di Roberto Allieri
Clamoroso! Una recente ricerca, commissionata da agenzie governative albanesi, ha dimostrato la superiore qualità dei gelati prodotti in Albania. Infatti, su un campione di 500 produttori di gelati, alla domanda ‘il suo gelato è buono?’ il 99,8 % ha risposto affermativamente (l’unico che non ha risposto è perché non aveva capito la domanda). Ma c’è di più: al quesito ‘è meglio il gelato albanese o quello italiano?’ la risposta non è stata molto favorevole al prodotto italiano. Anzi, per niente.
Raccomandiamo questa analisi statistica al nostro ministro della salute e allo stuolo di esperti che lo supportano, da girare al Governo. Lo dice la scienza: c’è un gelato più buono oltre i nostri confini. Bisognerà obbligare gli italiani a comprarlo e rinunciare al gelato italiano.
‘Lo dice la scienza!’ (il mantra preferito da chi ci governa, che ha da tempo sostituito il precedente ‘ce lo impone l’Europa’). Quante volte abbiamo sentito saggi, giornalisti, politici e virologi appellarsi a responsi che sembravano scolpiti su pietra, per promuovere e poi imporre il vaccino selvaggio.
La copertura dei vaccini contro il rischio di contagi è oltre il 90%, anzi al 95%, dicevano. Abbiamo poi scoperto che queste risultanze erano certificate insindacabilmente dalle stesse aziende farmaceutiche produttrici. Oppure da agenzie internazionali fortemente condizionate dalle Big Pharma (per esempio, l’EMA – European Medicines Agency – è finanziata all’86% da entrate per ‘diritti e oneri a carico delle case farmaceutiche’ – vedi qui)
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Quando in una data questione scientifica (ma anche altri ambiti) un attore riveste contemporaneamente il ruolo di giocatore e di arbitro, si pone un gigantesco problema di conflitto di interessi. Si tratta allora di stabilire le ‘regole del gioco’; e occorre farlo preventivamente, non a partita in corso.
Alle basi del sapere scientifico, prioritariamente e preventivamente al suo sviluppo, c’è infatti una questione filosofica e di metodo da porre, che risponde ad un’esigenza di obiettività.
Sin dai primordi del pensiero filosofico greco si è dibattuto di EPISTEMOLOGIA. Il termine designa l’analisi critica dei fondamenti, della natura e delle condizioni di validità del sapere scientifico. In altre parole, occorre affrontare un dibattito sulla ‘filosofia della scienza’.
Altro controllo di conformità a cui deve sottostare la ricerca è il rispetto della deontologia: essa fa riferimento al complesso di norme etico-sociali che disciplinano l’esercizio di una data attività o professione.
Il campo di indagine è sterminato e non può essere oggetto di una breve trattazione. Tuttavia, sperando possa essere utile, accennerò a qualche elemento degno di approfondimento.
Parlare di vaccini senza un preventivo dibattito di ciò che qualifica l’attendibilità delle fonti e delle conclusioni nonché i criteri di verifica, conduce ad un sistema dove si afferma non tanto la verità del dato scientifico ma l’interesse della fazione più potente.
Dunque, presupposto di ogni ricerca scientifica è un metodo condiviso. Qualunque indagine che pretenda di avere carattere scientifico deve sempre essere in grado di rendere conto del rispetto di vari requisiti metodologici. Nessuno possiede a priori la patente di scienziato. Qualunque studio o ricerca, per essere qualificato come scientifico, deve sempre sottostare ai presupposti che qualificano la ricerca come autenticamente scientifica: deve, in ultima analisi, porsi al servizio della scienza e sottrarsi a condizionamenti o interessi di parte.
Non è questo un discorso ozioso; infatti, il mondo scientifico poggia la propria credibilità sul preciso rispetto di tali passaggi di verifica per ridurre al minimo l’elemento umano, soggettivo o ideologico che può compromettere la serietà della ricerca.
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Cui prodest: ovvero, a chi giova questo risultato? È una questione prioritaria che dovrebbe sempre essere esaminata in ogni ricerca scientifica.
Il rischio che si deve avere di mira e scongiurare è che taluni, ammantandosi del titolo di ‘scienziato’, possano imporre risultati ottenuti con metodi non oggettivi o condizionati da elementi soggettivi. Il problema diventa ancora più evidente quando entrano in gioco interessi personali o ideologici: quando cioè l’esito di un’indagine al di là dell’oggetto di ricerca può essere strumentalizzato a beneficio di una categoria di persone o di una ideologia o di una fazione politica o quando diventa conveniente assecondare una moda, una tendenza sociale o le aspettative di uno sponsor.
Siamo uomini, fragili, e possiamo facilmente sbagliare: per questo la scienza, se vuole presentarsi al di sopra dei limiti umani, deve prevedere ed applicare norme che preservino l’imparzialità e l’onestà della ricerca da calcoli opportunistici.
A rigore, nessuno studioso può dirsi del tutto immune dal pericolo di inquinare la ricerca con vantaggi personali. La fama, il prestigio, lo sfruttamento economico di un risultato e la promozione di carriera sono i pungoli più evidenti. Ma se ad essi aggiungiamo i condizionamenti del mondo accademico o sociale che, a volte, boicottano o emarginano chi fornisce evidenze scientifiche non in linea con l’ideologia corrente, il quadro deontologico si fa ancora più delicato.
Al fine di godere di maggiori riconoscimenti e credibilità, in un ambito di letteratura medico-scientifica sono stati elaborati protocolli di riscontri e verifiche. Le ricerche condotte secondo queste buone pratiche possono essere riconosciute come ‘peer reviewed’ (revisione paritaria, ovvero con il confronto di terzi, addetti ai lavori di pari livello). Si può parlare di sistematicità della verifica e del dubbio. Quest’ultimo è basilare per il progresso: nel dibattito scientifico (ma anche in democrazia) avere dubbi non è un crimine. Lo è invece la repressione faziosa del dissenso.
Alla nobiltà dell’ideale ‘epistemologico’, all’obiettivo di lealtà dell’approccio scientifico, non sempre però fa riscontro una piena corrispondenza nella realtà dei fatti. Occorre infatti vigilare che, sotto l’ambita etichetta di ‘peer reviewed’, non vengano perpetrate frodi scientifiche.
Esiste infatti una resistenza di carattere soggettivo alle nuove informazioni che non si inseriscono in un quadro ben consolidato e influenzato da interessi economici o politici. Così come, in genere, nell’informazione c’è una selezione delle notizie, un mercato che premia un certo genere di notizie e boccia quelle scomode, altrettanto succede nell’informazione scientifica. Accade infatti sempre più spesso che riviste mediche, autorità sanitarie ed aziende farmaceutiche promuovano prodotti e ricerche inficiati da omissioni di informazioni, analisi su campioni inadeguati, conflitti di interessi, etc.
Altro ineludibile campo di indagine collegato agli studi epistemologici è quello dell’analisi del BIAS, al quale dedico un fugace cenno. Mi limito qui alla sua definizione: errore sistematico di giudizio, sviluppato sulla base di informazioni in possesso. Elemento distorsivo del campione che altera un valore di riferimento.
Il BIAS è dunque l’elemento soggettivo di giudizio che può inquinare o comunque influire sul risultato di una ricerca. È un’interferenza che può essere determinata anche da valutazioni inconsce. Ad esempio, l’eccesso di fiducia verso sé stessi, nelle proprie analisi e competenze predittive induce a squilibri ed errori che mistificano la realtà. Oggi si parla in questi casi di ‘euristica dell’overconfidence’; una volta si definiva hybris, superbia o tracotanza intellettuale. E’ importante riconoscere e calibrare tali tenaci convinzioni, per poter definire adeguate strategie e scelte comportamentali.
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Tutte queste premesse di metodo potrebbero risultare sconfortanti dal momento che l’esigenza di oggettività nel sapere scientifico sembra cozzare e naufragare contro una incoercibile soggettività. Già Dante riconosceva che ‘affetto lega intelletto’ (Paradiso, canto 13, v. 120) ovvero che la ragione è legata al sentimento. È forse questo un abbraccio asfissiante che rende impossibile mantenere l’oggettività in certi ambiti di ricerca? Oppure esiste una via, un metodo per contemperare ragione e sentimento…
Per rispondere a questo dubbio trovo illuminante rifarmi al pensiero di Giussani, che ha sviluppato un interessante proposizione del problema con una ragionevole soluzione nel suo libro ‘Il senso religioso’ (primo volume di un percorso articolato in tre trattazioni). Ma questo sarà oggetto di un prossimo approfondimento, Deus et Paciolla adnuenti…
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