di Pierluigi Pavone
1.
La tradizione orientale riporta la meditazione che Cristo quando si incarnò, non trovando Adamo sulla terra, lo cercò persino “agli inferi”.
Come Adamo infatti stese le braccia per aderire al peccato, così Cristo stese le braccia per aderire alla volontà del Padre e compiere l’opera di redenzione e riscatto. Proprio per la colpa di Adamo, nel quale tutti noi abbiamo peccato. Senza il peccato di Adamo e se il peccato non fosse ereditato da tutti gli uomini verrebbe meno anche la Croce. Non avrebbe senso il Sacrificio di espiazione. Dio facendosi uomo e morendo paga, invece, col sangue il debito inestinguibile per l’umanità.
Se fosse sceso dalla Croce manifestando in quel modo la Sua divinità, la colpa antica non sarebbe stata redenta e tutti noi avremmo ottenuto la condanna.
2.
Ora, il valore di questo riscatto comprende anche “i giusti dell’Antico Testamento”, i quali, morendo prima della venuta di Cristo, non potevano accedere al Paradiso. Perché l’unico modo per andare al Padre è esclusivamente Cristo e i meriti contratti sull’altare della Croce.
A me piace pensare specialmente a San Giuseppe. Fra tutti i giusti che liberò, sono convinto che lo sguardo che si posò su colui che lo aveva custodito da bambino fu di commozione infinita.
La santità e la giustizia di San Giuseppe sono ineguagliabili. San Giuseppe costituisce la porta di accesso a Maria – che amò, custodì e protesse con perfetta virtù – e Maria è la porta di accesso per il Figlio, perché difficilmente si conoscerà il Figlio e difficilmente si otterranno Grazie, se non per mezzo della mediazione corredentrice della Madre di Dio.
Lo sguardo di Cristo si posa nel Vangelo su molti uomini e donne. E non di rado il Signore è tanto infastidito e sofferente per la durezza del cuore o la meschinità di molti, quanto commosso per la fede o l’amore che peccatori gli riservano, implorandoLo di guarire le loro infermità.
Infinite volte quello sguardo si posò sulla Madre – l’unica senza peccato, che poteva “resistere” maternamente e umanamente allo sguardo di Dio, che aveva portato nel Suo stesso grembo -, fino ad affidarla a tutti noi come Madre, nell’ultimo sguardo prima di morire.
Così su Giuseppe che senza capire tutto, aveva accettato le indicazioni dell’angelo e aveva custodito anche lui molte cose nel cuore.
Ancor di più lo sguardo di Gesù si posò su di lui, quel giorno incredibile tra il venerdì e la domenica. Si posò su Adamo, su Abramo, su Mosè, su Davide e sui profeti che avevano parlato proprio di Lui e sperato di vedere il tempo riservato, invece, ai discepoli. Accolse Eva che per prima cedette alla menzogna di farsi come Dio.
3.
Cosa fu, dunque, la discesa agli inferi?
Una apocatastasi? Un topos letterario?
Spesso si leggono strani confronti di analogie superficiali o interpretazioni assurde. Certamente sono da evitare due errori molto diffusi:
A) le analogie con la tradizione greca e latina: Ulisse o Enea o Orfeo che scendono nell’Ade e incontrano i morti.
Ulisse, nell’Odissea, dopo la permanenza presso la maga Circe e prima di ripartire per il ritorno a Itaca, compie il viaggio nell’oltretomba, incontra l’amico Elpenore, che lo prega di dargli sepoltura degna, conosce dettagli del suo futuro per bocca di Tiresia, incontra la madre che non può abbracciare. Similmente Enea, secondo l’opera di Virgilio, ha la possibilità di vedere luoghi e personaggi infernali (riscontrabili anche nella Divina Commedia) o i Campi Elisi (dove incontra il padre).
Più drammatico è il fallimento di Orfeo per non riuscire a salvare l’amata Euridice per l’intemperanza di voltarsi a guardarla prima di trarla definitivamente fuori. Più eroica è l’impresa di Ercole di catturare Cerbero.
In tutti questi casi si riscontra la permanenza nell’Ade – per definizione il luogo del buio in cui è impossibile vedere – come una permanenza senza speranza né attesa alcuna. Tra i vivi e i morti c’è un abisso definitivo e incolmabile. Unica eccezione è l’idea della reincarnazione di alcune anime in Virgilio, destino però riservato ad alcuni e comunque per morire. L’Ade è semplicemente il regno dei morti. Ade come divinità (Plutone) è il fratello di Zeus e sovrano dell’oltretomba.
In secondo luogo, si tratta di racconti mitici e iniziatici. Inoltre colui che entra nel regno dei morti non redime nessuno e a sua volta comunque morirà (come avviene anche per i racconti relativi al “tornare in vita” che non ha nulla a che vedere con la Resurrezione).
B) l’idea di una sorta di apocatastasi, come se Cristo avesse liberato i dannati. L’apocatastasi era la teoria cosmica dello stoicismo, secondo cui l’universo – il cui principio attivo è dio stesso in senso panteista – rigenera ciclicamente se stesso. Questa idea di rigenerazione penetrò teologicamente anche nel Cristianesimo e fu adottata da alcuni in senso escatologico e profondamente eretico e illogico. L’idea di una “conversione” o “salvezza” dei dannati (uomini o angeli) contraddice sia il senso di Giustizia di Dio, sia il fatto che l’anima viene giudicata – nel momento della morte in cui abbandona il corpo e quindi la dimensione temporale – in modo irreversibile (come è avvenuto per ogni angelo ab aeterno). Gli angeli ribelli da sempre e per sempre infatti recitano il loro “non serviam” subendo la pena eterna dell’inferno.
4.
Cristo discende agli inferi perché vuole liberare coloro che – in quanto giusti – non subivano la pena infernale, pur non potendo accedere al Paradiso e che ora partecipavano dei meriti della Croce, in virtù dei quali è dato loro non solo superare le barriere del paradiso terrestre – da cui Adamo era stato cacciato – ma quelle definitive del Cielo.
In questo senso è – come sempre – preziosa la precisazione di San Tommaso:
“Uno può trovarsi in un luogo in due modi. Primo, mediante i suoi effetti.
E in questo modo si può dire che Cristo discese in ogni parte dell’inferno: però con effetti diversi.
Infatti nell’inferno dei dannati egli produsse l’effetto di confondere la loro incredulità e la loro malizia.
A coloro invece che si trovavano in purgatorio diede la speranza di raggiungere la gloria.
Ai santi Patriarchi poi, che erano all’inferno solo per il peccato originale, infuse la luce della gloria eterna.
Secondo, si può dire che uno è in un dato luogo col proprio essere.
E in questo modo l’anima di Cristo discese solo in quella parte dell’inferno in cui erano detenuti i giusti: poiché volle visitare anche localmente con la sua anima coloro che mediante la grazia visitava interiormente con la sua divinità. Così tuttavia, portandosi in una parte dell’inferno, irradiò in qualche modo la sua azione nell’inferno intero: come soffrendo la sua passione in un solo luogo della terra liberò con essa tutto il mondo” (Somma teologica, III, 52,2).
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