di Annarosa Rossetto
C’è un battage mediatico impressionante dei sostenitori del ddl Zan che ripetono ossessivamente da tutti i canali informativi, social media, radio, tv, giornali, che questa legge è necessaria e urgente per proteggere gli omosessuali dalle violenze e dalle discriminazioni, e rispondendo sdegnati a chi avanza perplessità sulla indeterminatezza di certe definizioni che metterebbero a rischio la libertà di espressione, che questo è un pericolo assolutamente infondato.
Poi capita che a qualche esponente della “comunità LGBT” scappi detto qualcosa di meno rassicurante.
È il caso di quanto detto da Alessandro Cecchi Paone alla trasmissione radiofonica “La zanzara” a proposito della necessità di approvare il ddl Zan. Ha sostenuto che dire che l’unica famiglia è quella tra un uomo e una donna rappresenta un incitamento all’odio “Perché crea infelicità negli esseri umani. Quindi per me sei perseguibile”. In pratica una conferma delle preoccupazioni di chi vede in questo disegno di legge un grave rischio per la libertà di espressione e associazione.
Sabato 8 maggio, poi, c’è stata una manifestazione a Milano a favore del Ddl #Zan.
Interessanti, al di là della solita retorica sulla presunta “emergenza omofobia”, alcuni discorsi che rivelano quali sono i veri obiettivi dei promotori. Particolarmente significativo l’intervento di Marilena Grassadonia (Famiglie Arcobaleno) che ha espresso a chiare lettere il programma delle associazioni LGBT:
la parte più importante del testo del ddl Zan è la giornata contro l’omofobia: “È importante entrare nelle scuole”.
La strategia dell’Unar prevede infatti, tra altre cose, l’accreditamento delle associazioni LGBT nelle scuole come enti di formazione. Ha proseguito dicendo che il Ddl Zan è solo il primo passo: seguirà la riforma della legge 40 sulla fecondazione assistita per far accedere le donne single (e ovviamente tra queste le donne in coppia), la legalizzazione dell’utero in affitto (addolcito per il pubblico chiamandolo Gestazione per Altri o “solidale”), seguirà la revisione della legge 164/1982 (sul “cambio di sesso”), per arrivare al “self id”, cioè alla situazione in cui ognuno possa veder riconosciuto il genere che si sente senza troppa burocrazia (e interventi medici).
“Siamo solo all’inizio”, ha ribadito.
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