“Dio ci ha creati liberi, non immortali, quindi va preservata e tutelata prima la libertà, e poi la salute”. Il messaggio dell’amico Roberto Z. ha condizionato la mattinata. La tentazione, di fronte a tanta adamantina trasparenza e nettezza, è quella di chiosare o cavillare.
Si potrebbe dire, ragionando per un verso, che anche altre cose vengono prima della salute – i figli, ad esempio – o per l’altro avanzare i soliti esausti sofismi di derivazione lockiana sul fatto che non siamo liberi di contagiare, come se il delirio dell’autocontrollo potesse trattenere il virus (allora perché non respingerlo quando prova ad attecchire?). Si potrebbe perfino sostenere che Dio è un po’ ottuso: alle vette di Draghi, Speranza o un più modesto Matteo Bassetti proprio non arriva.
La verità è che sono inferenze che incrostano il misero intelletto umano, appesantiscono la ragione e conducono in un groviglio di rovi. Certe espressioni icastiche al contrario, parenti prossime della preghiera, andrebbero semplicemente contemplate. La statura dell’uomo, in ultima istanza, è definita dallo stupore.
Ecco perché per noi schiavi della “tirannia dell’intelligenza” (Karol Wojtyla, Fratello del nostro Dio) cioè del leggere dentro le cose, l’unica domanda che dovrebbe contare è: Dio è intelligente?
Sembra che la Chiesa e il mondo siano attraversati da una grande ansia di intelligenza, che l conferisce un valore smodato. Intelligenza che consiste nell’orientare il giudizio rettamente, secondo scopi desiderabili ma pur sempre ipotetici: cose che devono accadere, ignote, incorporee. È come se l’uomo giocasse la sua libertà sul fatto di essere come Dio, mettendosi in concorrenza con Dio. L’eterno nòstos al giardino dell’Eden, al momento della decisione che scatena l’ira divina: il poco furbo padrone di casa, per un morsetto innocente ad un frutto, perde la brocca e scaccia l’astutissimo uomo e signora dalla condizione che il Creatore ha preparato per lui.
Eccoci. No, Dio non è intelligente.
Non può dirsi intelligente perché in Dio pensiero e azione creatrice sono coincidenti. Non ha il problema di “leggere dentro”. Non esiste separazione tra forma e sostanza, in Dio, né fra mondo e intelletto. Non ha alcun bisogno da soddisfare, nessuno sforzo gli occorre per capire. Ha la sapienza perché è la Sapienza. Colui che sa, non deve arrovellarsi.
Dio non è intelligente perché è onnisciente e onnipotente. L’intelligenza, per dirla con l’Aquinate, è adequatio rei ad intellectus. Dio non ha il problema di sapere, perché sa, né il problema di potere, perché può. Nemmeno la parola volontà, che implica una forza appetitiva, soccorre: Dio non ha bisogno di volere. Fa e basta. La cosa, vivente o inorganica, finita o infinita, gli appartiene. Le idee di onnipotenza e onniscienza sono approssimazioni concettuali.
Quando si dice “fare la volontà di Dio” si intende scoprire qualcosa che è già avvenuto e non è modificabile. Nel Getsemani il Figlio chiede al Padre “se vuoi allontana da me questo calice” (Lc 22, 42) – è l’uomo Gesù che parla – “ma sia fatta la Tua volontà” – è il Dio che finisce la frase: non rinnega il Figlio, né tradisce o abbandona la carne umana, al contrario la comprende e la sposta su un altro piano. Non esiste parola nella lingua umana che esprima sinteticamente il concetto.
Stiamo, in questo momento storico, assistendo ad un collasso dell’intelligenza umana, sia nelle persone comuni, sia nelle autorità. La tirannia dell’intelligenza sfocia nella schiavitù anche materiale, cioè l’asservimento ad un potere che in ultima analisi non esiste. Né può esistere, perché tutto il potere appartiene a Dio. I draghi sputano fuoco, le speranze muoiono per ultime e i bassetti crescono perché Dio così vuole. Non volesse, di loro non resterebbe nemmeno il ricordo.
L’essenza di Dio – “io sono Colui che sono” è il suo nome – non è comprensibile all’uomo. Possiamo vederne gli effetti, persino discuterli nel falò delle vanità, quando potremmo semplicemente goderne. Sta alla nostra intelligenza, cioè al nostro limite supremo, lo iato fra la materia e lo spirito inafferrabile. La vera libertà, alla radice, è quella dello stupore.
È un terribile stupore scoprire che si muore. Una meraviglia altrettanto grande scoprire che a riparazione sia del peccato che della cacciata, quasi a risarcimento della morte stessa, viviamo liberi. Perciò la libertà – meglio, il libero arbitrio – viene prima. Non può esserci dubbio su questo.
Paradossalmente, sarebbe a maggior ragione vero se Dio non esistesse: se la vita finisse con la morte, la libertà diventerebbe un bene ancora più estremo e intoccabile, ben oltre qualsiasi legge. Un bene selvaggio, primordiale, letale, capace di cannibalizzare qualsiasi altro ragionamento o proposta. L’argomento circa la nostra mortalità – a noi scegliere se liberi o schiavi – è inattaccabile. Possiamo pensare che Dio sia stupido, o che ci debba delle spiegazioni, o meglio ancora possa cambiare idea. Rimane il fatto che le cose stanno in quest’ordine.
Nel film tratto dalla piéce teatrale di Wojtyla, Zanussi mostra il pittore Adam Chmielowski steso nella neve che ride. Gliene chiedono il motivo. Risponde: “Rido perché mi sono liberato dalla tirannia dell’intelligenza”. È il momento della sua conversione, il momento in cui rinuncia all’intelligenza e stupisce di tutto.
Bisognerebbe ragionarsela meglio prima di pronunciano parole a vanvera, come libertà, salute, intelligenza, autorità o potere, chiedendosi quale autorità le ha poste e in quale ordine. Viceversa si corre il rischio di prendere per prove di intelligenza le loffe mentali di ometti senza un briciolo di cervello, sapienza, né cuore.
È difficile aggiungere qualcosa alla Luce.