Esposizione e riflessioni sul Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica

(Alberto Strumia)

Il materiale qui presentato è disponibile nel suo insieme nel volume: A. Strumia, Libere riflessioni a partire dal Compendio del Catechismo, vol. 1 – Il Credo, Amazon 2021. E in formato testo e audio sul sito albertostrumia.it/Fides-et-Ratio e sul canale YouTube www.youtube.com/c/AlbertoStrumiaAS.

 

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Puntata n. 4 (nn. 11-16)

LA TRASMISSIONE DELLA RIVELAZIONE DIVINA

  1. Perché e in qual modo la Rivelazione divina va trasmessa? (74)

Dio «vuole che tutti gli uomini siano salvati ed arrivino alla conoscenza della verità» (1Tm 2,4), cioè di Gesù Cristo. Per questo è necessario che Cristo sia annunciato a tutti gli uomini, secondo il suo stesso comando: «Andate e ammaestrate tutte le Nazioni» (Mt 28,19). È quanto si realizza con la Tradizione Apostolica.

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Questo n. 11 prepara a comprendere il concetto di “Tradizione” nel senso in cui lo intende la Dottrina Cattolica. Una Rivelazione che fosse rimasta confinata nei soli tre anni in cui Gesù Cristo ha insegnato e operato, sarebbe stata pressoché inutile, perché si sarebbe esaurita con la morte di coloro che avevano ascoltato le sue parole, in quei tre anni. Gesù stesso ordina di “trasmettere” a più persone possibile la Sua Dottrina; e di compiere le “opere” che Lui ha compiuto in un modo ben preciso. Attraverso il Battesimo, l’Eucaristia, gli altri Sacramenti, garantendo di operare Lui stesso attraverso gli Apostoli, i loro successori (i Vescovi) e i loro collaboratori (presbiteri, diaconi), insieme a tutti i discepoli (i fedeli).

La Tradizione è un “trasmettere fedelmente” le Sue “parole” e le Sue “opere”, aiutando a comprenderle. Lo scopo di questa “missione” della Chiesa è la Salvezza degli uomini, la restituzione della possibilità (per chi la vuole accogliere) dell’accesso alla “giustizia originale”. Nel pieno rispetto della libertà degli uomini. Se non vuoi accedere a quella “giustizia restituita” (Redenzione), sei libero di farlo, però sappi che ne pagherai tutte le conseguenze (contraddizioni interne alla tua persona/personalità, alla tua vita domestica, alla vita sociale e pubblica, alle relazioni tra i popoli, ora e per l’eternità). Se vuoi hai diritto di rinunciare per sempre al giusto rapporto con Dio (è l’Inferno); o a volerlo per sempre con tutte le tue forze e tutte le tue azioni fino ad averlo per sempre (è il Paradiso).

Una Chiesa che rinnegasse la Tradizione e smettesse di essere missionaria non lo farebbe affatto per rispetto delle opinioni altrui, ma farebbe la massima offesa all’uomo.

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  1. Che cos’è la Tradizione Apostolica? (75-79, 83; 96,98)

La Tradizione Apostolica è la trasmissione del messaggio di Cristo, compiuta, sin dalle origini del cristianesimo, mediante la predicazione, la testimonianza, le istituzioni, il culto, gli scritti ispirati. Gli Apostoli hanno trasmesso ai loro successori, i Vescovi, e, attraverso questi, a tutte le generazioni fino alla fine dei tempi, quanto hanno ricevuto da Cristo e appreso dallo Spirito Santo.

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Il n. 12 definisce la “Tradizione” come la trasmissione del messaggio di Cristo. La parola “Tradizione”, in latino Traditio, ha il duplice significato:

(a) di “trasmissione” (ti comunico delle “informazioni”, la Buona Notizia [Vangelo]: “Cristo è risorto”);

(b) e di “consegna” (ti lascio il “mandato” di compiere delle “opere”: “fate questo…”).

Per cui la parola “messaggio” va intesa sia nel senso delle “parole” di Cristo (insegnamento, dottrina), che nel senso di “opere” di Cristo da compiere (Sacramenti, opere di carità come le ha fatte Lui, fatte in Suo Nome e non per ideologia politica). La “carità” non è appena una umana solidarietà (questo anche i pagani sanno farlo, cfr., Mt 5,47), ma è amore a se stessi e agli altri per amore di Cristo, perché sono oggetto dell’amore di Dio come io sono oggetto dell’amore di Dio.

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  1. In quali modi si realizza la Tradizione Apostolica? (76)

La Tradizione Apostolica si realizza in due modi: con la trasmissione viva della Parola di Dio (detta anche semplicemente La Tradizione), e con la Sacra Scrittura, che è lo stesso annuncio della salvezza messo per iscritto.

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La Sacra Scrittura è nata, fin dall’Antico Testamento, per la necessità di non “perdere nemmeno un parola” di quelle che hanno pronunciato i Patriarchi (Abramo, Isacco, Giacobbe, fino a Mosè) e poi i Profeti (fino a Giovanni Battista), in nome di Dio. Il popolo riconosceva come ispirate da Dio queste parole che superavano nella sapienza le culture di tutti gli altri popoli. Morto Abramo, morto Mosè che avevano insegnato a viva voce, queste parole, imparate a memoria (la cultura ebraica era la cultura di un popolo nomade che imparava tutto a memora, non potendo trasportare delle biblioteche da una terra ad un’altra), che cosa sarebbe rimasto?

Ma le cose di Dio dovevano essere trasmesse inalterate e quindi la Legge i Profeti e i Salmi dovevano essere scritti, per essere custoditi come un patto scritto da Dio con il popolo, con l’umanità (l’Alleanza). Le tavole della Legge saranno incise sulla pietra. I codici delle Scritture saranno custoditi come rotoli nell’Arca, nel Tempio e nelle sinagoghe per essere letti al popolo. La Scrittura non è “parola morta”, per Israele, ma è mantenuta in vita dalla sua continua lettura e spiegazione. (I rotoli della Scrittura dovevano anche essere “mantenuti in vita” da una continua opera di restauro, perché non si deteriorassero).

Gesù stesso ne darà prova nel riferire un passo di Isaia a se stesso («Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; apertolo trovò il passo dove era scritto: “Lo Spirito del Signore è sopra di me”… », Lc 4,17-18).

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  1. Quale rapporto esiste fra la Tradizione e la Sacra Scrittura? (80-82; 97)

La Tradizione e la Sacra Scrittura sono tra loro strettamente congiunte e comunicanti. Ambedue rendono presente e fecondo nella Chiesa il mistero di Cristo e scaturiscono dalla stessa sorgente divina: costituiscono un solo sacro deposito della fede, da cui la Chiesa attinge la propria certezza su tutte le verità rivelate.

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Non ci sono due filoni separati: la Scrittura e la Tradizione che camminano parallelamente, indipendentemente senza incontrarsi mai, così che possa accadere che la Tradizione arrivi a contraddire la Scrittura. Al contrario, la Scrittura è nata per fissare le tradizioni orali dei Patriarchi – la Legge – e dei Profeti (Gesù si rifarà spesso a questa espressione: «la Legge e i Profeti», Mt 5,17). E la Tradizione cristiana è nata per spiegare e aiutare a comprendere in tutta la sua profondità la Scrittura, fino a giungere a fissare anche in formule precise, irrinunciabili, le verità in essa contenute: queste formule sono i “dogmi”. il “deposito della fede (depositum fidei)” diviene allora il patrimonio da custodire, che non può essere alterato, ma solo compreso in maggiore profondità, senza contraddizioni interne tra ciò che si diceva nel passato e ciò che si dice nel presente, per quanto riguarda i suoi contenuti essenziali.

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  1. A chi è affidato il deposito della fede? (84,91; 94,99)

Il deposito della fede è affidato dagli Apostoli alla totalità della Chiesa. Tutto il popolo di Dio, con il senso soprannaturale della fede, sorretto dallo Spirito Santo e guidato dal Magistero della Chiesa, accoglie la Rivelazione divina, sempre più la comprende e la applica alla vita.

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Questo numero dà corpo al termine “Tradizione” che, di per sé è un concetto astratto, fino a che non si precisa qual è il “soggetto” che è responsabile, perché ha ricevuto la “consegna” di occuparsi di questa “trasmissione”, e al tempo stesso ne è il “destinatario”. Una nuova generazione è il “destinatario” che riceve dalla generazione precedente, che è il “soggetto”, il “deposito” della dottrina di Cristo, divenendo così, essa stessa “soggetto” nei confronti della generazione ulteriormente successiva. Tutto questo avviene nella «totalità della Chiesa».

Per poter realizzare questa catena di soggetti e destinatari, in modo tale che nulla vada perduto, né alterato, occorre che vi sia chi ne è primariamente responsabile. Questo numero chiama in causa, a questo scopo, prima di tutto «lo Spirito Santo», poi «il Magistero» e il «popolo di Dio», con il suo «senso soprannaturale delle fede». I prossimi numeri, dal n. 18 in poi si occuperanno di esaminare in dettaglio ciascuno degli anelli della catena.

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  1. A chi spetta interpretare autenticamente il deposito della fede? (85- 90; 100)

L’interpretazione autentica di tale deposito compete al solo Magistero vivente della Chiesa, e cioè al Successore di Pietro, il Vescovo di Roma, e ai Vescovi in comunione con lui. Al Magistero, che nel servire la Parola di Dio gode del carisma certo della verità, spetta anche definire i dogmi, che sono formulazioni delle verità contenute nella Rivelazione divina. Tale autorità si estende anche alle verità necessariamente collegate con la Rivelazione.

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Questo n. 16 si limita ad anticipare:

(a) chi è il“soggetto” del Magistero: «il Papa e i Vescovi in comunione con lui»;

(b) qual è il ruolo del Magistero: essere garante «della verità», «definire i dogmi», difendere anche le verità di ragione (filosofiche) che sono «necessariamente collegate con la Rivelazione» (quello che da san Tommaso in poi viene detto, tecnicamente, il revelatum per accidens, cioè il rivelato in modo concomitante).

 

 

 

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