Esposizione e riflessioni sul Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica

(Alberto Strumia)

 

Il materiale qui presentato è disponibile nel suo insieme nel volume: A. Strumia, Libere riflessioni a partire dal Compendio del Catechismo, vol. 1 – Il Credo, Amazon 2021. E in formato testo e audio sul sito albertostrumia.it/Fides-et-Ratio e sul canale YouTube www.youtube.com/c/AlbertoStrumiaAS.

 

Pietro da Cortona, Il trionfo della Divina Provvidenza, 1633-1639, affresco. Roma, Palazzo Barberini, Salone dei Ricevimenti
Pietro da Cortona, Il trionfo della Divina Provvidenza, 1633-1639, affresco. Roma, Palazzo Barberini, Salone dei Ricevimenti

 

Puntata n. 16 (nn. 55-58)

  1. In che cosa consiste la Provvidenza divina? (302-306; 321)

Essa consiste nelle disposizioni, con cui Dio conduce le sue creature verso la perfezione ultima, alla quale Egli le ha chiamate. Dio è l’autore sovrano del Suo disegno. Ma per la sua realizzazione si serve anche della cooperazione delle sue creature. Allo stesso tempo, dona alle creature la dignità di agire esse stesse, di essere causa le une delle altre.

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La Creazione, da parte di Dio, come si è detto, non è riducibile meccanicisticamente ad una sorta di “avvio della macchina del mondo”, ma è l’atto con il quale Dio pone “in essere”, dal nulla, le creature – enti finiti e distinti da Lui, come “esterni” alla Trinità – e le mantiene in esistenza perché non ricadano nel nulla (il nostro linguaggio umano non è adeguato ad esprimere compiutamente questo dato metafisico, ma è pur sufficiente per rendere l’idea).

Ponendole in essere e conservandole in esistenza nel loro “tempo proprio”, già manifesta il Suo amore per loro, volendo che esse “permangano” come esistenti. Già questa è una prima manifestazione della Sua Provvidenza, in quanto Dio “provvede” a farle esistere e a “conservarle” nell’essere. In più Egli le orienta verso di sé come loro Bene e “Fine ultimo”, attraendole a sé. Per fare questo Egli le orienta progressivamente verso dei “beni particolari” che le attirano a sé come “fini intermedi”, mediante le “leggi naturali” (fisiche, biologiche, psicologiche, spirituali) che “governano” il creato. Si parla, in tal senso di “governo di tutte le  cose” (gubernatio rerum) da parte di Dio Creatore. Questo orientare verso il bene in ordine al Sommo Bene che è Dio stesso, è specificamente ciò che chiamiamo “Provvidenza”.

«La Provvidenza riguarda propriamente il mettere a disposizione ciò che favorisce il raggiungimento del Fine, e nel rimuovere gli ostacoli». (San Tommaso, II Sent., d. 11, q. 1, a. 3 co).

Per gli esseri liberi come l’uomo rientra in questa Provvidenza anche la guida, da parte di Dio, per orientare le scelte della libertà umana, offrendo agli uomini i Comandamenti, le positive ispirazioni e soprattutto, la Rivelazione, i Sacramenti, la concezione cristiana della vita e la Grazia per poterla vivere.

Curiosamente, ma non troppo, da qualche decennio, anche le scienze hanno scoperto che, tra le soluzioni delle leggi del mondo fisico e biologico (e non solo) compaiono quelle “traiettorie” che, significativamente, vengono chiamate “attrattori”, in quanto ad essi tendono, come “attratte”, tutte le altre traiettorie che partono da una regione dello “spazio” che li circonda, detta “bacino di attrazione”. Si tratta, in fondo, di una sorta di versione matematizzata del concetto di “finalità”.

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  1. Come l’uomo collabora con la Provvidenza divina? (307-308; 323)

All’uomo Dio dona e chiede, rispettando la sua libertà, di collaborare con le sue azioni, le sue preghiere, ma anche con le sue sofferenze, suscitando in lui «il volere e l’operare secondo i Suoi benevoli disegni» (Fil 2,13).

Questo numero specifica il modo di operare della Provvidenza di Dio “attraverso” l’uomo e “nei confronti” dell’uomo. Mentre per tutte le creature non coscienti e non libere la Provvidenza agisce come “azione di governo” del Creato mediante “leggi vincolanti” (deterministiche o probabilistiche che siano), nei confronti degli esseri umani essa agisce, almeno per alcuni aspetti, coinvolgendo la loro volontà che è una “causa libera” (non determinata necessariamente, né probabilisticamente, ma di per sé, indeterminata).

L’uomo è invitato, chiamato (“vocazione”) a collaborare con il piano del Creatore per fruire dei frutti buoni della Provvidenza. La quale, comunque, non manca di offrirsi anche gratuitamente all’uomo, per richiamarlo verso il bene quando rischia di allontanarsi dalla Volontà di Dio. La collaborazione chiesta all’uomo passa attraverso:

– le sue azioni: in particolare il “lavoro” (cfr., l’esortazione apostolica, di san Giovanni Paolo II, Laborem exercens);

– le sue preghiere: perché Dio “delega” all’uomo una parte della Sua libertà (è il massimo della fiducia che può dargli) e la preghiera altro non è che la libera richiesta dell’uomo a Dio dell’aiuto necessario ad usarla secondo il bene che Dio ha previsto;

– le sue sofferenze: ben sapendo che queste sono una conseguenza del “peccato originale” che ha indebolito nell’uomo la capacità di agire secondo la “giustizia originale” prevista dal Creatore e che, se offerte e affidate a Cristo, esse vengono assunte nella Sua Croce, collaborando a ricostruire la giustizia infranta («Compio nella mia carne ciò che manca alle sofferenze di Cristo», Col 1,24).

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  1. Se Dio è onnipotente e provvidente, perché allora esiste il male? (309-310; 324,400)

A questo interrogativo, tanto doloroso quanto misterioso, può dare risposta soltanto l’insieme della fede cristiana. Dio non è in alcun modo, né direttamente né indirettamente, la causa del male. Egli illumina il mistero del male nel Suo Figlio, Gesù Cristo, che è morto e risorto per vincere quel grande male morale, che è il peccato degli uomini e che è la radice degli altri mali.

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Questo numero introduce la perenne questione del “problema del male”: se Dio è bontà infinita perché il male? Da dove viene, chi lo ha introdotto nel creato? Qui si dichiara senza indecisione che a questa terribile domanda – che ha tormentato l’umanità, in tutti i suoi componenti: le persone semplici, come i filosofi, i pensatori, i legislatori, ecc. – può dare risposta soltanto l’insieme della fede cristiana.

Non è compito del Catechismo trattare delle diverse teorie filosofiche sul male, ma è compito dei filosofi e dei teologi. Come ha fatto in particolare sant’Agostino (contrastando i Manichei che postulavano l’esistenza di un “dio del male” opposto al “Dio del bene”) che per primo ha capito che il male è la mancanza (“privazione”) di un bene che dovrebbe esserci che, rimosso dal suo posto, fa sentire il dolore (fisico e/o spirituale) causato dalla sua mancanza, come una “nostalgia” per il bene perduto. Tutti i teologi cattolici dopo di Lui, lo seguiranno su questa strada.

Si dichiara che Dio non è la causa diretta del male, lasciando intendere che esso deriva, nelle creature libere, dalla deliberata volontà di infrangere il “giusto rapporto” che hanno con Dio Creatore, pagandone di conseguenza gli effetti (il peccato degli uomini e che è la radice degli altri mali). Il fatto che, ai nostri giorni, parlare di “peccato” non venga più compreso nel corretto senso di “rottura della giustizia con il Creatore” e quindi venga ridicolizzato come il prodotto di un moralismo superato, dice quanto si sia ormai lontani da una comprensione adeguata della condizione umana e della storia.

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  1. Perché Dio permette il male? (311-314; 324)

La fede ci dà la certezza che Dio non permetterebbe il male, se dallo stesso male non traesse il bene. Dio questo l’ha già mirabilmente realizzato in occasione della Morte e Risurrezione di Cristo: infatti dal più grande male morale, l’uccisione del Suo Figlio, Egli ha tratto i più grandi beni, la glorificazione di Cristo e la nostra redenzione.

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La risposta a questa domanda rimane, in gran parte racchiusa nella “libertà di Dio” che è umanamente accessibile solo se e in quanto è Dio stesso a rivelarcela. Dio è “trascendente” e se non lo fosse – se noi sapessimo tutto di Lui – non sarebbe Dio. Ciò che la ragione umana può riconoscere come “ragionevole” e la Tradizione cristiana ci ha tramandato, attraverso la riflessione e la fede dei Padri della Chiesa, è la certezza che Dio non permetterebbe il male, se dallo stesso male non traesse il bene. Anzi un “bene più grande”.

Nell’Exultet della veglia pasquale si arriva, quasi paradossalmente, chiamare il peccato originale “felix culpa”, colpa feconda di Salvezza, perché senza di esso non ci sarebbe stata la Croce di Cristo apportatrice dei frutti della Salvezza, che ha arricchito l’umanità e l’universo di una Grazia sovrabbondante rispetto a quella che ha preceduto il peccato. Se i progenitori ebbero i doni preternaturali, a noi è promesso uno stato di gloria ancora più grande, per essere ancora più strettamente associati alla Gloria di Cristo nell’Eternità. Chi ha conosciuto la nostalgia dell’allontanamento dalla persona amata, può amarla ancora più intensamente dopo averla ritrovata. Questa è la scuola della fede, così come i santi l’hanno vissuta.

 

 

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