Omofobia

 

 

di Un sacerdote

 

Caro Sabino, sono ormai usciti moltissimi più che pregevoli articoli sulla questione della legge Zan, Scalfarotto, Boldrini e altri contro l’omofobia. Non credo di poter aggiungere molto, se non una qualche osservazione sull’assurdo principio che è sotteso a tale proposta di legge. Lo spiego con due citazioni tratte dall’Inferno di Dante.

La prima è quella che riguarda la figura di Semiramide, leggendaria regina degli Assiri, che il poeta incontra nel canto V. Egli scrive che “A vizio di lussuria fu sì rotta, che libito fé licito in sua legge, per tòrre il biasmo in che era condotta”. Qui Dante fa riferimento a Paolo Orosio, storico del V sec. d.C., che racconta come la regina legittimasse la sua condotta disonesta, rendendo legale ciò che a lei e a ciascuno dei suoi sudditi poteva piacere. Insomma, quella regina fece diventare legale per sé e per i suoi sudditi il criterio di ritenere lecito ciò che invece per natura non era tale: il desiderio illecito diventa diritto lecito, il diritto lecito pretende di essere reso legge, la legge punisce chi obietta a tale diritto dicendo che il desiderio che gli è sotteso non corrisponde alla realtà. Niente di nuovo sotto il sole mi sembra!

Tutto questo però non è contro natura solo sul piano puramente etico, ma viene a distruggere un principio base su cui è costruito tutto l’umano vivere come tale, e cioè il principio logico di non contraddizione. Un principio che, se fosse annullato sistematicamente, farebbe piombare il mondo in uno sconvolgente e allucinante caos. È ancora Dante che ce ne ricorda l’importanza nel cap. XXVII dell’Inferno. Lì egli incontra l’anima di Guido da Montefeltro, famoso uomo d’armi che si era fatto francescano in vecchiaia; egli racconta al poeta le vicende accadute alla sua morte. L’anima dannata gli dice che sperava di farla franca in giudizio, nonostante il consiglio fraudolento offerto a Bonifacio VIII per conquistare la rocca di Palestrina, e ciò perché quel papa gli aveva dato assicurazione che da quel peccato egli, come Sommo Pontefice, lo poteva assolvere. Ma il diavolo risponde a san Francesco, che si presenta per portare l’anima in Paradiso, “ch’assolver non si può chi non si pente, né pentere e volere insieme puossi per la contradizion che nol consente“. Così Guido prosegue allora la sua narrazione: “Oh me dolente! come mi riscossi quando mi prese dicendomi: “Forse tu non pensavi ch’io loico fossi!“.

Dante dice che neanche il diavolo può andare contro il principio di non contraddizione, tanto esso è connaturato all’uomo e al suo vivere; anzi, egli da furbo qual è, da intelligente “loico” (logico ragionatore), sfrutta proprio questo principio per portarsi l’anima di Guido all’Inferno.

Che dire? Che gli onorevoli Zan, Scalfarotto, Boldrini e loro sodali ne sanno più del diavolo? O forse è il diavolo che, per condurci a distruzione, fa loro pensare che ne sanno più di lui? In ogni caso, giù il cappello, signori!

 

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