Ugo Mattei in collegamento con Non è l’Arena, La7

Il professor Ugo Mattei, costituzionalista torinese, si è formato a Torino, a Berkeley, London School of Economics, Strasburgo, Yale e Cambridge. Nel 2011 ha promosso e scritto i referendum contro la privatizzazione dell’acqua. Durante la pandemia di Covid-19, è stata una delle voci contrarie alla deriva totalitaria più autorevoli. Ha fondato il CLN, il Comitato di Liberazione Nazionale, iniziativa storicamente evocativa della gravità del momento che stiamo attraversando. Anche a lui, come a Paolo Becchi, abbiamo chiesto un’opinione circa il perché non sia possibile creare un’opposizione organica al sistema vigente, un tema politico e culturale che ci sembra centrale nel momento che stiamo attraversando.

Mattia Spanò: Professor Mattei, perché non si riesce a mettere insieme un’opposizione seria a questo sistema impazzito in Italia? 

Ugo Mattei: Non è un problema soltanto italiano. Quando tu dici “opposizione seria” intendi un’opposizione che sia in grado di mettere in discussione aspetti fondamentali del regime. La verità è che il sistema della democrazia rappresentativa così come è venuto evolvendosi nei paesi del cosiddetto costituzionalismo liberale è oggi completamente catturata da interessi economici e finanziari. Quindi, tanto i partiti al governo quanto quelli di opposizione rispondono agli stessi interessi. L’opposizione interna al sistema è diventata quasi un ossimoro, nel senso che se sei dentro al sistema non fai l’opposizione: fai la maggioranza di riserva, per portare avanti le stesse politiche economiche e geopolitiche della maggioranza del momento. 

Se si prende in considerazione tutte le democrazie capitaliste dalla caduta del muro di Berlino, è sempre la stessa storia. Non è una peculiarità italiana, ma un problema strutturale molto, molto serio.  

Fuori dal fenomeno della “cattura”, inoltre, fra le opposizioni extrasistemiche ci sono inoltre differenze ideologiche e di approccio metodologico molto marcate. È molto difficile riunirle se non su interessi comuni immediati: le piazze raccolgono dei pezzi di sinistra e dei pezzi di destra, che non potrebbero raggrupparsi sotto un unico ombrello. Il gap ideologico è ancora molto forte. Inoltre, c’è tutto un discorso da fare su quello che potremmo definire feticismo della legalità: un’opposizione extraparmamentare seria non può rispettare le regole formali del diritto, ma al contrario spesso deve romperle per costruirne di nuove. Anche qui ci sono grandi divisioni: molte persone di fronte alla necessità della rottura costituente, si tirano indietro perché dicono “noi rispettiamo la legalità”.  

In gioco ci sono variabili numerose e complesse: quelli che vogliono usare la rappresentanza e quelli che non la vogliono usare, ci sono quelli che credono nei referendum e quelli che non ci credono, quelli che sono di destra e quelli che sono di sinistra, i violenti e i non violenti… 

Però a questo proposito prima delle ultime elezioni nazionali si erano create delle saldature interessanti. Ad un certo punto mi ero perfino illuso che qualcuno riuscisse a mettere piede in Parlamento. 

Nei raggruppamenti e partiti antisistema che si sono costituiti io francamente non ho creduto nemmeno un secondo. Ci sono stati dei “professionisti” della politica che hanno cercato di intercettare le piazze nel momento in cui queste erano vivaci. Le piazze stesse in realtà non erano piazze politiche, piuttosto piazze sindacali: quando hanno tolto, o almeno allentato, l’obbligo del green pass si sono svuotate. Questo tipo di piazze sono rivendicative con una natura sindacale, pre-politica: non mi voglio vaccinare, non voglio essere sorvegliato, non voglio il lockdown… Non c’è una elaborazione ed un impegno politico a tutto tondo in cui ti batti per cambiare il mondo… Certo sulla questione del vaccino potevi mettere d’accordo le destre reazionarie, la componente cattolica più conservatrice, monsignor Viganò da un lato e dall’altro i comunisti, ma che alleanza è? Non è politica, è una cosa che cerchi di fare insieme sul momento, in cui affermi i tuoi interessi cercando di strumentalizzarli pro domo tua. Poi il 25 settembre è successo quel che è successo. 

L’idea del Comitato di Liberazione Nazionale, tuttavia, andava da quella parte. 

Certo che andava dalla parte di resistere alle soperchierie prossime venture, ma politicizzando la resistenza in modo costituente al di fuori dell’ipotesi di partecipare alle elezioni politiche: è addirittura scritto nello Statuto CLN che le elezioni politiche vengono solo dopo uno sforzo costituente, in cui tutti si mettessero d’accordo per evitare un ulteriore sfacelo delle libertà civili e costituzionali. Questa corsa per andare per forza a votare, a candidarsi eccetera, è stata un’operazione per lo più legata ad interessi personalistici, privi di una base operativa consolidata, privi di una visione politica reale. Quelle iniziative sono state delle avventure ultraminoritarie. Esse non hanno nulla a che fare con la possibilità reale di operare oggi una trasformazione. Il solo fatto che un’opposizione giochi con le regole bare della democrazia rappresentativa di oggi, regole taroccate, che non si possono accettare se non divenendo a nostra volta dei bari o dei parassiti. Chi le accetta non vuole davvero fare l’opposizione: vuol fare la maggioranza di riserva. È quello che hanno fatto tutti questi signori: lo ha fatto Beppe Grillo, lo ha fatto la Meloni… qualche capo di partitino, da Paragone a Rizzo, ha provato a intercettare le piazze ma si è trattato di una operazione ultraminoritaria. La Meloni perché ha vinto? Perché ha raccontato agli italiani di essere all’opposizione del draghismo. Dopo di che cos’ha fatto di antidraghista? Nulla. Non credo che se il “dissenso” avesse vinto le cose sarebbero andate diversamente, oltre al fatto che è difficile mettere insieme in politica posizioni tanto diverse… 

Anche le persone di FdI che erano nelle piazze, in genere erano vicine a quell’istanza specifica: la gente aveva paura di farsi vaccinare, ma non c’era un’elaborazione politica. Quelle piazze che hanno fatto crescere il fronte para-politico del cosiddetto dissenso non potevano far nascere nulla di politico perché non erano piazze politiche. E comunque la maggior parte degli italiani supportava la gestione pandemica per convinzione, opportunismo o paura non importa… 

Non è molto diverso da quanto sta capitando in Francia. Quelle non sono piazze politiche, anche se Mélenchon e Le Pen cercano di intestarsele. Sono individui che vogliono andare in pensione due anni prima. Mentre c’è la guerra e siamo sull’orlo della catastrofe nucleare, un lavoratore italiano che va in pensione a 67 (grazie al tradimento dei sindacati confederali) dovrebbe emozionarsi perché i francesi continuino ad andarci a 62? 

Intendiamoci: sono pure dalla parte dei lavoratori francesi, perché io sono sempre dalla parte di chi resiste governi neoliberali, ma la politica sta proprio da un’altra parte. La politica è lavoro nell’interesse altrui, è prendere la cosa pubblica e renderla più importante di te stesso. È una cosa seria, non è andare in televisione a fare i pagliacci o urlare da qualche palco. È stare in mezzo alla gente, con le persone, cercando di essere un punto di riferimento su tante diverse questioni, non fare i paladini di quella cosa lì in quel momento perché di quello si parla e magari riesci a farti invitare a un talk show. 

Altro equivoco colossale: fai politica solo se entri in Parlamento. 

Ma infatti: quando dici “non si riesce più a fare un’opposizione”, non si riesce a farla perché il capitalismo ha vinto. Il capitalismo è incompatibile con l’esistenza della democrazia. Bisogna capire questo, oppure rassegnarsi a partecipare al giochino, ogni quattro o cinque anni andare lì, riuscire a fare qualcosina, ma è di questo che stiamo parlando. La politica si fa fra le persone non nei palazzi, con sacrificio personale anche economico, anche di notte dopo aver lavorato tutto il giorno, non cercando di mettere insieme un reddito per non lavorare…. 

Il colore della vernice sui muri, se li preferisci gialli o verdi… 

Esattamente. Si potrà fare in futuro una coalizione in grado di intercettare quei tre, quattro, cinque milioni di persone che fanno parte del dissenso? Forse sì, anche no, perché poi voglio vedere se tutti questi capetti si mettono d’accordo su chi debba andare a fare il capo vero, ma comunque non sarebbe risolutivo, perché quello che secondo me, in questo momento, bisogna cercare di fare è una politica con la P maiuscola, consapevole di trovarsi in un sistema in avanzato stato di putrefazione, che miri a fare delle nuove istituzioni, un nuovo momento costituente, delle coalizioni veramente ampie.  

È il motivo per cui credo ancora nei referendum, che è e resta l’unico modo di contare davvero quante persone la pensano in un determinato modo su determinate questioni. Delle campagne referendarie che non abbiano soltanto un respiro tecnico-specifico, ma che abbiano un respiro politico facendoli crescere politicamente, hai fatto una cosa importante. Il referendum del 2011 sui beni comuni aveva sì delle componenti tecniche – il prezzo dell’acqua, la messa a gara dei servizi – ma al tempo stesso aveva portato il paese a una riflessione profonda sul neo-liberismo, a rendere politica la categoria dei beni comuni, anche se poi ha purtroppo generato la reazione brutale di Monti, e tutto quello che è accaduto dal 2011 in avanti. 

Io credo che in questo momento non possiamo pensare di costruire un’opposizione senza avere un parametro, un termometro vero di ciò che pensano gli italiani. Ad esempio, sulla pandemia: quelli che hanno resistito al vaccino e soprattutto al green pass erano, e sono, un mondo minoritario. La verità vera è che gli italiani sostenevano il governo, tanto è vero che all’epoca su cosa cercavamo di batterci? Sui diritti delle minoranze. Adesso invece sulla guerra è possibile che il governo non sia più in maggioranza. Ma serve coerenza perché l’aggressività della NATO e il sostegno cieco dell’Italia ai suoi piani espansivi è iniziata molto prima, almeno con i bombardamenti di D’Alema e Mattarella su Belgrado, quando i Comunisti Italiani sostenevano quello scempio etico e politico.  

Adesso il paese è diviso in un altro modo, ma credo sia un erroraccio cadere nel trappolone di pensare che gli stessi gruppi che erano contro il green pass siano anche contro la guerra: è vero in un certo senso esiste una sovrapposizione ma essa è rilevante solo fino ad un certo punto. La maggioranza degli italiani che ubbidiva al green pass oggi credo sia contraria all’invio di armi in Ucraina se non altro perché ci rendiamo conto della rovina economica che la guerra ci sta creando. Questa potrebbe essere una nuova fase politica se saremo capaci di dimostrare in modo ufficiale e certificato che il governo non ha la maggioranza su questo tema e che gli italiani vogliono il welfare non il warfare. Questo apre delle prospettive per un’opposizione molto seria, perché maggioritaria che va declinata in una nuova politica di sovranità popolare, beni comuni, inclusività sociale, solidarietà e cosmopolitismo, non globalismo atlantista.  

In questa fase io credo si possa usare in modo incisivo un solo strumento, quello referendario. Se tu vinci un referendum dimostri di essere maggioranza nel paese, perché lo devi essere in modo istituzionalmente obbligatorio superando difficoltà enormi e ottenendo così una vera legittimazione popolare. Oggi l’astensionismo rende necessariamente i governi minoritari! Il referendum crea perciò una legittimazione addirittura maggiore rispetto a quella parlamentare se si riesce a trovarne un contenuto politico oltre che tecnico. Per me la costruzione di un’opposizione vera passa di qui. 

Bisogna far capire che in questo momento in Italia c’è una questione democratica grande come una casa, perché comandano persone che non hanno nessuna legittimazione a comandare. C’è un ceto politico parassitario e indecente, un livello culturale infimo, un livello di sudditanza culturale, economica e sociale rispetto al blocco angloamericano incredibile, e c’è qualcuno della cosiddetta opposizione delle piazze che vuole continuare a operare in quell’ambito perché è il solo modo di far politica che conosce. 

Non c’è la possibilità che questo leviatano vada in crisi? 

Non so. Penso di sì. In fondo, siamo sull’orlo di una guerra. Io credo che se riusciamo a organizzarci bene sulla raccolta delle firme per questo referendum, (prego tutti i tuoi lettori di mettersi a disposizione su www.generazionifuture.org ) ci siano buone possibilità di vincere e cambiare rotta almeno in Italia. Pace e sanità insieme, ben spiegate, ben articolate, possono costituire un punto di partenza per una rinascita democratica che riprenda il filo dei beni comuni, spezzatosi dopo la vittoria referendaria del 2011, a causa del tradimento grillino. Il budget per la difesa aumenterà di 14 miliardi e scenderà di ulteriori 4 quello della sanità nei prossimi due anni. Credo sia abbastanza facile far capire il nesso! 

 


Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente le opinioni del responsabile di questo blog. Sono ben accolti la discussione qualificata e il dibattito amichevole.


 

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