Allora, da ultimo, operativamente, vi do due direttive.
1) La prima direttiva è la lotta per la stima, che ha tre fattori:
a) La lotta per la stima si attua prima di tutto con il do-mandare, il mendicare, il questuare questa appartenenza a Cristo: si chiama «preghiera». La preghiera, se non è do-manda, è intellettualismo o sentimentalismo. La preghiera è la domanda di appartenerGli attraverso lo strumento storico in cui si è fatto incontrare. Domanda, cioè preghiera.
b) In secondo luogo, la meditazione. Andate a rivedere la sintesi dell’agosto scorso su questa parola. Dopo che è stato colpito da Cristo, Zaccheo, quando era a casa con la moglie, coi figli, oppure “contrattava” le tasse, come aveva sempre fatto, perché viveva di quello, paragonava continuamente quello che stava facendo con quella faccia che lo guardava, con quell’orizzonte nuovo di luce che si era instaurato in lui: questa è la meditazione. E poi studio della dottrina cristiana, cioè renderci conto di quello che è il fatto cristiano, studio del fatto cristiano: del senso religioso, di quello che è il cristianesimo e di ciò che è la Chiesa. Studio della dottrina: questo studio è parte della meditazione. Domanda o preghiera, meditazione o riflessione, criterio dell’appartenenza su come trattiamo le cose e studio di ciò cui apparteniamo. Dobbiamo avere passione di conoscere il fatto cristiano, la storia della Chiesa per esempio. Per favore, leggete la Storia della Chiesa per bambini di Jaca Book, vi prego di leggerla — se non vi piace ve la pago io dopo —, saprete cose che non sapete.
c) E, terzo, allenamento a non avere paura del sacrificio. Perché, ragazzi, se io stimo ciò cui appartengo, se io appartengo, vuole dire che devo abbandonare in qualche modo me stesso: «Chi si perde si trova», «chi si perde per me si trova»,” dice Gesù. Perciò l’allenamento a non avere paura del sacrificio: questo è il valore del lavoro, dello studio, del dovere, questo è il valore della dedizione delle proprie energie, gratuitamente, nel servizio al movimento, secondo tutta la sua espressività e richiamo, ma questo è il sacrificio inerente al rapporto con la ragazza, col ragazzo, coi genitori. Se non siamo capaci di mettere in preventivo questo — non di riuscire, di realizzare —, se non desideriamo questo, se non facciamo allenamento in questo, ma a che cosa apparteniamo? A noi stessi, e diventa troppo labile la speranza di quel cambiamento che è il miracolo della vita.
Quindi — prima direttiva — lotta per la stima, che si ottiene attraverso queste tre cose: preghiera o domanda, meditazione o riflessione e studio, allenamento al sacrificio.
2) Seconda direttiva: l’esercizio del giudizio. Questo è fondamentale. Diceva alla fine di un suo romanzo Paul Bourget, un autore della fine dell’Ottocento: «L’uomo o agisce come pensa o finisce per pensare come agisce»? Perciò, alla lunga, senza essere del tutto socratici, il problema è il giudizio, l’esercizio del giudizio.
a) Per questo vi dico anzitutto: attenzione, la realtà non va archiviata perché noi già sappiamo, abbiamo tutto. Abbiamo tutto, ma che cosa sia questo tutto noi lo comprendiamo nello scontro, meglio, nell’incontro con le circostanze, le persone, con gli avvenimenti. Non bisogna archiviare niente, l’ho detto prima, né censurare, dimenticare, rinnegare niente. Cosa voglia dire il tutto che abbiamo, la verità che abbiamo, che portiamo in noi — «Noi possediamo lo Spirito di Cristo», diceva san Paolo senza riserve, diversamente da tanti cattolici del cosiddetto post-Concilio —, che cosa significhi questo «tutto» lo capiamo nel giudizio, affrontando le cose, perciò attraverso il fatto degli incontri e degli avvenimenti, attraverso l’incontro — identificando questa parola nel rapporto con le persone — e negli avvenimenti. Bisogna portare giudizio su questi rapporti e giudizio sugli avvenimenti! Il fenomeno dei giovani dell’85, se ha colto un po’ di sorpresa tutti noi, però, là dove le comunità erano vive, presto o tardi, più presto che tardi, ha fatto risaltare la nostra posizione dapprima come l’unica alternativa e poi addirittura ha fatto polarizzare molti di questi giovani attorno a noi.
Allora, innanzitutto, bisogna non archiviare la realtà, ma giudicarla (incontri e avvenimenti). Se è così, vuole dire che siamo sempre all’erta, sempre in cammino, cioè sempre vivi.
b) In secondo luogo, per l’esercizio del giudizio, uno strumento particolare è la Scuola di comunità, la serietà nella Scuola di comunità di quest’anno. Ragazzi, bisogna impararla, non leggere e dire: «Ho capito», ma imparar-la, impararla, giudicando il proprio modo di comporta-mento attraverso quel che lì vi si dice. Non ci sarà un capoverso che non dirà qualcosa di nuovo, come giudizio, sul nostro modo di vivere.
Per adesso satis est, che vuole dire «basta».
Tratto da:
Luigi Giussani
“L’io rinasce in un incontro“
(1986-1987)
Pagg. 53-56
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