Giorgia piange per l'ecoansia - foto ANSA
Giorgia piange per l’ecoansia – foto ANSA

 

 

di Mattia Spanò

 

La commovente scenetta fra la giovane ecoansiosa in lacrime e il ministro dell’ambiente Pichetto Fratin che le tiene dietro nello sconforto è, di per sé, quanto di più scialbo e patetico si possa vedere.

Il punto non è se la ragazza sia un’attrice, e se lo stesso Pichetto si sia commosso a comando. La politica è una sorta di presepe laico, per non dire laido, con figuranti in pose statiche. Ricordate le lacrime della Fornero?

L’episodio è trascurabile. Una ragazza si sfoga, e il ministro piagnucola di rimando. Perché allora tanto risalto?

Il sistema deve sdoganare la nuova paura: l’ecoansia. Per farlo ha bisogno di un momento simbolo. D’ora in avanti la nuova patologia è la paura del futuro rovente. Il pianeta brucia, anzi bolle, come ha detto il Segretario ONU Guterres.

È un effetto della riduzione di qualsiasi fenomeno umano o naturale al suo estremo patologico.  Morboso in senso letterale. Ogni moto dell’animo è malattia incurabile. L’umanità, un lazzaretto.

Dubito che una sofferenza psicologica di qualche tipo abbia la stessa capacità di bucare, sgonfiandole, le coscienze dell’influenza Covid. Un virus è oggettivo e democratico: a prescindere dagli effetti può infettare chiunque o quasi. La malattia mentale non è trasmissibile, anche se può essere scatenata dalla comunicazione. Si dice che durante una lettura radiofonica che Orson Wells fece de La guerra dei mondi, libro che narra un’invasione aliena, ci furono alcuni suicidi tra gli spettatori convinti che si trattasse di una cronaca.

Il punto è la paura. Sei contrario all’ideologia omosessualista? Omofobo. Hai da ridire sui trans? Transfobico. E poi le classiche patologie: agorafobia, claustrofobia, tanatofobia, algofobia e tutte le fobie possibili. Comprese quelle nuove di zecca. Se ne possono creare all’infinito.

Ognuno si rassegna a vivere attivamente, o subire passivamente sul piano sociale, l’etichetta di pauroso. Questa è già di per sé una formidabile prigione semantica: chi può negare di avere paura di questo o di quello? O sei vittima della paura, o sei il carnefice: la paura ti rende debole e al tempo stesso aggressivo. Una combinazione quasi perfetta di istinti animali.

Ciò che si tralascia di mettere in luce è il valore enorme che ha la paura nello sviluppo della persona e delle società umane. Cioè l’elaborazione della paura. In un mondo attraversato in lungo e in largo da psicologi che consigliano come allacciarsi le scarpe o quando mangiare le fragole alla panna, stranamente non ho letto mezza riga su come combattere questa “ecoansia”. Tramite psicofarmaci?

Con grande accuratezza il potere sceglie le paure buone da alimentare, come quella del cambiamento climatico e dei virus, distinguendole da quelle cattive da combattere: i migranti, i transessuali, le discriminazioni, il dissenso col governo. La paura è irrazionale, si dice. La sua gestione per finalità più o meno manifeste, a quanto pare no.

La paura è un impulso meccanico teso a preservare il soggetto da fenomeni che ne mettono a repentaglio l’incolumità o la vita stessa. Appiattire una persona sulle sue paure non significa ridurla alla sua dimensione psicologica, ma al suo contrario: la rimozione della psiche, la sua assenza e totale irrilevanza.

Un individuo terrorizzato, lacrimoso, tremebondo e sconvolto è un individuo concluso a tutti gli effetti. È arrivato. La paura dovrebbe essere interessante non in quanto tale, ma in quanto reazione alla paura: successo, fallimento, lotta, incertezza.

Non solo. Come individuo finito, compiuto, lo sguardo del fobico è convesso sulla paura stessa. Che questa paura abbia un fondamento fattuale, un dinamismo, non ha nessuna importanza. Non importa nemmeno che la paura sia una reazione meccanica a qualcosa: una volta innescata, si alimenta da sola, e diventa paura di tutto.

In particolare, il soggetto fobico – cronicamente fobico – avrà costante bisogno della fornitura di paura, perché egli sopravvive in quanto spaventato: è la vita concepita come fuga dalla morte. In altre parole, la sua identità come fenomeno complesso e alterato dagli stati d’animo che si susseguono viene spazzata via.

È l’egoansia, la paura dell’io. Il rifiuto del proprio io che genera una condizione di diffidenza costante, fastidio di sé. Del fatto di essere, di esistere, di cambiare. Persino di morire.

Da tempo si procede per affermazioni apodittiche: il Covid uccide, il vaccino salva, vinceremo la guerra, il mondo brucia. La questione a mio avviso degna di nota non è tanto se queste affermazioni abbiano un fondamento: alcuni ce lo troveranno, altri troveranno l’opposto logico.

È affascinante invece osservare il grado di attaccamento delle persone a queste “verità”. Che sono tali per la semplice ragione che sono credute tali. Le cose si spiegano con le cose stesse. L’acqua è acquosa, i petali petalosi, il sugo sugoso. La paura spaventosa.

Dopo secoli trascorsi a combattere concettualmente il divino, l’intangibile, l’invisibile, di colpo si affermano certezze granitiche sui virus, sul futuro, sulla storia (i buoni vincono le guerre, e i buoni siamo noi). Si tratta di credenze tautologiche, autopoietiche: si realizzano, o dovrebbero farlo, perché diciamo che lo fanno.

Queste credenze sono a loro volta invisibili e intangibili, indimostrabili al massimo grado. Ma dove il divino non andava bene, l’umano assoluto, creduto tale, è perfettamente accettato. L’umano si gioca e conclude nel terrore di alcune evidenze, come il dolore e la morte. La paura realizza precisamente ciò da cui scappa.

I germi di questo rifiuto, per la verità, sono presenti da decenni. Costituiscono l’ossatura della cultura moderna fin dentro le pieghe del pensiero quotidiano.

Esempi sparsi. Il ricorso alla chirurgia plastica e il rifiuto dell’aspetto più distintivo della femminilità, vale a dire la maternità, nelle donne – il rifiuto dell’alfa e dell’omega, nascita, declino e morte – la perfetta sovrapposizione fra rigetto del lavoro e della fatica con il desiderio della ricchezza (lavorare meno e guadagnare di più: il leit-motiv alla base dell’euro), il culto sfrenato della violenza gratuita nell’uomo – la violenza e il caos come fini, non come mezzi sporadici per il conseguimento della pace. Sempre maschile è la divinizzazione della prestanza sessuale, il culto dell’orgasmo, il piacere fugace architrave della performance sessuale come succedaneo dell’amore sponsale.

La passione futurista per la macchina, per la velocità e l’inanimato – a scapito della lentezza biologica – non è mai declinata. Ha preso anzi un abbrivio implacabile. Parte di questa fascinazione risiede forse nel fatto che la macchina non teme, non soffre, è “animata” se così si può dire da una sorta di atarassia.

Il problema non è mai il futuro, se non come visione e speranza, e quieta accettazione di ciò che accade perché si è consapevoli che non dipende da noi. La distinzione fra ciò che si può e ciò che non si può è fondamentale in qualsiasi civiltà. È il concetto di limite che segna il confine della potenza. Rimuoverlo significa ridurre l’uomo ai suoi incubi, occupandone lo spazio psichico. Non è l’esercizio di un potere ma il suo contrario: è l’esercizio dell’impotenza. Ecco perché collasserà su sé stesso.

Il problema è che le profondità dell’io sono state murate e rese inaccessibili. Il mondo interiore non interessa a nessuno, se non come triste coloritura di ciò che si sa di credere. Ciò che conta è fuori di noi. Il mondo fuori.

Si cerca di giustificare fuori ciò che è stato già redento e abbandonato dentro. L’ansia per le sorti del pianeta nasconde quella ben più ferrigna e crudele verso il proprio io che brucia. Se non si coglie questo aspetto, penso che sia difficile comprendere appieno la genesi di questa follia. La paura distorce e rende pazzi perché in ultima analisi è il rifiuto della coscienza di un limite invalicabile posto in ogni cosa.

La soluzione è di disarmante semplicità: se una volontà buona, attribuita generalmente a Dio, vuole che io oggi muoia, io oggi morirò. Rendere grazie.

 

 

 


Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente le opinioni del responsabile di questo blog. I contributi pubblicati su questo blog hanno il solo scopo di alimentare un civile e amichevole confronto volto ad approfondire la realtà.


 

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