suicidio e lo trasformerà in un trattamento medico.
Vallière ha sottolineato che nessuna delle cinque ragioni principali per cui le persone scelgono il suicidio assistito dal medico in Oregon è dovuta al dolore.
“Hanno tutti a che fare con la disabilità o a problemi legati alla disabilità: mi sento come un peso per la mia famiglia. Mi sento come se avessi perso la mia dignità. Queste sono sofferenze esistenziali risolvibili. Non si risolveranno con la politica”, ha detto.
Kristen e Vallière hanno sottolineato che J.J. è stato fortunato: ha avuto il beneficio di eccellenti cure mediche e di una comunità che lo ha sostenuto. Ma non tutti coloro che sono stati spinti a porre fine alla loro vita di fronte a una diagnosi medica seria sono così fortunati.
Come possiamo garantire che i malati terminali siano preservati dal suicidio, piuttosto che aiutati verso quella strada?
Per iniziare a rispondere a questa domanda, Francesca, delle suore domenicane di Hawthorne, ha condiviso la sua esperienza in prima linea. Ha spiegato al pubblico che la missione della sua comunità religiosa è di predicare il Vangelo della vita ai poveri che muoiono di cancro e di aiutare quelle persone ad accettare la morte con pace, conforto e speranza.
Le sorelle si riferiscono a tutti coloro che vengono a stare con loro come “ospiti”. Si sforzano di capire le storie personali dei loro pazienti in modo che possano comprenderli meglio e aiutarli a portare il loro fardello.
“La gente ha bisogno di sentire: ‘Tu sei importante, la tua vita conta, e io voglio stare con te fino alla tua morte’”, ha detto Francesca. Si è chiesta se Brittany Maynard (colei che ha scelto il suicidio assistito, ndr) avrebbe fatto un’altra scelta se la sua famiglia e i suoi amici le avessero dato questo messaggio così importante.
Come può l’ordine pubblico realizzare meglio il tipo di cura che le suore domenicane di Hawthorne offrono?
Anderson ha fornito soluzioni di politica pubblica e ha sottolineato che occorre fare di più per garantire che i pazienti ricevano le cure che meritano. Sviluppando il suo articolo, “Always Care, Never Kill” (“Sempre curare, mai uccidere”, ndr), ha spiegato come il suicidio assistito da un medico mette in pericolo i deboli.
“Le persone non sono consapevoli di cosa succede alle famiglie e alle comunità quando il suicidio assistito è un’opzione medica. Non sono consapevoli di quali siano le opzioni mediche alternative e comuni”, ha spiegato Anderson. “Il suicidio assistito mette in pericolo i deboli. Queste sono le persone che sono più a rischio di essere costrette fisicamente o emotivamente o economicamente a porre fine alla loro vita prematuramente“.
Il suicidio assistito da un medico cambia drasticamente la cultura che circonda la pratica della medicina.
“Quando sarai paziente, se sarai un paziente con disabilità, se sarai un paziente con una possibile malattia terminale, quanto ti fiderai del tuo medico se sai di essere in una giurisdizione in cui il tuo medico potrebbe guarirti o prescriverti un farmaco letale?”, ha detto Anderson.
Questo è il motivo per cui i gruppi di disabili sono in prima linea nella lotta contro il suicidio assistito. Gruppi come Not Dead Yet (Non ancora morti, ndr) si battono a nome delle persone con disabilità, per dimostrare al resto della società che le vite dei disabili meritano la stessa protezione di chiunque altro.
C’è ancora molto lavoro da fare in medicina e nelle politiche pubbliche per offrire ai pazienti una migliore assistenza alla fine della vita e rendere impensabile il suicidio assistito.
Vallière, l’amico di J.J., ha spiegato: “La lotta politica è alquanto imperativa riguardo ad alcune di queste cose come l’aumento delle cure palliative. I medici nella maggior parte degli stati non hanno bisogno di utilizzare molte ore di formazione palliativa per ottenere una qualifica. Dobbiamo lottare (per un maggiore accesso alle cure palliative)”.
Nessuno capiva questi punti meglio di J.J.
Kristen, la vedova di J.J., ha spiegato: “J.J. sapeva che era importante per me che continuassi a condividere la sua storia, perché attraverso questo processo, ho percorso l’intero viaggio con lui …. . Se ci prendiamo cura dei pazienti correttamente alla fine della vita, allora non ci sarebbe davvero il desiderio di qualcos’altro. Abbiamo davvero bisogno di rispondere a tutte le esigenze dei pazienti e dei membri della famiglia, perché tutti hanno bisogno di sostegno”.
Dobbiamo tutti modellare l’esempio di J.J. e Kristen ed essere sostenitori dei membri più vulnerabili della società, e lottare per soluzioni di politica pubblica e per un’adeguata assistenza alla fine della vita che rispetti la dignità di ogni persona umana.
Una cosa può essere certa: J.J. non è morto invano. La sua eredità continua a vivere, e lo ringraziamo per il dono della sua vita.
Fonte: LifeNews.com
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