Domenica VII del Tempo Ordinario (Anno C)
(1Sam 26,2.7-9.12-13.22-23; Sal 102 (103); 1Cor 15,45-49; Lc 6,27-38)
di Alberto Strumia
L’insegnamento delle letture di queste ultime tre domeniche del Tempo Ordinario che si inseriscono tra la fine del Tempo di Natale (lo scorso 10 gennaio, Festa del Battesimo del Signore) e l’inizio del tempo di Quaresima (il prossimo mercoledì 2 marzo) non si può comprendere adeguatamente se non vengono considerate insieme, nella loro continuità.
In questa successione ordinata di testi – sia dell’Antico come del Nuovo Testamento – infatti, la liturgia, partendo dalla prime letture per arrivare al Vangelo e alla sua applicazione nelle seconde letture, prospetta un modo di concepire l’essere umano (“antropologia”) e le relazioni tra gli esseri umani (“dottrina sociale”), che sono quelle che Dio Creatore stesso ha previsto per il loro “giusto” modo di vivere “bene”.
Domenica scorsa si parlava di una condizione di vita “maledetta” («Maledetto l’uomo che confida nell’uomo», prima lettura), malsana, patologica, derivante da una visione dell’esistenza che tiene conto solo dell’uomo, impostando la vita personale e la civiltà, “come se Dio non esistesse”, secondo la formula: Dio se c’è non c’entra, presa come principio regolatore della vita (è il “peccato originale” che riemerge in ogni tempo della storia).
E viceversa si prospettava, l’alternativa di avere un’esistenza “benedetta” («Benedetto l’uomo che confida nel Signore»), positiva, per quanto ancora segnata dagli effetti del peccato originale. Ma tale da mettere in condizione da puntare tutto lo sguardo e decidere i criteri morali di orientamento delle azioni da compiere, a quella condizione eterna nella quale la “giustizia” verrà ritrovata interamente (il Paradiso) da chi l’ha seriamente perseguita quaggiù.
Nelle letture di oggi, dalla prima lettura fino al Vangelo, la Rivelazione ci descrive il comportamento di chi ha incominciato a vivere seguendo il modo di guardare all’essere umano e alle sue relazioni sociali, non solo “come se Dio esistesse” – perché Dio c’è e c’entra con tutto, essendo Colui che dà l’esistenza e la “regola buona” per governare tutto – ma seguendo ciò che Egli insegna agli uomini sulla loro condizione e su come vivere per il loro bene-essere.
Tenere conto della Rivelazione, che ha la sua pienezza in Gesù Cristo, è la strada giusta da seguire, per tutti:
= i “credenti” devono arrivare a capirlo fino in fondo;
= e i “non credenti” devono essere messi di fronte all’evidenza dei fatti per arrivare ad essere credenti.
I nemici, dei quali parla Gesù nel Vangelo, sono quelli che si ostinano su altre strade, che non portano, non solo alla vita eterna dei beati in Cielo, ma neppure ad un bene stabile sulla terra. Di quello che si costruisce in questo modo fasullo non rimarrà che il deserto.
Il comandamento di amare i propri nemici non è un ingenuo invito a lasciarsi imbrogliare, derubare, e anche uccidere; ma è il richiamo a fare di tutto per convincerli che sono su una strada che li porterà, alla fine, a fare del male a sé stessi, a quella condizione “maledetta” («maledetto l’uomo che confida nell’uomo») della quale ci parlava la prima lettura della scorsa domenica.
Per farlo toccare con mano a chi non lo vuole capire, occorre usare la “ragione” al servizio della “fede”, documentando con l’evidenza dei fatti che le cose non stanno come loro – i “nemici” – vorrebbero imporre che fossero (è la menzogna delle “ideologie”). Perché la realtà non obbedisce a chi la vuole determinare con il proprio potere e, alla fine la verità oggettiva rispunta come l’erba tra i sassi che dovrebbero impedirglielo.
– Nella prima lettura, Davide dimostra di averlo capito e non uccide colui che era diventato il suo nemico Saul, ma si procura le prove materiali (ecco il compito della “ragione”), per dimostrargli che lo avrebbe potuto uccidere. Ma non lo ha fatto, perché ha tenuto conto di Dio («non ho voluto stendere la mano sul consacrato del Signore»): aveva fatto sua una diversa concezione dell’uomo, che era diventata il suo modo di pensare e di agire. Dio lascia a tutti la libertà di decidere per la verità e il bene, così da poterli apprezzare e amare (Dio «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere per quelli che fanno il bene e per quelli che fanno il male», Mt 5,45).
– Nel Vangelo, l’invito a porgere l’altra guancia non è da intendersi come segno di debole cedevolezza del cristiano, ma al contrario come “una sfida” culturale, antropologica. L’altra guancia ha la “durezza” della realtà dei fatti («rendo la mia faccia dura come pietra», Is 50,7), contro la quale nessuno che la voglia negare, può prevalere. La mano con la quale le ideologie di oggi che vogliono un mondo in cui “Dio se c’è non c’entra”, si sta già rompendo le ossa contro la durezza della faccia della realtà dei fatti, contro la quale esse non funzionano.
A chi crede di strappare Cristo – strappare il mantello – dalla civiltà cristiana per tesserne uno uguale, realizzando una civiltà senza di Lui, lasciamo anche la tunica. Gli si affloscerà tra le mani, privata della Sua presenza, priva della forza dello Spirito.
Amare i nemici significa fare di tutto per portarli a Cristo; e dal momento che è Dio che tocca interiormente il cuore degli uomini, si incomincia con la preghiera per loro, come fanno i santi. E si prosegue con la vicinanza umana quando inizieranno, se vorranno, a domandarla sinceramente. Altro che cedere un passo dopo l’altro alla logica del mondo!
Non si giudicano le coscienze («Non giudicate e non sarete giudicati»), che solo Dio conosce, ma si devono giudicare i fatti, per distinguere il bene dal male e regolarsi di conseguenza («Giudicate con giusto giudizio!», Gv 7,24).
– La seconda lettura spiega il fondamento oggettivo della differenza tra le due concezioni dell’uomo, tra le due condizioni nelle quali l’uomo si trova stando nell’una o nell’altra. La condizione dell’Eternità, in Cielo, sarà quella definitiva finale, ma già da ora essa è il punto di riferimento per vivere bene la condizione terrena. L’uomo, il vecchio Adamo, è ricostruito in Cristo, nuovo Adamo. Tutto il destino della storia si gioca sulla scelta della via giusta («Io sono la Via», Gv 14,6), perché «senza di Me non potete fare nulla» (Gv 15,5).
Maria che percorrendo la strada giusta prima di noi, ha addirittura collaborato a costruirla, è colei alla quale ci aggrappiamo per percorrerla anche noi con la sua guida sicura.
Bologna, 20 febbraio 2022
Scrivi un commento