DALLO STATO “NEUTRALE” ALLO STATO “TIRANNO”
Lunedì 19 febbraio, S.E. Mons Giampaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste presidente dell’Osservatorio Cardinale Van Thuan, ha svolto a Milano – su invito e per iniziativa del Centro studi Livatino – una conferenza sul tema “La civiltà della vita e le leggi che la minacciano”.
La relazione di mons. Crepaldi è molto interessante. Per questo vi invito a leggerla (studiarla). Per agevolare la sua lettura ho fatto una sua sintesi dal testo pubblicato sul sito del Centro Studi Livatino.
In fondo trovate anche il link dell’intero incontro.
LA “SVOLTA” NELL’ATTUALE LEGISLAZIONE CONTRO LA VITA
La prima e fondamentale conclusione è che nelle leggi sul diritto alla vita c’è stata una “svolta” molto significativa quando è stato programmato il “diritto” a nuovi diritti. Per una lunga fase, la legislazione in materia aveva tollerato alcuni comportamenti contrari al rispetto della vita nascente con leggi che prevedevano l’aborto solo in casi particolari ed eccezionali. (…)
Va comunque riconosciuto che fino ad un certo stadio della sua evoluzione, il diritto alla vita veniva addirittura proclamato nei primi articoli dei testi di legge sulla disciplina dell’aborto volontario per poi passare a prevedere la possibilità di alcune eccezioni. (…)
In seguito le leggi iniziarono invece a contemplare l’aborto come diritto. La legge francese è stata cambiata e l’espressione “a tutte le donne incinte che si trovano in una situazione di sofferenza a causa del loro stato”, è stata sostituita con la seguente: “a tutte le donne incinte che non vogliono una gravidanza”. Di conseguenza, da due anni una legge francese punisce chi nel Web cercasse di dissuadere le donne ad abortire.
Il riconoscimento del diritto all’aborto cambia completamente il quadro. Se l’aborto è un diritto umano e lo Stato protegge e sviluppa i diritti umani, allora lo Stato deve promuovere l’aborto per dare realizzazione ad un diritto umano, deve favorire l’accesso, deve perfino educare ad esso le nuove generazioni e l’obiezione di coscienza diventa inammissibile. (…)
Se le relazioni omosessuali godono di riconoscimento pubblico e, quindi, contribuiscono al bene comune, lo Stato le deve insegnare nelle scuole, come insegna l’uguaglianza in dignità di tutte le persone contro il razzismo.
Da questa caratteristica derivano poi le altre che contribuiscono a definire la pericolosità della situazione. Mi riferisco alla carattere SISTEMICO e a quello ISTITUZIONALE delle leggi contro la vita. Il primo è particolarmente preoccupante: se un cittadino fa ricorso alle Corti di giustizia internazionali contro il proprio ordinamento statale, in genere non trova soddisfazione, data la omogeneità dello spirito che informa le decisioni delle Corti internazionali e quello che informa gli ordinamenti nazionali. Anzi, come è noto, sono spesso le Corti internazionali di giustizia a processare gli ordinamenti giuridici degli Stati membri quando questi non prevedano una legislazione contro la vita. Questo per quanto riguarda l’aspetto “sistemico”. Il secondo – ossia l’aspetto “istituzionale” – ci dice che tutto ciò è diventato “macchina” che, procedendo per inerzia in virtù di atti dovuti all’interno dell’apparato burocratico, permea univocamente la pubblica amministrazione. (…)
IL MODERNO LEVIATANO E LA SUA NASCITA DALL’ANGOSCIA
(…) Cerchiamo di proporre qualche analisi delle sue cause, dal punto di vista del pensiero giuridico e politico e nella visione della Dottrina Sociale della Chiesa.
Carl Schmitt ha illustrato, in modo forse insuperato, la prospettiva giuridico-politica di Thomas Hobbes e come essa sia alla base di ogni forma di “positivismo giuridico”. Il Leviatano di Hobbes è nello stesso tempo “Dio, uomo, animale e macchina”. Il proton pseudos, “l’errore iniziale del pensiero politico moderno, come ricordava Marino Gentile, è stato di affidare al consenso pattizio gli stessi fondamenti della comunità politica”. (…)
In questo modo si giunge alla neutralità dello Stato rispetto ai contenuti. Se lo Stato è magnum artificium, allora esso è uno strumento tecnico-neutrale il cui valore sta nell’essere una buona macchina “indipendente da ogni contenuto di fini e di convincimenti politici, e acquisisce la neutralità rispetto ai valori e alla verità propria di uno strumento tecnico“. (…) Non è forse vero che le attuali leggi contro la vita presuppongono questa concezione del potere e della legge? Anche oggi ci si trova di fronte ad uno Stato “neutrale“ e ad una macchina tanto efficace quanto formale e puramente procedurale. (…)
Il pensiero politico e giuridico moderno di Hobbes e di Bordin nasce non solo dalla disperazione dell’uomo del Seicento davanti alle guerre di religione, ma dalla disperazione dell’uomo solo e nudo nello stato di natura, l’uomo talmente disperato di poter godere la pace al punto di affidare l’attuazione non ad un Defensor pacis, come suonava ancora nel XIV secolo l’opera di Marsilio che pure iniziava questo lungo processo di reductio ad unum da parte dello Stato, ma di un Creator pacis, quale appunto il Leviatano è. Disperato quell’uomo dato che il Dio-Stato che gli garantisce la pace non può garantirgli la speranza. Con lo Stato-macchina di Hobbes viene lucidamente e tragicamente fondata la “neutralità”, secondo cui lo “Stato proprio ordine in stesso e non fuori di sé“. Esso può pretendere obbedienza incondizionata e se oggi lo Stato non consente l’obiezione di coscienza – come ricordavo all’inizio – è perché il leviatano non può ammettere un “diritto di resistenza“, di cui l’obiezione di coscienza è tuttavia espressione.
IL MODERNO “STATO DI DIRITTO”
La neutralità dello Stato rispetto al contenuto di verità stabilita in modo così determinato Hobbes e così plasticamente espressa nella sintesi di “Dio, uomo, animale e macchina”, alimenta anche lo Stato liberale costituzionale e parlamentare del XIX secolo, quello che si è soliti chiamare “Stato di diritto“. È la situazione in cui, come disse Max Weber, la “legalità” coincide con la “legittimità” e lo Stato è un “sistema di legalità statale funzionante in modo calcolabile senza riguardo a contenuti dei fini o di verità o di giustizia“. (…)
Quando poi la volontà dello Stato fu identificata nella volontà del popolo, ogni legge che fosse frutto della volontà popolare espressa dal Parlamento ebbe l’autorità e la dignità che le derivava dal suo rapporto col diritto. Arriviamo così all’attuale nozione di legge: “La legge in una democrazia è la volontà contingente del popolo di volta in volta dato, cioè in pratica la volontà di quella che di volta in volta è la maggioranza dei cittadini elettori“. (…)
La neutralità tra diritto e ingiustizia rende possibile che la fattispecie del “tiranno“ sia presente anche nello Stato borghese di diritto. Tiranno è chi ha ottenuto il potere in modo illegale o che, o che ottenutolo in modo legale, lo esercita in modo illegale. Chi ha la maggioranza non rientra in nessuna di queste due tipologie e quindi non può essere tiranni. La maggioranza “non commetterà mai ingiustizia ma trasformerà ogni sua azione in diritto e legalità”. Ma, proprio questa è la peggiore tirannia.
INSUFFICIENZA DELLA FORMULA DI BÖCKENFÖRDE
È agevole riscontrare nell’attuale legislazione contro la vita la perfetta applicazione di queste concezioni della legalità vista come coincidente con la legittimità. (…) anche le moderne democrazie liberali rientrano nella fattispecie del Leviatano. (…). Oggi la legge non si colloca più come neutrale rispetto alla natura, ma si pone a servizio della contro-natura. Oggi lo Stato pone come obbligatori i principi contrari a quelli naturali, ossia quelli innaturali. Ad essere non negoziabile oggi è il diritto all’aborto, ho il diritto al matrimonio per tutti, o il diritto al figlio tramite la fecondazione artificiale. È evidente che non si tratta più di semplice neutralità. Può essere utile riprendere a questo punto, la nota formula di Böckenförde secondo cui “lo Stato liberale secolarizzato vive di presupposti che non può garantire“ (…) o come diceva Maritain alla base della democrazia tempo ci sono alcuni valori che essa deve presupporre per funzionare. (…)
Nei confronti del processo di secolarizzazione il pensiero cattolico ha nel tempo espresso una sudditanza poco giustificabile. (…) Oggi la legislazione contro la vita vuole riplasmare la natura umana e annullare la presenza di Dio nel mondo. Nella secolarizzazione c’è quindi un’anima coerente e inarrestabile che, senza l’azione frenante di un Katheon, tende alla soluzione finale. Anche la disperazione ha una logica a cui non si sfugge. Bisogna comprendere che la fase della “neutralità“ preludeva alla fase successiva della sistematicità e istituzionalizzazione del male. Dapprima il pensiero politico fa a meno di Dio, ma poi lo combatte per eliminarlo; dapprima fa a meno della natura, ma poi la combatte per eliminarla e riplasmarla. (…) Quando la ragione, in questo caso la ragione giuridica, si stacca dalla religione non può non diventare antireligiosa. Sia Augusto del Noce sia Cornelio Fabro ci avevano messo in guardia da questo possibile equivoco, invitandoci a non cadere nel tranello.
ALCUNE CONSIDERAZIONI DI PROSPETTIVA
Quando Joseph Ratzinger, nel suo non dimenticato discorso di Subiaco del 1 aprile 2005, invitó i non credenti a vivere “come se Dio fosse”, tutti colsero il carattere provocatorio della affermazione. Con quella provocazione il cardinale e futuro pontefice voleva criticare la secolarizzazione della ragione che, una volta staccatasi dal fondamento religioso, non può che procedere in una continua corrosione del senso, portatrice di sventura. La critica di Ratzinger al processo di secolarizzazione è più profondo di quanto non si pensi solitamente. Egli ne diede molti esempi, dal Discorso all’università di Regensburg del settembre 2006 fino al Discorso al Bundestag tedesco del 22 settembre 2011 che, dato il suo tema, ci riguarda da vicino in questa occasione.
Concentrandoci brevemente su quest’ultimo testo, notiamo una condanna spietata nei confronti della democrazia della maggioranza (…). Sentenza di condanna della equiparazione tra legalità e legittimità che non può fermarsi solo alla neutralità dello Stato ma che necessariamente si evolve nello Stato creatore di un nuovo diritto: l’ingiustizia legale. La visione positivistica della natura, fa notare i Ratzinger, non solo non riesce a cogliere nella natura un discorso sulla giustizia tale da dare legittimità alla legalità, ma addirittura pone le basi per la riplasmazione della natura, compresa la natura dell’uomo. La posizione positivista non è solo di neutralità, come abbiamo più volte detto, ma è una contro-natura, una violazione della natura che lo Stato promuove in prima persona.
L’invito, allora, è di ritornare pienamente alla natura come espressione di una legge morale naturale e di un diritto naturale. Nel Discorso al Bundestag, Benedetto XVI ha ben chiarito che “il cristianesimo non ha mai imposto allo Stato e alla società un diritto rivelato, mai un ordinamento giuridico derivante da una rivelazione. Ha invece rimandato alla natura e alla ragione quali vere fonti del diritto, ha rimandato all’armonia tra ragione oggettiva e soggettiva, un’armonia che però presuppone l’essere ambedue le sfere fondate nella Ragione creatrice di Dio”. Sì faccia attenzione alle due parti di questo importante passo. Si dice che il terreno della giustizia è prima di tutto quello del diritto naturale, ma si aggiunge subito che dopo che ciò non è in grado di stare in piedi da solo senza il fondamento trascendente in Dio creatore. E non può essere sufficiente fondare il diritto naturale sulla ipotesi del Dio creatore – etsi Deus daretur – mentre è possibile attraverso il riconoscimento dell’esistenza del diritto naturale recuperare il suo fondamento in Dio creatore, come garanzia della stessa laicità del diritto naturale. Con il che il processo di secolarizzazione viene combattuto fino in fondo.
RIASSUNTO CONCLUSIVO
Ecco allora la sintetica conclusione di questo mio lungo intervento. La secolarizzazione ha dapprima prodotto la neutralità dello Stato, poi però ha fatto dello Stato il primo soggetto impegnato nell’imporre una contro-verità. La risposta deve essere quella di ribadire il valore universale e puramente razionale del diritto naturale, ma come via per un recupero anche del suo fondamento trascendente, senza del quale anche il diritto naturale viene concepito come neutrale e, quindi, incapace di reggere e sempre incline ad essere manipolato nella contro-natura.
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