di Lucia Comelli
Secondo K. Popper[1], il maggior epistemologo contemporaneo, le teorie scientifiche non rappresentano verità assolute, ma ipotesi di spiegazioni dei fenomeni (quindi sono sempre falsificabili dall’esperienza).
Qual è la natura del sapere scientifico? Credo sia importante farsi questa domanda, visto che in due anni di pandemia, si sono moltiplicate nel nostro Paese le attestazioni di fede nella ‘Scienza’, intesa come sapere certo e indiscutibile: una fiducia totale che neppure le contrastanti affermazioni degli esperti televisivi o le smentite dei fatti sono riuscite in molte menti a scalfire. Chi si è azzardato ad avanzare dubbi, o anche semplicemente a porre delle domande, si è visto appioppare immediatamente un’etichetta: quella di no vax, il che equivale a nemico della scienza, ‘terrapiattista’ … anche se risultava provvisto di una laurea in medicina e fino a quel momento si era fatto tutte le vaccinazioni prescritte.
In realtà, l’ingenua convinzione di matrice positivista che le affermazioni scientifiche siano del tutto certe e vere è entrata in crisi – assieme alla concezione meccanicistica della natura – già molto tempo fa, a causa dello stesso sviluppo scientifico. Infatti, teorie straordinarie come quella della relatività (Einstein), del principio di indeterminazione (Heisenberg) e della natura quantistica dei fenomeni subatomici (Plank) …, nonché il dibattito epistemologico che le ha accompagnate, hanno definitivamente seppellito il positivismo ottocentesco.
Certo, alcune sue istanze sono state riprese, in forma più scaltrita, dal Neopositivismo (detto anche Empirismo logico o Neoempirismo), che ha definito come significative – dal punto di vista conoscitivo – le sole affermazioni delle scienze empiriche, condannando ogni altra proposizione (di natura estetica, etica, religiosa e metafisica …) all’irrilevanza. Infatti – come sosteneva Moritz Schlick[2]:
Il significato di una proposizione è il metodo della sua verifica, una proposizione è insensata se non esiste un metodo per verificarla [empiricamente].
Ma le difficoltà interne allo stesso Empirismo logico e le contestazioni di pensatori esterni al movimento, come Karl Popper, hanno messo in crisi lo stesso principio di verificazione che rappresentava il pilastro teorico del movimento e che in effetti si è mostrato autocontraddittorio, non essendo in grado di trovare, a sua volta, una conferma sperimentale.
In realtà, sostiene Popper[3], il verificazionismo è un mito, in quanto per veri-ficare (confermare in modo conclusivo) una teoria o una legge dovremmo aver presenti tutti i casi che la concretizzano, cosa evidentemente impossibile: per quanto numerosi, i controlli effettivi sono sempre di numero finito. Popper, ispirandosi alla metodologia di Einstein[4], definisce allora come scientifiche le teorie falsificabili, cioè controllabili e quindi invalidabili, almeno in linea di principio, dall’esperienza. Esiste infatti un’asimmetria logica tra verificabilità e falsificabilità: un numero per quanto alto di conferme non rende mai assolutamente certa una teoria, mentre un solo caso contrario è in grado di smentirla. Innumerevoli osservazioni, ad esempio, non bastano a rendere certa l’affermazione che: tutti i legni galleggiano in acqua, mentre un solo caso negativo: questo pezzo di ebano affonda nell’acqua, è in grado di falsificarla. Questo significa che la scienza non può fondarsi sull’induzione, cioè sul procedimento che va dal particolare all’universale: infatti, per quanto numerose siano le osservazioni singolari, esse appunto logicamente non possono mai giustificare come certa una legge/teoria universale.
Il metodo scientifico che Popper invece propone e che egli ritiene universalmente utilizzato dagli esseri umani[5] è invece un procedimento per congetture e confutazioni, cioè ipotetico – deduttivo, esemplificabile nello schema seguente:
- inciampiamo in qualche problema[6], cioè in un evento che non riusciamo a spiegare con le conoscenze già in nostro possesso;
- proponiamo ipotesi di soluzione, deducendo da ogni ipotesi i fatti osservabili che ne conseguono;
- indaghiamo la realtà: accettando come (temporaneamente) vera l’ipotesi avvalorata dall’esperienza.
In altri termini, la scienza non è episteme, cioè un sistema infallibile di verità certe, bensì doxa, cioè un insieme di congetture suscettibili di rettifica e confutazione.
La scienza piuttosto che per generalizzazioni induttive, procede quindi secondo Popper tramite ipotesi sottoposte all’accurato controllo delle conseguenze empiriche e al confronto tra gli studiosi: approdato ad una concezione evolutiva delle conoscenze umane, lo studioso ritiene infatti che per selezionare le migliori soluzioni dei problemi si debba vagliarle nel corso di una discussione libera e ampia. L’applicazione del metodo ‘per prove ed errori’ è per Popper espressione del carattere mai concluso del sapere scientifico (La ricerca non ha fine si intitola la sua autobiografia intellettuale) e, al contempo, essa offre la migliore garanzia della crescita della conoscenza umana e del suo progressivo e mai concluso avvicinarsi alla verità, cioè alla realtà dei fatti.
In polemica con il Neopositivismo, Popper ha anche riabilitato la filosofia che, pur non essendo una scienza, si pone questioni ineludibili e le cui argomentazioni sono suscettibili di un’indagine razionale. Egli stesso si è posto numerose e fondamentali questioni di ordine filosofico: come quella riguardante il carattere determinato o meno (e quindi imprevedibile) degli eventi storici. Sul piano politico, la convinzione del carattere fallibile del sapere ha condotto lo studioso a criticare il totalitarismo che nasce dallo storicismo, cioè da filosofie (come quelle di Platone, Hegel e Marx) che pretendono di cogliere il senso ultimo della storia, e a difendere la società democratica, cioè la società retta da istituzioni che permettono alla popolazione di rimandare a casa in modo pacifico i governanti inetti o corrotti, la stessa capace di tutelare i diritti delle minoranze e la pacifica convivenza del maggior numero possibile di visioni del mondo[7].
Concludendo, lo stesso sviluppo scientifico e il dibattito epistemologico (di cui ho potuto fornire per ragioni di spazio solo qualche elemento) evidenziano la grandezza e contemporaneamente i limiti della conoscenza umana di fronte alla vastità e alla complessità inesauribile del reale: questa consapevolezza dovrebbe indurre gli studiosi ad una certa umiltà, aprendoli tra loro al confronto e a riconoscere con onestà intellettuale le eventuali smentite dei fatti. Presunzione e dogmatismo si collocano agli antipodi dell’apertura mentale che dovrebbe contrassegnare lo scienziato come l’uomo di cultura e spesso mascherano interessi e motivazioni di altra natura rispetto a quelli pubblicamente esibiti.
Note:
[1] Karl Popper è un filosofo austriaco della scienza, naturalizzato britannico (Vienna 1902- Croydon, Londra, 1994). Di origine ebraica, dopo l’occupazione tedesca dell’Austria nel 1938, emigrò fino al 1945 in Nuova Zelanda, per poi passare alla London School of Economics, in cui insegnò fino al 1969 logica e metodo scientifico. Nominato baronetto nel 1965, fu membro della Royal Society.
[2] Animatore del Circolo di Vienna, Moritz Schlick è stato uno dei massimi esponenti del Neopositivismo.
[3] Sin dalla pubblicazione nel 1935 dell’opera Logica della scoperta scientifica.
[4] Einstein non ha solo elaborato la Teoria della Relatività, prima ristretta (1905) e poi generale (1916), ma ha anche indicato gli eventi che avrebbero potuto in futuro accreditarla o smentirla. Eventi che hanno trovato una prima conferma, nell’estate del 1919, dall’esperimento degli scienziati Michelson e Morley.
[5] Esempio (di chi scrive): se uno studente durante la ricreazione non trova nello zaino il panino che sua madre è solita preparargli, egli è portato ad ipotizzare di averlo scordato a casa, oppure a sospettare che un compagno l’abbia trafugato per scherzo. Da queste illazioni egli trae delle conseguenze accertabili: se lo ha dimenticato a casa, la nonna può confermarlo. Se questa ipotesi si rivela errata, può iniziare ad investigare tra i compagni…
[6] L’apprendimento non nasce dall’osservazione passiva della realtà, ma dalla ricerca di possibili soluzioni per i problemi che ci troviamo ad affrontare.
[7] Su queste questioni Popper ha scritto ‘come fatica di guerra’, mentre viveva in Nuova Zelanda, due opere importanti: La miseria dello storicismo (1944-1945) e La società aperta e i suoi nemici (1945).
Sostieni il Blog di Sabino Paciolla
Scrivi un commento