di Annarosa Rossetto
Martedì verrà presentato il testo unico definitivo del famoso disegno di legge Zan-Boldrini-Scalfarotto che nell’immaginario collettivo servirà per rendere finalmente il nostro Paese uno Stato civile dove frotte di omofobi smetteranno di dare la caccia a omosessuali e transessuali per picchiarli, licenziarli, dileggiarli e vessarli. Questa la rappresentazione dell’Italia negli articoli come quello di oggi di Repubblica (foto) in cui
come esempi di “odio” verso gli omosessuali si racconta una galleria degli orrori che non ha riscontro nei dati ufficiali dell’OSCAD, l’ente preposto a controllare i reati di odio di tipo razziale. L’OSCAD, infatti per quanto riguarda l’incidenza dei reati connessi ad una matrice discriminatoria, nel periodo 2010-2018 fornisce un totale di 197 eventi legati all’Orientamento sessuale, a cui possiamo aggiungere 15 eventi connessi all’identità di genere, per un totale di 212 reati, pari al 14% del totale. Numerosità che si colloca al di sotto delle casistiche più ricorrenti (Razza/Etnia 59% e Credo Religioso 19%) e che smentisce quindi il quadro emergenziale che si vuol dipingere.
Oggi dall’articolo di Repubblica scopriamo che la legge vorrebbe combattere anche la “misoginia”….
Su questo blog vi abbiamo più volte parlato dei rischi di questa legge e di come anche femministe e lesbiche trovino gravi rischi in alcuni aspetti del suo impianto ideologico. Oggi vi presentiamo alcuni stralci dell’ultimo articolo di Marina Terragni, femminista, da anni è in prima linea per difendere i diritti delle donne, che riprende il tema della “misoginia” e della identità di genere.
La Terragni inizia l’articolo parlando di “impostazione assurdamente vendicativa” riguardo alle pene previste per il reato di omotransfobia: 6 anni di detenzione e poi eventualmente un anno di “coprifuoco” –obbligo di rientro a casa entro un’ora stabilita-, lavori socialmente utili, mega-risarcimenti, ritiro di passaporto, patente e documenti validi per l’espatrio, divieto per 3 anni anche di una semplice partecipazione a una campagna elettorale, augurandosi che questo aspetto verrà in qualche modo emendato. Sarà difficile, ritengono i giuristi, poiché sono le pene previste dalla Legge Mancino per chi propaganda odio razziale e religioso e se la legge serve per inserire nuove categorie nella legge esistente il rischio di condanna a tali pene rimarrà tale e quale.
La giornalista prosegue ricordando che le donne “che pure di ingiustizie se ne intendono più di tutti e da qualche millennio (…) non hanno mai pensato che bastasse una legge contro la misoginia a cambiare le cose” e prosegue “Se comunque ci venisse voglia di una legge del genere ce la faremmo da sole. E invece una “manina” (Boldrini?) ha ritenuto di aggiungere nel testo di legge ai soggetti tutelati (di orientamento omosessuale o per “identità di genere”) anche il “genere” (cioè noi donne). L’intento era probabilmente buono, il risultato disastroso”
Definisce la legge “una vera catastrofe simbolica” perché riduce le donne ad una “sfumatura della galassia LGBT” e prosegue: “una legge che introduce il rischio di essere perseguiti penalmente se dici, per esempio, che una donna è una donna e non un mestruatore o una persona dotata di “ buco davanti”; o che solo le donne partoriscono; o che l’omofecondità è solo un delirio di onnipotenza; o che l’utero in affitto è un abominio… una legge del genere sembra voler colpire più le donne che gli uomini. E infatti donne di tutto il mondo stanno opponendo resistenza alla neolingua patriarcale che intende cancellarle (…) Ciò che oggi viene conteso è l’essere donna che si vuole a disposizione di tutti, e non più “privilegio” delle nate di sesso femminile.”
Dopo essersi domandata anche lei se davvero serva una legge contro la omotransfobia rileva che, in contraddizione con la vulgata degli omosessuali come categoria discriminata e da difendere, “in particolare i maschi gay siano ormai ottimamente piazzati nei gangli della politica, del governo e degli organismi sovranazionali, dell’impresa, della cultura, dello showbitz, dei media e così via” e punta il dito verso i due punti che secondo lei sono i più controversi: il concetto di “identità di genere”, che vorrebbe fosse sostituito con il termine più preciso “transessualità”, e l’uso dei 4 milioni di euro di finanziamenti pubblici richiesti. In merito a questo ricorda che l’anno scorso in Emilia Romagna, dove è stata approvata una legge regionale contro l’omotransnegatività, si dovette lottare perché i fondi regionali non potessero essere utilizzati per campagne di propaganda all’utero in affitto. “Questo stesso paletto e alcuni altri andrebbero posti a livello nazionale. I fondi non dovrebbero essere utilizzati per pubblicizzare l’utero in affitto; per rifornire le biblioteche scolastiche di librini sulle signore buone che regalano gli ovini e ospitano nei pancini; per finanziare spettacolini di favolose drag queen –genere da me adorato, ma non per le scuole materne, come usa recentemente” e ricorda che “Un paio d’anni fa lo spettacolo teatrale più rappresentato in assoluto nelle scuole italiane non fu un testo di Goldoni, di Pirandello, Moliere o Samuel Beckett. Fu Fa’afafine, storia di un ragazzino genderfluid.”
La Terragni richiama a questo punto la nota vicenda di J.K. Rowling e le assurde accuse con le quali è stata aggredita sui social da attivisti LGBT ma anche da molti esponenti dello Star System per aver sostenuto che l’identità sessuale è reale mentre l’identità di genere mette a repentaglio l’identità delle donne. “La maggioranza delle donne probabilmente non ha idea di quanto sta accadendo e ormai da anni: l’identità di genere è il luogo in cui la realtà dei corpi -in particolare quella dei corpi femminili- viene fatta sparire. E’ la premessa all’autodeterminazione senza vincoli nella scelta del genere a cui si intende appartenere.”
In vari passaggi del suo articolo ricorda i paradossali termini che dovrebbero essere usati per definire le donne: “persona dotata di ‘buco davanti’”, “gente che mestrua”, “persone che allattano” o “persona che partorisce” perché definirsi donne in base al proprio corpo di donna sarebbe transescludente.
Elenca poi tutta una serie di situazioni in cui le persone che si identificano come donne stanno sottraendo spazio privato e pubblico e anche fondi alle donne stesse: in politica dove“le quote politiche destinate alle donne vengono occupate da uomini che si identificano come donne: vedi la già responsabile donne del Labour Party Lily Madigan, trans ventenne nemica acerrima ed epuratrice delle sue compagne nate donne, o l’americana Emilia Decaudin che si è detto donna da un giorno all’altro per poter scalare il Partito Democratic”.
Nello sport dove “atlete nate uomini che si nominano come donne ma conservano il loro corpo di uomini e con quello vincono tutte le competizioni sportive femminili, come denunciato ripetutamente dalla tennista Martina Navratilova.”
Nei “luoghi delle donne” come “gli spogliatoi femminili a cui devono poter accedere persone con apparati genitali maschili. Le case-rifugio per donne maltrattate che devono ospitare anche persone con pene e testicoli. O gli studi di estetiste costrette a chiudere bottega perché si rifiutavano di depilare lo “scroto femminile” di Jessica Yaniv, trans canadese violando a suo dire i diritti umani.
Ricorda i vari casi di donne licenziate dopo aver affermato che non è possibile cambiare il proprio sesso biologico e che “l’identità di genere ha a che vedere anche con altre questioni, come l’utero in affitto: le molte donne che lottano contro questa pratica vengono bullizzate come omotransfobiche che vogliono conservare il proprio ‘privilegio’”
“L’identità di genere”, dice ancora, “sono i circoli Arcigay che chiedono la cacciata da Arci di Arcilesbica accusata di transfobia per avere organizzato un incontro con la femminista inglese Sheila Jeffrey” coautrice di una Dichiarazione dei Diritti delle Donne Basati sul Sesso cui hanno aderito.
A questo punto la Terragni ammette che difficilmente Zan e compagni rinunceranno a questo concetto che in effetti “è l’architrave dell’intero ddl” perché la cosiddetta “identità di genere” “introdotta in una legge italiana, funzionerebbe da cavallo di Troia per un’altra legge che attende di essere presa in considerazione su proposta del MIT, Movimento Identità Trans. La proposta intende “garantire la piena effettività del diritto all’identità di genere e all’espressione di genere” riformando la legge 164/82 che oggi regola la materia” consentendo alle persone che abbiano effettuato un intervento chirurgico per il cambiamento di sesso di cambiare genere sui documenti (rettificazione anagrafica). Con “la nuova proposta”, spiega la Terragni, “chiunque potrà liberamente richiedere la rettificazione anagrafica (…) con una semplice autodichiarazione (eventualmente reversibile?) e senza necessità di alcun intervento chirurgico e/o farmacologico né alcuna perizia” e conclude mettendo in guardia le donne su “che cosa sta capitando e per quale ragione è necessario prestare la massima attenzione alle novità introdotte dal ddl contro l’omotransfobia, e il rischio che corriamo se si insisterà a parlare di ‘identità di genere’.
Quel ddl ci riguarda, è necessario vigilare e resistere insieme.”
Quel ddl non riguarda solo le donne e noi, ovviamente, su questo ddl siamo già vigili da un pezzo anche e soprattutto per il grave rischio di compromissione della libertà di parola, di educazione, di associazione e religiosa che la sua approvazione comporterebbe: è una visione dell’uomo e della società che è in gioco, non solo gli “spazi delle donne”.
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