Rilancio un articolo di Marco Cosentino, ordinario di Farmacologia presso l’Università dell’Insubria, pubblicato sul suo profilo Facebook.
Previsto come reato dal Regio Decreto 27 luglio 1934, n. 1265 “Testo Unico delle Leggi Sanitarie”, agli artt. 170, 171 e 172, nonché dal decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219 “Codice del farmaco” all’art 147, comma 5 (come recita wikipedia qui), il comparaggio consiste da parte del medico o del farmacista nell’accettare denaro o altri benefici per prescrivere o dispensare farmaci NON nell’interesse primario del paziente bensì dell’industria farmaceutica o dell’operatore sanitario. E’ comparaggio anche l’accordo tra medico e farmacista per indirizzare il paziente verso una determinata farmacia in cambio di vantaggi e benefici di vario genere al medico.
Il Codice di Deontologia medica non parla di comparaggio, termine che è stato eliminato dal testo nel 2014 (qui) preferendo utilizzare una circonlocuzione più neutra all’art. 31 dove recita che “Al medico è vietata ogni forma di prescrizione concordata che possa procurare o procuri a se stesso o a terzi un illecito vantaggio economico o altre utilità.” (qui)
Ora, indubbiamente il compenso per la somministrazione dei vaccini covid è assolutamente lecito in quanti previsto da leggi dello stato, da normative regionali e da accordi contrattuali di vario genere, il che esclude l’applicabilitò delle definizioni precedenti. E’ tuttavia difficilmente negabile che l’entità di determinati compensi possa rischiare di influenzare le scelte cliniche. Curiosamente, il Codice di Deontologia medica nel dare la definizione di conflitto di interessi (CoI) all’art. 30 parla di situazioni nelle quali “il comportamento professionale risulti subordinato a indebiti vantaggi”, col che richiamando nuovamente l’idea di beneficio illecito. Ove però lo stato paghi il medico per le vaccinazioni somminstrate e non per le persone visitate indipendentemente dalla scelta di vaccinarle o meno nel loro individuale e specifico interesse, non si può negare che lo stato chieda al medico di vaccinare “a prescindere”, col che rischiando di influenzare l’autonomia decisionale del medico stesso.
Il che deve spostare la nostra attenzione all’art. 13 del Codice di Deontologia medica, che riguarda la prescrizione dei medicinali e in generale di presidi preventivi, diagnostici, di cura e riabilitazione. L’articolo è lungo, plausibilmente data la complessità e delicatezza della materia, e impegna il medico per molti aspetti che rischiano di risultare alquanto problematici quando applicati ai vaccini covid, che sono medicinali approvati sotto condizione e per i quali sia l’efficacia che la sicurezza rimangono per molti aspetti in larga parte ancora da definire e per cui determinate questioni sono di recente state addirittura secretate per motivi non noti (https://www.ilfattoquotidiano.it/…/per-ema-i…/6579323/).
Questo specifico aspetto pare cozzare frontalmente proprio con i paragrafi conclusivi dell’art 13 che recitano: “Il medico non adotta né diffonde pratiche diagnostiche o terapeutiche delle quali non è resa disponibile idonea documentazione scientifica e clinica valutabile dalla comunità professionale” e ancora “Il medico non deve adottare né diffondere terapie segrete.” Ora, indubbiamente i vaccini covid NON sono terapie del tutto segrete, ma altrettanto indubbiamente vari loro aspetti sono segreti (ricordano un poco quell’associazione che tanti anni fa fu appunto definita “non segreta ma con dei segreti”). Quindi almeno qualche riflessione va fatta.
Ancora l’art. 13: “Il medico è tenuto a un’adeguata conoscenza della natura e degli effetti dei farmaci prescritti, delle loro indicazioni, controindicazioni, interazioni e reazioni individuali prevedibili e delle modalità di impiego appropriato, efficace e sicuro dei mezzi diagnostico-terapeutici.” Questo aspetto ovviamente rimane ampiamente insoddisfatto nel caso dei vaccini covid. Si veda ad esempio il piano ENA di gestione del rischio di questi prodotti, che nella sezione VI riporta una tabella che enuncia con chiarezza i rischi identificati (anafilassi e miocarditi), quelli potenziali (potenziamento della malattia indotto dal vaccino) e le informazioni mancanti. Tra queste ultime:
– l’uso in gravidanza e allattamento;
– l’uso nei soggetti immunodepressi;
– l’uso nei soggetti fragili;
– l’uso nei soggetti con patologie infiammatorie e autoimmuni;
– le interazioni con altri vaccini;
– gli effetti di lungo termine.
(qui)
Più in generale, nessun medico (e probabilmente proprio nessuno, nemmeno gli inventori dei prodotti) può oggi affermare di conoscere il meccanismo d’azione dei vaccini a RNA e a DNA/vettore, se è vero come è vero che per mesi si sostenne erroneamente che questi prodotti rimangono al sito di iniezione senza avere effetti sistemici che non siano quelli classici vaccinali, e ancora oggi che questa convinzione errata è stata ampiamente smentita, malgrado questo ancora tantissimi lo credono (qui).
In conclusione, la somministrazione dei vaccini covid deve indurre il medico a un’attenta riflessione caso per caso alla luce di vincoli etici e deontologici imposti dalla professione (ancora l’art. 13: “Il medico tiene conto delle linee guida diagnostico-terapeutiche accreditate da fonti autorevoli e indipendenti quali raccomandazioni e ne valuta l’applicabilità al caso specifico”). In questa prospettiva non pare sostenibile alcuna forma di obbligo generalizzato, nemmeno se attenuato da possibilità di esenzione che nella pratica sono estremamente limitate e rigide al punto da risultare troppo spesso di fatto inutilizzabili. In questo quadro non è possibile non chiedersi se gli incentivi economici ai medici vaccinatori non rischino di influire indebitamente sulle scelte nei confronti delle persone che si trovano di fronte. In ogni caso, anche in accordo con l’art. 30 del Codice di Deontologia medica, parrebbe opportuno che ogni medico vaccinatore dichiarasse i proventi dell’attività vaccinale in applicazione di un principio generale di trasparenza.
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