Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’intervista rilasciata a padre Antonio Spadaro, S.J., già direttore de La Civiltà Cattolica, dal designato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, l’Arcivescovo Víctor Manuel Fernández, e pubblicata sul La Civiltà Cattolica, la rivista dei gesuiti. Ho preso le domande e risposte che a me sono apparse più significative dell’intervista. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. Ecco l’intervista nella mia traduzione.

 

Monsignor Victor Manuel Fernandez, archbishop of La Plata, shakes hands with a a man after a Mass at the Cathedral in La Plata, Argentina, Sunday, July 9, 2023. Fernandez was appointed by Pope Francis to head the Holy See's Dicastery for the Doctrine of the Faith at the Vatican. (AP Photo/Natacha Pisarenko)
Monsignor Victor Manuel Fernandez, archbishop of La Plata, shakes hands with a a man after a Mass at the Cathedral in La Plata, Argentina, Sunday, July 9, 2023. Fernandez was appointed by Pope Francis to head the Holy See’s Dicastery for the Doctrine of the Faith at the Vatican. (AP Photo/Natacha Pisarenko)

 

La filosofia ci aiuta a valorizzare l’esperienza?

In campo filosofico ho trovato un correlato in Hans-Georg Gadamer, apprezzato e consultato da san Giovanni Paolo II. Da lui ho tratto in particolare due cose: in primo luogo, il valore che attribui­sce all’esperienza vitale in quanto possibilità di accedere ad alcuni aspetti della verità. Questo, tradotto in un pensiero latinoamericano, implica per esempio l’apprezzamento della cultura popolare come humus che dà una prospettiva diversa per conoscere la verità sotto un’altra ottica, tanto da potersi parlare di una sapienza propria dei poveri. Ma da questo punto di vista si può spiegare anche, in dialogo con settori agnostici, la legittimità della partecipazione della Chiesa, con il messaggio evangelico, al dibattito pubblico.

In secondo luogo, Gadamer invita anche a porre attenzione agli effetti, e oggi chi fa teologia non può ignorare gli esiti di ciò che dice, giacché si può riconoscere che qualcosa che è corretto nell’intenzione di chi l’afferma forse diventa sbagliato negli effetti che produce su chi lo ascolta. Posso citare anche Jacques Maritain, che fu capace di rielaborare un tomismo in dialogo con i problemi della società del suo tempo.

 

La relazione fra la teologia e la vita del popolo di Dio vale specialmente per la teologia morale. Come intende questo rapporto?

La teologia morale non può ignorare, per esempio, come affrontano la vita le persone più povere, limitate, escluse dai benefici della società, che devono sostenere ogni giorno la lotta per sopravvivere alla bell’e meglio. Perciò Francesco ci avverte: «Nelle difficili situazioni che vivono le persone più bisognose, la Chiesa deve avere una cura speciale per comprendere, consolare, integrare, evitando di imporre loro una serie di norme come se fossero delle pietre, ottenendo con ciò l’effetto di farle sentire giudicate e abbandonate proprio da quella Madre che è chiamata a portare loro la misericordia di Dio. In tal modo, invece di offrire la forza risanatrice della grazia e la luce del Vangelo, alcuni vogliono “indottrinare” il Vangelo, trasformarlo in “pietre morte da scagliare contro gli altri”»[11].

 

Su questa linea si colloca una nuova considerazione sul peso dei condizionamenti nel discernimento. Al riguardo Francesco ha proposto alla teologia morale un passo molto importante.

Lo ha fatto accogliendo gli orientamenti dei vescovi della Regione Buenos Aires rispetto all’applicazione di Amoris laetitia. Essi parlano della possibilità che i divorziati in nuova unione vivano in continenza, ma aggiungono che «in altre circostanze più complesse, e quando non è stato possibile ottenere una dichiarazione di nullità, l’opzione citata può di fatto non essere fattibile». Quindi affermano che «ciò nonostante, è ugualmente possibile un cammino di discernimento. Se si arriva a riconoscere che, in un caso concreto, ci sono limiti che attenuano la responsabilità e la colpabilità, specie quando una persona consideri che cadrebbe in una mancanza ulteriore danneggiando i figli della nuova unione, Amoris laetitia apre la possibilità di accedere ai sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia»[12]. Francesco ha subito inviato loro una lettera formale, confermando che il senso del capitolo VIII dell’AL è questo. Ma ha aggiunto: «Non ci sono altre interpretazioni»[13]. Non è necessario attendersi risposte diverse dal Papa. Tanto gli orientamenti quanto la lettera del Pontefice sono stati pubblicati negli Acta Apostolicae Sedis[14], insieme a un rescritto che li dichiara «magistero autentico». Di conseguenza non ci sono più dubbi, ed è chiaro che il discernimento che tiene conto dei condizionamenti o fattori attenuanti può avere conseguenze anche nella disciplina sacramentale.

 

Veniamo al lavoro che l’attende. Quali sono le sue prospettive sul Dicastero per la dottrina della fede?

Per prendere coscienza delle prospettive che possono aprirsi nel lavoro della Sezione dottrinale del Dicastero per la dottrina della fede non c’è niente di meglio che glossare ciò che ha detto Francesco nella lettera con cui ha accompagnato la mia designazione. In essa dispiega orizzonti amplissimi e appassionanti per il Dicastero.

Il Papa ha chiesto di «mettere in dialogo il sapere teologico con la vita del santo Popolo di Dio». Nel presentarmi, insieme ai miei titoli accademici, Francesco ha ricordato che sono stato parroco di Santa Teresita. È già evidente che al Papa importa in maniera particolare che il sapere teologico non si pieghi soltanto dall’alto a «illuminare» il popolo di Dio, ma che se ne lasci stimolare, che si lasci ferire e disarmare da esso.

Quindi mi ha chiesto di «custodire l’insegnamento che scaturisce dalla fede». Le parole «custodire» e «curare» sono tra le predilette da Francesco. Non è un caso che egli sia specialmente devoto a san Giuseppe. La cura, per lui, è un atteggiamento fondamentale che scaturisce dal Vangelo. Ma così come ci si prende cura delle persone, si deve fare altrettanto con la dottrina che emerge dalla fede. Ciò comporta innanzitutto un profondo apprezzamento di ciò che va curato, ovvero implica che si ami quella dottrina come un tesoro prezioso, che si sia giustamente orgogliosi di quel dono divino. Non c’è posto per i complessi d’inferiorità nei confronti del mondo: prevalgono il più legittimo apprezzamento e la gratitudine di sentirci toccati dalla Grazia, privilegiati da questo dono fatto dal Signore alla sua Chiesa.

Come era solito dire san Giovanni Paolo II in vario modo, bisogna sviluppare «il massimo dialogo con la massima identità».

 

Francesco le ha chiesto anche di «accrescere la comprensione e la trasmissione della fede al servizio dell’evangelizzazione».

Custodire qualcosa è anche migliorarlo. Non si tratta ovviamente di migliorare la dottrina, ma la sua comprensione e la sua comunicazione. Su questo punto i decenni passati non ci mostrano un risultato confortante. Quanti teologi possiamo nominare della statura di Rahner, Ratzinger, Congar o von Balthasar? E neanche la cosiddetta «teologia della liberazione» ha teologi al livello di un Gutiérrez. Qualcosa è venuto meno. Ci sono stati controlli, sì, ma pochi sviluppi.

Mi rendo conto che Francesco vuole avviare una tappa in cui la crescita del pensiero cristiano sia di più ampio respiro, perché sa che ciò incide direttamente sul servizio dell’evangelizzazione. I grandi teologi che hanno pensato in dialogo con la realtà hanno apportato ampie ricadute, per vie diverse, perfino sulla pastorale delle parrocchie più piccole e povere. Perciò non possiamo restare indifferenti allo scarso sviluppo che la teologia ha avuto dalla fine del secolo scorso a questa parte.

 

Lei sa bene che nella Chiesa ci sono «diverse linee di pensiero» e il Papa ritiene che accoglierle possa far crescere la Chiesa. Come intende questa richiesta in un contesto che sembra alquanto polarizzato?

Ciò che Francesco dice del poliedro si applica anche al pensiero della Chiesa. Ma lui è consapevole del fatto che su questo si incontra resistenza: «A quanti sognano una dottrina monolitica difesa da tutti senza sfumature, ciò può sembrare un’imperfetta dispersione. Ma la realtà è che tale varietà aiuta a manifestare e a sviluppare meglio i diversi aspetti dell’inesauribile ricchezza del Vangelo»[24].

Vorrei ricordare che su questo punto Francesco si ispira alla teo­logia della creazione di san Tommaso d’Aquino, quando rimarca che «la distinzione e la molteplicità delle cose provengono dal primo agente», il quale ha voluto che «ciò che manca a una per ben rappresentare la divina bontà sia supplito dall’altra»[25]. Pertanto, noi dobbiamo cogliere la varietà delle cose nelle loro molteplici relazioni[26]. Per Francesco, ciò si può affermare a maggior ragione se ci collochiamo davanti all’inesauribile mistero del Vangelo, che non si può confinare in un determinato schema mentale, per quanto solido esso possa apparire.

 

La preservazione della dottrina della fede è stata spesso associata a un meccanismo di «controllo». Il Papa sembra invece puntare sulla crescita armonica della sua comprensione. Questo vuol dire che la funzione di confutare errori è destinata a scomparire?

Se si legge bene la lettera del Papa, è chiaro che in nessun momento egli afferma che la funzione di confutare errori debba scomparire. Evidentemente, se qualcuno dice che Gesù non è vero uomo o che tutti gli immigrati vanno uccisi, sarà necessario un intervento deciso. Ma al tempo stesso questo offrirà l’occasione di crescere, di arricchire la nostra comprensione. Per esempio, in questi casi la persona in questione andrà accompagnata nella sua legittima intenzione di mostrare meglio la divinità di Gesù Cristo, o bisognerà conversare su alcune leggi migratorie imperfette, incomplete o problematiche.

Francesco mi chiede un maggiore impegno per aiutare lo sviluppo del pensiero, anche quando si presentano questioni difficili, perché, se si vuole aver cura della dottrina, è più efficace accrescerne la comprensione che incrementarne i controlli. Le eresie sono state sradicate meglio e più rapidamente quando c’è stato un adeguato approfondimento teologico, mentre, quando ci si è limitati alle condanne, esse si sono diffuse e radicate.

A questo riguardo, un criterio fondamentale da preservare e tenere fermo è che «qualsiasi concezione teologica che in ultimo termine metta in dubbio l’onnipotenza di Dio e, in specie, la sua misericordia» deve considerarsi inadeguata.

L’affermazione che è un «criterio fondamentale» è molto forte. Significa che non lo si può ignorare o prendere alla leggera. Ricordiamo che Francesco riprende questa espressione dalla Commissione teologica internazionale, e così facendo attribuisce alla Commissione una particolare rilevanza. Ma per di più si tratta di un testo riferito alla salvezza dei bambini morti senza il battesimo, per mostrare che l’onnipotenza e la misericordia di Dio, capaci di concedere quella salvezza gratuita, non devono essere negate né oscurate da alcun ragionamento teologico. Se ciò viene applicato in maniera generale, come criterio fondamentale, indubbiamente ci obbliga a ripensare molte altre cose.

 

Francesco, nella lettera a lei indirizzata, le chiede di sviluppare e promuovere un pensiero che presenti «un Dio che ama, che perdona, che salva, che libera, che promuove le persone e le convoca al servizio fraterno».

Il pensiero cristiano non può essere svincolato dal cuore del Vangelo, che è il kerygma teologico e il kerygma morale. Infatti «non c’è nulla di più solido, di più profondo, di più sicuro, di più consistente e di più saggio di tale annuncio» (EG 165), e al tempo stesso è il messaggio che fa innamorare e che cattura. È l’annuncio che ci aiuta a vivere, ad andare avanti, a lottare, a impegnarci, con un’enorme risonanza pratica ed esistenziale.

D’altro canto, vorrei aggiungere che ciò non implica un’opzione per una teologia meramente pratica che disprezzi uno sviluppo altamente speculativo, perché Francesco chiede anche di assicurare che i documenti della Santa Sede abbiano un «adeguato supporto teologico». Sebbene sia opportuno evitare una «teologia a tavolino», questo non dovrebbe mai indurre al pensiero che la Chiesa non «incoraggi il carisma dei teologi e lo sforzo che pongono nella ricerca teologica». Lo studio, come lo intende san Tommaso, è piena attività. È un aprirsi ricettivo alla verità, ma in totale coscienza e donazione di sé, con desiderio e altissima attenzione, pari a quella di chi dedica tutto il suo interesse ad ascoltare un amico. Questa contemplazione è vita piena.

 

Sempre alla luce della necessità di sviluppare e promuovere un pensiero che presenti «un Dio che ama», Francesco chiede che si presti attenzione alla gerarchia delle verità, dal momento che «il maggiore pericolo si produce quando le verità secondarie finiscono per mettere in ombra quelle centrali».

Il problema è che risulta relativamente facile sviluppare un tema fuori da ogni contesto, portarlo avanti con una logica ferrea fino a lasciarsi trasportare da un certo fanatismo ossessivo. Per Francesco questo è «il pericolo maggiore». È ben più difficile situare quel ragionamento nel ricco contesto di tutto l’insegnamento della Chiesa e lasciare che si trasfiguri alla luce delle verità centrali, del cuore del Vangelo. Infatti, «tutte le verità rivelate procedono dalla stessa fonte divina e sono credute con la medesima fede, ma alcune di esse sono più importanti per esprimere più direttamente il cuore del Vangelo. In questo nucleo fondamentale ciò che risplende è la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto» (EG 36) e, al tempo stesso, rispetto alla morale, «le opere di amore al prossimo sono la manifestazione esterna più perfetta della grazia interiore dello Spirito» (EG 37).

 

Francesco, nella sua lettera, pone insieme l’insegnamento perenne della Chiesa e il Magistero recente. Mi sembra un dato interessante.

È significativo che menzioni anche il Magistero recente, oltre a riferirsi all’insegnamento perenne. Si tratta di una precisazione importante, perché è proprio il Magistero recente a dialogare con le circostanze attuali che attraversano il mondo e la Chiesa, con la cultura e le sue sfide. Il Magistero non è un mero «deposito», ma è anche un dono presente che è attivo attraverso Francesco. Se il Magistero riesce anche a illuminarci nel nostro pellegrinaggio in questo momento della storia, dobbiamo lasciarci orientare dai suoi interventi recenti e attuali, ed è indubbio che ciò equivalga a continuare a bere da quel pozzo senza fondo che è la Rivelazione sempre vigente e sempre attuale.

 

 

 

Vi auguro sinceramente buon lavoro! Sono sicuro che ci sarà molto da fare.

 



 

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