Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto da Phil Lawler e pubblicato su Catholic Culture. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. Ecco l’articolo nella traduzione da me curata. 

 

Arcivescovo Timothy P. Broglio (CNS photo/Bob Roller)
Arcivescovo Timothy P. Broglio (CNS photo/Bob Roller)

 

Mentre la Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti (USCCB) conclude la sua riunione a Baltimora, vedo due segnali incoraggianti.

In primo luogo, i vescovi americani si sono uniti ai vescovi di Inghilterra e Galles nel chiedere a Papa Francesco di nominare San John Henry Newman Dottore della Chiesa. Potrebbe un appello essere più tempestivo? Al Sinodo sulla sinodalità, i delegati si sono imbattuti in una confusione sullo sviluppo della dottrina: un argomento sul quale la trattazione di Newman è magistrale.

Richiamare l’attenzione su Newman, proclamandolo Dottore della Chiesa, significherebbe richiamare l’attenzione sulla sua chiara spiegazione che la dottrina cattolica si sviluppa come si sviluppa qualsiasi altro essere vivente: crescendo, maturando, mandando nuovi rami. Ma la dottrina non si sviluppa mai diventando qualcos’altro. (Né lo fanno le persone: un altro punto su cui i sofisti del XXI secolo hanno bisogno di un promemoria).

La Chiesa può guardare a una particolare dottrina da una nuova prospettiva e trarne nuove intuizioni. Potrebbe rendersi conto di implicazioni della dottrina che non erano state riconosciute in precedenza. Potrebbe persino concludere che le precedenti interpretazioni della dottrina erano fuorvianti. Ma la Chiesa non dirà mai che una dottrina definita è sbagliata e deve essere cambiata: che mentre la Chiesa ha solennemente pronunciato X in passato, ora insegnerà Not-X in futuro. Questo non sarebbe uno sviluppo della dottrina, ma un cambiamento della dottrina. E se la dottrina può cambiare, allora non è ciò che la Chiesa afferma essere, cioè la verità rivelata. La verità non cambia perché la verità è rivelata in Gesù Cristo, “lo stesso ieri, oggi e in eterno”. [Eb 13,8]

Uno sguardo nuovo all’opera di San John Henry Newman potrebbe anche raddrizzare i molti punti deboli della discussione del Sinodo sul sensus fidelium. Sì, il senso dei fedeli – le convinzioni della grande massa dei comuni fedeli cattolici nel corso della storia – può fornire una guida sicura. Ma si noti con attenzione che questo è il senso dei fedeli, che non si trova in, né è governato da, sondaggi di opinione e seminari di facoltà. Scrivendo recentemente su The Catholic Thing, padre Thomas Weinandy ha spiegato:

Papa Francesco è entusiasta di consultare i fedeli nel fare teologia. I “fedeli”, tuttavia, sembrano comprendere tutte le persone, anche quelle che hanno una falsa immagine di Dio. Il sensus fidelium è composto, per sua natura, da quei laici che sono fedeli a ciò che la Chiesa insegna. Poiché credono in ciò che la Chiesa insegna, sono autentiche guide e testimoni della fede e del suo futuro autentico sviluppo.

Coloro che non credono, o che mantengono posizioni errate, o che desiderano cambiare l’insegnamento dottrinale e morale della Chiesa non fanno parte, ipso facto, del sensus fidelium. Francesco sembra rifiutarsi di fare questa distinzione cruciale: tutti devono avere voce nella Chiesa sinodale, indipendentemente dalla loro fede autentica.

Nel suo recente motu proprio sullo studio della teologia (che, vorrei notare, è scritto in uno stile sospettosamente simile a quello del cardinale Victor Manuel Fernandez, il nuovo prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede), Papa Francesco chiede un “cambiamento di paradigma” nell’approccio teologico. “Per promuovere la teologia nel futuro”, sostiene, “non ci si può limitare a riproporre astrattamente formule e schemi del passato”. Quale scuola di teologia sta criticando il Pontefice? Qual è il paradigma superato che deve essere cambiato?

In quel documento, Ad Theologiam Promovendam, Papa Francesco insiste sul fatto che la teologia dovrebbe essere radicata nell’esperienza piuttosto che fatta da una scrivania in una torre d’avorio. È giusto così. Ma Sant’Agostino non scrive forse a partire da un bagaglio di esperienze? E San John Henry Newman? Il sottotesto del documento papale, a quanto pare, è l’atteggiamento secondo cui la teologia dovrebbe prestare più attenzione alle tendenze del pensiero contemporaneo e meno agli antichi insegnamenti della Chiesa. Come ha detto Larry Chapp, sempre su The Catholic Thing, “in altre parole, la coda esperienziale sta per scodinzolare il cane cristologico”.

Il secondo segnale incoraggiante della riunione dell’USCCB è stato il discorso dell’arcivescovo Timothy Broglio, presidente della conferenza episcopale, in cui ha sfidato abbastanza apertamente le opinioni negative sulla Chiesa americana recentemente espresse dal cardinale Christophe Pierre, nunzio papale negli Stati Uniti. Contrastando l’idea (che sembra essere popolare a Roma) che la Chiesa americana sia arretrata, l’arcivescovo ha richiamato l’attenzione sulla fede vivace del popolo americano e “sulle molte realtà sinodali che già esistono nella Chiesa degli Stati Uniti”.

L’arcivescovo Broglio non ha tirato fuori la conclusione, ma era lì lì per essere tirata: Se si vuole una teologia basata sull’esperienza, l’esperienza di una Chiesa americana vivace, con tutti i suoi problemi, è una guida migliore dell’esperienza, ad esempio, della Chiesa in Germania, dove centinaia di migliaia di cattolici disertano formalmente la fede ogni anno.

Al di là del merito delle argomentazioni dell’arcivescovo, il semplice fatto che egli sia in disaccordo con il rappresentante del Papa è di per sé un segno di speranza. In quest’epoca di dolorosa confusione sulla fede, il modo migliore per ristabilire la chiarezza è uno scambio sincero. La storia della Chiesa è segnata da disaccordi tra vescovi – spesso accesi – che hanno portato a nuove comprensioni e, sì, anche allo sviluppo della dottrina.

Che differenza fa una generazione! Negli anni ’90, i cattolici americani che avevano a cuore gli insegnamenti perenni della Chiesa guardavano a Roma per correggere le tendenze centrifughe all’interno della gerarchia americana. Ora i ruoli si sono invertiti e contiamo sui nostri vescovi americani per proteggerci dalla confusione che si sta diffondendo oltreoceano. Che San John Henry Newman li assista!

Phil Lawler

 

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