di Aurelio Porfiri
Si è parlato molto in questi giorni, e con ragione, delle dichiarazioni del Papa emerito Benedetto XVI sugli abusi sessuali. Se ne è parlato anche perché il testo è certamente interessante. La polemica stupida sul fatto che lui possa aver scritto o no il testo è veramente da ignoranti: forse che papa Francesco scrive tutti i suoi testi? O Mattarella? Trump? Ovviamente queste persone hanno responsabilità istituzionali così forti che hanno dei dipendenti incaricati di stendere discorsi al loro posto, naturalmente rispettando le idee di chi le leggerà. Quindi il fatto di leggere o pubblicare poi quel discorso lo fa divenire de facto emanazione dell’autorità – religiosa, politica, civile, etc. – che lo ha commissionato. Quindi, scritto o no direttamente da Ratzinger, ne rappresenta ufficialmente il suo pensiero.
Molti sono rimasti edificati dallo scritto, altri delusi. Papa Francesco identifica il clericalismo come causa degli abusi. Ratzinger vede la decadenza della morale, soprattutto ai tempi delle rivoluzioni culturali identificate con l’anno 1968. Decadenza che si riflesse nella teologia morale, che si indebolì includendo ciò che per sua natura avrebbe dovuto escludere. Non ha torto papa Francesco parlando del clericalismo come una delle cause degli abusi, ma credo che l’analisi di Ratzinger vada in un certo senso più in profondità, in quanto il clericalismo è certamente più efficace quando esso si muove in un ambiente senza argini morali. Quando i confini sono chiari, si può essere chiamati alle proprie responsabilità con molta più efficacia rispetto a tempi in cui ogni peccato viene inquadrato nella categoria della “fragilità psicologica” e quindi per questo non punibile.
Il Papa emerito ha detto:
“Tra le libertà per le quali la Rivoluzione del 1968 cercò di lottare c’era questa libertà sessuale totale, che non ammetteva più alcuna norma.
Il collasso mentale era anche legato ad una propensione alla violenza. Per questo motivo i film a sfondo sessuale non erano più ammessi sugli aerei perché la violenza avrebbe potuto scoppiare tra la piccola comunità di passeggeri. E poiché l’abbigliamento dell’epoca provocava anche l’aggressione, i direttori scolastici tentarono anche di introdurre uniformi scolastiche al fine di facilitare un clima di apprendimento.
Parte della fisionomia della Rivoluzione del ’68 era che anche la pedofilia veniva poi valutata come consentita e appropriata.
Per i giovani della Chiesa, ma non solo per loro, questo è stato per molti aspetti un momento molto difficile. Mi sono sempre chiesto come i giovani in questa situazione potessero avvicinarsi al sacerdozio e accettarlo, con tutte le sue ramificazioni. Il crollo estensivo della successiva generazione di sacerdoti in quegli anni e l’altissimo numero di laicizzazioni furono una conseguenza di tutti questi sviluppi.”
(per le citazioni uso la versione tradotta da Sabino Paciolla per questo blog).
Veramente interessante osservare come il clima del ‘68, tre soli anni dopo la conclusione del Vaticano II, in realtà rese il clericalismo un male ancora più efficace. Come abbiamo osservato, il clericalismo è un male sistemico della Chiesa come di altri sistemi, nella Chiesa, toccando il bene delle anime, è ancora più fastidioso. Ma non si potrà mai eliminare del tutto, se non in un mondo utopico. Ho sempre pensato che non c’era tempo peggiore per avere un Concilio che gli anni ‘60. L’ermeneutica del Concilio è stata attraversata dal ‘68 dandoci come risultato il clima ecclesiale che ci opprime da decenni.
Come osserva Ratzinger nella dichiarazione, la teologia morale crollò:
“Alla fine, fu soprattutto l’ipotesi che la moralità dovesse essere determinata esclusivamente dalle finalità dell’azione umana che prevalse. Mentre la vecchia frase “il fine giustifica i mezzi” non era stata confermata in questa forma grezza, il suo modo di pensare era diventato definitivo. Di conseguenza, non poteva più esserci nulla che costituisse un bene assoluto, più di qualsiasi cosa fondamentalmente malvagia; (potevano esserci) solo giudizi di valore relativo. Non c’era più il bene (assoluto), ma solo quello relativamente migliore, dipendente dal momento e dalle circostanze”.
Ma io penso sarebbe un errore limitare l’influenza nefasta del clericalismo alla sfera sessuale. In essa si manifesta come si manifesta in altre sfere. E non sono così illuso dal pensare che si possa eliminare il clericalismo dalla vita della Chiesa. Quello che si può fare, è eliminare l’omertà soprattutto da parte di laici, a volte interessati perché conniventi.
Il ‘68 è il problema? È certamente almeno una parte del problema, le cui cause di molto lo precedono ma che hanno trovato in questo anno, e nel clima culturale dell’epoca, una visibilità e un’accettazione inaspettata.
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