A proposito del Motu Proprio Traditionis Custodes (leggi anche qui e qui), ecco la riflessione del prof. Leonardo Lugaresi ripresa dal suo blog.
Se vogliamo guardare la realtà, la realtà è che, almeno qui da noi in Europa, a messa ormai non ci va quasi più nessuno. I giovani mancano da un pezzo. (Le volte in cui i preti, con qualche pretesto, ne intruppano un po’, per qualche occasione particolare in cui il vescovo o il cardinale di turno li vede e si illude, non contano: qui si parla della messa come asse portante della vita ordinaria). I vecchi un po’ di più ci andavano, ma un anno fa la chiesa, in affanno pandemico, ha fatto capire che non era poi così importante e che si poteva anche seguire in televisione … così molti non son tornati più. In ogni caso, i vecchi muoiono e tra un poco anche quel fondo di barile sarà raschiato. Muoiono anche i preti, che sono quasi tutti vecchi, così tra un po’ trovare una messa sarà complicato e questo ridurrà ulteriormente il numero dei partecipanti. Ci vorrà molta buona volontà.
Perché il punto, a mio modo di vedere, è precisamente questo: per andare a messa, in un mondo non cristiano come è il nostro, bisogna avere delle buone ragioni. Ma la ragione adeguata è una sola: sapere e capire, almeno un po’ , che cosa è veramente, nella sua essenza, la Santa Messa. Per meno di questo, non vale la pena. Se ne facciano una ragione, i preti: come prodotto, nel contesto socio-culturale odierno, la messa non ha più mercato. Cambiare la confezione o fare le offerte speciali non serve a nulla. Come prodotto, è finita.
Se è un evento – ma non nel senso sciocco in cui oggi si spreca la parola per una festicciola qualsiasi, bensì proprio un fatto drammatico come lo è un terremoto, una guerra, una pandemia … o un miracolo – se anzi la messa è l’evento per eccellenza, l’unico evento che realmente incide e cambia tutta la storia, se prendervi parte è dunque (letteralmente) una questione di vita o di morte, allora il mercato e il gradimento del pubblico non c’entrano più nulla. Chi sa e capisce cos’è, a messa ci va, anche a costo della vita. Il che, come i fatti dimostrano, ormai non succede quasi più.
Negli ultimi decenni, un numero imprecisato ma crescente di persone, molte delle quali giovani, ha trovato una risposta al proprio bisogno di capire che cos’è la Messa partecipando alla liturgia vetus ordo, celebrata cioè con il messale precedente alla riforma avvenuta dopo il concilio Vaticano II (dopo il concilio, ma non secondo la volontà di quel concilio, come è sempre bene ricordare). Queste persone dicono di aver tratto un grande beneficio da tale scelta, che ha dato respiro alla loro fede. Prendendone atto, papa Benedetto XVI con il Motu proprio Summorum Pontificum, del 7 luglio 2007, decise di assecondare tale movimento spirituale, concedendo la più ampia facoltà di celebrare secondo il vecchio rito, non in opposizione ma nella prospettiva di un fecondo arricchimento anche del nuovo rito, che restava e resta quello ordinario nella chiesa cattolica. La sua decisione – che urtava profondamente una certa nomenklatura ecclesiastica – fu largamente disattesa, come molte altre del suo pontificato, per il semplice fatto che egli non faceva paura a nessuno. (So che è brutto da dire, ma penso che sia così). Comunque degli effetti li produsse e contribuì a incrementare la frequenza al rito antico.
Non sono nel numero di quei fedeli, anche perché nella mia città la messa vetus ordo non si è mai celebrata, ma non stento a credere alle loro testimonianze. Sono nato nel 1954 e quindi ho un ricordo, infantile sì ma abbastanza preciso, di quella messa. Ricordo, fra l’altro, che a noi piccoli non faceva alcun problema che fosse in latino. (Mi scocciò alquanto, invece, che proprio quando il parroco me l’aveva fatta imparare bene per poter servire la messa, improvvisamente tutto quel lavoro risultò inutile; così come la mia innata parsimonia si ribellò quando fece abbattere la balaustra di marmo che aveva appena costruito intorno al presbiterio, solo per adeguarsi alla nouvelle vague eucaristica che non prevedeva più di inginocchiarsi per ricevere la comunione). Ma soprattutto ho nettissimo il ricordo che, quando suonava il campanello all’elevazione, era ben chiaro per noi che stava accadendo Qualcosa, così come era chiaro che nel tabernacolo c’era Qualcuno.
Dal 1965 non ho più assistito a quella messa, ma sempre e solo alla nuova liturgia. Ora, parlando solo per me, in tutta coscienza e assumendomi la responsabilità di ciò che dico, dichiaro quanto segue: io ho avuto l’impareggiabile grazia di ricevere, senza alcun merito, una buona istruzione cristiana. Di conseguenza, un po’ so e un pochino capisco che cos’è la messa. Per questo ci vado, non solo la domenica ma anche durante la settimana (anche se da giovane ero più assiduo di oggi) e continuerò a farlo, a Dio piacendo, finché avrò vita, prendendo senza fare storie “quel che passa il convento”. Però devo dire che, da mezzo secolo, nel modo in cui normalmente si celebra la liturgia nella chiesa cattolica è pochissimo quello che mi aiuta a comprenderne il mistero ed è moltissimo quello che mi ostacola o mi distrae da esso. Quindi, per dirla brutalmente, io vado a messa nonostante il modo in cui abitualmente la si celebra.
So di non essere il solo, perché ho sentito altri dire la stessa cosa. Ho anzi l’impressione che siamo in molti a vivere questo disagio e chissà, forse se si facesse una grande operazione di verità come quella della favola del re nudo si scoprirebbe che quasi tutti siamo messi così. Penso quindi che le autorità ecclesiastiche dovrebbero prioritariamente porsi questo problema.
Vedo che il papa, invece, la pensa diversamente. Evidentemente egli pensa che il problema più grave ed urgente della chiesa sia quello di reprimere, e possibilmente estinguere, il movimento spirituale che il suo predecessore aveva al contrario ritenuto di assecondare. La cosa deve parergli tanto grave e tanto urgente da non poter aspettare la morte di Benedetto XVI, (benché egli abbia 94 anni!) e risparmiargli un’umiliazione così ingiustamente incresciosa.
Non discuto. Il papa è lui, spetta a lui prendere questo tipo di decisioni, e lui solo ne renderà conto a Dio. Noi pecorelle ubbidiamo.
Non posso però fare a meno di ricordare che un’altra volta, molto tempo fa, quando le autorità religiose di allora dovevano decidere cosa fare di un movimento religioso che dava loro fastidio, ci fu un tale che si alzò e disse: «non occupatevi di questi uomini e lasciateli andare. Se infatti questo piano o quest’opera fosse di origine umana, verrebbe distrutta; ma, se viene da Dio, non riuscirete a distruggerli. Non vi accada di trovarvi addirittura a combattere contro Dio!» (Atti 5, 38-39). Ma forse Gamaliele non abita più qui.
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