Grande impresa dell’avv. Emanuele Fusi che ha vinto in Tribunale contro il colosso Facebook. Buona notizia, almeno per me, perché Facebook ha spesso agito nei miei confronti con una certa libertà, diciamo così, facendo quello che voleva e trincerandosi dietro la solita vaga e mai dettagliata motivazione: “Hai violato le regole della community”. Ricordo che questo blog non ha appena 800 “amici”, ma ha raggiunto dalla sua nascita almeno 4 milioni di lettori, in Italia e anche all’estero. Mi segno dunque il numero di telefono del valente avvocato.
Ecco come l’avvocato Emanuele Fusi spiega in sintesi il caso.
“Il ricorrente era utente dall’anno 2008 di Facebook, fino al mese 19 settembre 2019, ed è stato in contatto con circa altri quasi 800 c.d. “amici”, per mezzo del suo account personale
Da quel momento, l’attore non ha più potuto interloquire coi propri “amici”, pubblicando scritti o immagini o partecipando a discussioni su altri profili e Pagine, né potendo gli altri utenti raggiungere il suo profilo, diventato invisibil1e a tutti.
In tutti questi anni l’attore ha usato il social per riallacciare contatti con amici, tenere corrispondenza con persone vicine e lontane, diffondendo fotografie, pensieri, commentando l’attualità e condividendo con gli “amici” i fatti che riguardavano la sua vita.
I suoi contatti erano quasi ottocento, tutti attivi, e per comunicare con la maggioranza di essi la piattaforma Facebook rappresentava l’unico mezzo possibile.
Non solo. Il ricorrente aveva anche perduto una quantità inimmaginabile di fotografie e di ricordi personali e familiari custoditi nel suo account, tra cui le fotografie della famiglia. Un patrimonio di memoria che Facebook ha evidentemente ritenuto legittimo sradicare.
L’account venne disabilitato per sempre senza alcun motivo, nè preavviso nè richiesta di controllo, nè senza specificare quali regole del sociale network erano state violate, per arrivare ad una decisione così radicale.
Il ricorrente non era a conoscenza delle ragioni che hanno determinato la sua esclusione dalla piattaforma Facebook. Come veniva precisato, l’attore non ha mai diffuso, pubblicato, condiviso contenuti contrari agli Standard della Comunità né comunque scritti o immagini di carattere illecito. Dunque, non conosce né “il fatto” che ha determinato tale decisione né quale standard ella avrebbe violato.
Già questa prima considerazione, legata alla mancanza di trasparenza della condotta del Socal Networks, vale a ritenere pienamente sussistente l’inadempimento di FACEBOOK ai sensi dell’articolo 2 D.Lgs 6/09/2005 n.206 e dell’articolo 1366 del codice civile.
Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente le opinioni del responsabile di questo blog. Sono ben accolti la discussione qualificata e il dibattito amichevole.
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Fidarsi di Facebook (o “Meta” che sia) o tenere un serpente nella propria stanza da letto è più o meno la medesima cosa.
Il problema è che quando le masse si abituano ad usare certi canali per interagire, semplicemente non è facile far cambiare loro le abitudini, anche se le alternative esistono (es. Rumble anziché YouTube). Questi “signori”, forti della posizione di privilegio acquisita, ad un certo punto si sono permessi di fare il bello e il cattivo tempo sempre invocando i fantomatici standard della community e sempre in ossequio a quei poteri che tramite la censura danno forma ed orientano il pensiero unico, il quale è una forma di totalitarismo apparentemente dal volto diverso ma nella sostanza simile al modello cinese.
Fa perciò piacere che qualcuno si sia mosso ed abbia chiesto conto a questi tiranni del proprio operato.
Non se ne può davvero più: ma chi accidenti sono – ad esempio – i gestori di YouTube per venirmi a dire che faccio “disinformazione in ambito medico”? E c’è pure gente che plaude a costoro dandone per scontato la buona fede. E’ questa la cosa peggiore.