Esposizione e riflessioni sul Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica
(Alberto Strumia)
Il materiale qui presentato è disponibile nel suo insieme nel volume: A. Strumia, Libere riflessioni a partire dal Compendio del Catechismo, vol. 1 – Il Credo, Amazon 2021. E in formato testo e audio sul sito albertostrumia.it/Fides-et-Ratio e sul canale YouTube www.youtube.com/c/AlbertoStrumiaAS.
Puntata n. 11 (nn. 41-43)
- In che senso Dio è la verità? (214-217; 231)
Dio è la Verità stessa e come tale non s’inganna e non può ingannare. Egli «è luce e in lui non ci sono tenebre» (1 Gv 1,5). Il Figlio eterno di Dio, Sapienza incarnata, è stato inviato nel mondo «per rendere testimonianza alla Verità» (Gv 18,37).
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In questo numero, come in quello seguente, si accenna, prima di parlare della rivelazione della Trinità, a due grandi “attributi” di Dio: la “verità” e l’“amore”.
Per prima cosa si dice che Dio è “la Verità”, nella sua “pienezza”.
–~«Dio è la Verità stessa», sia come “soggetto” che conosce sia come “oggetto” conosciuto, che in Lui si identificano. Già questo è sufficiente a rendere la Rivelazione incompatibile con il “relativismo epistemologico” secondo cui la verità non esiste, ma si danno solo “opinioni”; o se esiste essa è “inconoscibile”. Dio è la Verità e rivelando se stesso rivela la verità su se stesso agli uomini.
–~Si aggiunge, subito dopo, un elemento che introduce alla conoscenza della “natura trinitaria” di Dio, che è un solo Dio nella Sua natura e sostanza, in tre Persone, relazioni uguali per natura e distinte per il loro carattere nel relazionarsi. Si parla del Figlio («Il Figlio eterno di Dio, Sapienza incarnata, è stato inviato nel mondo “per rendere testimonianza alla Verità”»), in relazione al Padre che, pur non essendo qui nominato, è implicitamente presupposto essendoci il Figlio.
Questo è un dato assolutamente nuovo, che la ragione umana non è in grado di raggiungere da sola. Al più, nel pensiero greco, si può trovare un accenno alla bontà di Dio che è paterno con gli uomini, a somiglianza di un padre umano con i propri figli (cfr. Inno a Zeus di Cleante di Asso, qui sotto riportato).
INNO A ZEUS (CLEANTE DI ASSO – III SEC. A.C.)
«O più glorioso degli immortali, sotto mille nomi sempre onnipotente, Zeus, signore della natura, che con la legge governi ogni cosa, Salve.
Perché sei tu che i mortali han diritto d’invocare.
Da te infatti siamo nati, provvisti dell’imitazione che esercita la parola.
Soli tra tutti gli esseri che vivono e si muovono sulla terra. Così io ti celebrerò e senza sosta canterò la tua potenza.
È a te che tutto il nostro universo, girando attorno alla Terra, obbedisce ovunque lo conduci, e volentieri subisce la tua forza.
Così grande è lo strumento che tieni tra le tue mani invitte,
Il fulmine a due punte, fiammeggiante, eterno. Sotto i suoi colpi, tutto si rafferma.
Per suo mezzo reggi la Ragione universale, che attraverso tutte le cose circola, mista al grande astro e ai piccoli.
Grazie ad esso sei diventato così grande ed eccoti re sovrano attraverso i tempi.
Senza di te, o Dio, non si fa niente sulla terra.
Né nel divino etere del cielo, né nel mare, tranne che quel che ordiscono i malvagi nella loro follia.
Ma tu sai riportare gli estremi alla misura, ordinare quel che è senz’ordine, e i tuoi nemici ti divengono amici.
Perché tu hai armonizzato così bene insieme il bene e il male che vi è per ogni cosa una sola Ragione eterna, quella che fuggono e abbandonano i perversi tra i mortali.
Disgraziati, che desiderano senza sosta il possesso dei (pretesi) beni.
E non badano alla legge universale di Dio, né l’ascoltano, mentre, se le obbedissero con intelligenza avrebbero una nobile vita.
Da se stessi si gettano, insensati, da un male all’altro. Questi, spinti dall’ambizione, alla passione delle contese. Quelli, volti al guadagno, senza alcun principio.
Altri, sfrenati nella licenza e nei piaceri del corpo, (insaziabili) vanno da un male all’altro.
E fan di tutto perché succeda loro proprio il contrario di quel che desiderano.
Ah! Zeus, benefattore universale, dai cupi nembi, signore della folgore, salva gli uomini dalla loro funesta ignoranza. Dissipa questa, o padre, lungi dalle loro anime; e concedi loro di scorgere il pensiero che ti guida per governare tutto con giustizia.
Affinché, onorati da te, ti rendiamo anche noi grande onore, Cantando continuamente le tue opere, come si conviene ad un mortale,
Poiché né per gli uomini è più grande privilegio
Né per gli dèi, di cantare per sempre, nella giustizia, la legge universale».
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- In qual modo Dio rivela che egli è Amore? (218-221)
Dio si rivela ad Israele come Colui che ha un amore più forte di quello di un padre o di una madre per i suoi figli o di uno sposo per la sua sposa. Egli in se stesso «è Amore» (1Gv 4,8.16), che si dona completamente e gratuitamente e che «ha tanto amato il mondo da dare il Suo Figlio unigenito, perché il mondo si salvi per mezzo di Lui» (Gv 3,16-17). Mandando il Suo Figlio e lo Spirito Santo, Dio rivela che Egli stesso è eterno scambio d’amore.
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Questo numero ci spiega il secondo grande attributo di Dio, cioè che Dio è Amore. Come per la Verità si può osservare
– che Dio è Amore come “soggetto” dell’Amore, in quanto Dio ama se stesso e le Sue creature, e l’uomo in particolare, come genere umano e come persona individua, unica e irripetibile.
– E Dio è Amore anche come “oggetto” dell’Amore.
= Amore che Egli ha per se stesso (come Dio unico e più manifestamente nello scambio di Amore tra le Persone della Trinità).
= Amore che riceve dalle Sue creature – in senso proprio dagli esseri intelligenti come gli Angeli e gli uomini – in quanto loro sommo Bene desiderabile e fine ultimo, che attrae a Sé tutte le cose.
Questo numero si occupa del solo primo aspetto (Dio come “soggetto” dell’Amore), in rapporto alla Salvezza degli uomini. Per farlo comprendere si fa riferimento all’amore di un padre o di una madre per i suoi figli, o di uno sposo per la sua sposa. Il massimo grado di questo Amore Dio lo ha manifestato (“rivelato”) nell’attuare l’opera della Salvezza, in Gesù Cristo (ha tanto amato il mondo da dare il Suo Figlio unigenito, perché il mondo si salvi per mezzo di Lui).
Per non rendere astratta, come si fa molto spesso, la parola “Salvezza”, bisogna ricordarsi di tutto ciò che nella condizione di un essere umano si percepisce come un’“ingiustizia” che pesa sulla vita quotidiana. Dall’“ingiustizia” in senso fisico (il limite fisico, il dolore nel corpo, la morte) e in senso morale (l’incoerenza, i torti subiti, la sofferenza interiore). Tutto questo lo si avverte esistenzialmente come “ingiustizia” che pesa sull’esistenza.
La Rivelazione ci ha spiegato che questa condizione di “ingiustizia” in se stessi e nei rapporti con gli altri, è l’effetto di una “causa”. E la “causa” è “la rottura, liberamente scelta dall’umanità, della giustizia nel rapporto dell’uomo con Dio”, il rifiuto di seguire le leggi che Dio ha immesso nella natura stessa dell’uomo e delle cose create.
Si tratta di quella “perdita della giustizia originale” (“peccato originale”) che è la causa di tutte le altre ingiustizie. Se si tiene presente questo dato di fatto, la parola “Salvezza” riacquista subito tutta la sua concretezza. La “riparazione” del grande danno, fin nella sua causa più originaria, è ciò di cui l’umanità ha assoluto bisogno. L’Amore di Dio è il soggetto di questa “riparazione”, compiuta in Cristo, il Figlio di Dio che ha assunto la natura umana prendendo su di Sé la nostra colpa e la nostra pena, per ricucire il giusto modo del rapporto tra l’uomo e Dio.
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- Che cosa comporta credere in un solo Dio? (222-227; 229)
Credere in Dio, l’Unico, comporta: conoscerne la grandezza e la maestà; vivere in rendimento di grazie; fidarsi di Lui sempre, anche nelle avversità; riconoscere l’unità e la vera dignità di tutti gli uomini creati a Sua immagine; usare rettamente le cose da Lui create.
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Qui si parla di Dio come “oggetto” del nostro amore; della fede in Dio che si è comunicato nella Rivelazione. Non si tratta appena della “conoscenza razionale” dell’esistenza di Dio, con i Suoi attributi come si possono conoscere filosoficamente e scientificamente (semplicità, unità, eternità, verità, onniscienza, bene, onnipotenza, ecc.). Questa si può anche dimostrare e non è propriamente e sempre oggetto di un “credere” (“fede”), ma della “modalità”, del “come” Lui si è rivelato, in un modo che è “sovrabbondante” rispetto alla nostra immaginazione (la grandezza e la maestà [Gloria]). Al punto tale da suscitare rendimento di grazie verso Dio prima di tutto per il solo fatto che “esiste”, prima ancora che per la Salvezza che ci offre. Questo concetto è espresso bene nella solennità della liturgia quando è bene celebrata; e in particolare nelle parole dell’inno del Gloria che dicono: «Ti rendiamo grazie per la Tua Gloria immensa».
Questo fidarsi di Lui sempre è ciò che la tradizione teologica ha espresso con la formula latina credere in Deum, dove la preposizione in esprime il muoversi “verso” Dio, l’immedesimarsi affettivamente e intellettualmente in Lui, fino ad esprimerlo anche negli atteggiamenti del corpo. Per questo durante la liturgia ci si inginocchia, ci si alza in piedi, si risponde alle invocazioni, si canta.
Ne viene di conseguenza anche un’“antropologia”, una concezione di se stessi e degli altri esseri umani (riconoscere l’unità e la vera dignità di tutti gli uomini creati a Sua immagine).
E una “cosmologia”, cioè una concezione di tutte le cose come “create” (usare rettamente le cose da Lui create). Non si tratta di un’ecologismo che esalta la natura come se essa stessa fosse la divinità e non derivasse da un Creatore che la trascende, ma della natura come opera di Dio Creatore.
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