di Mattia Spanò
“Fratelli e sorelle, abbiamo appena pregato la Vergine Maria. Questa settimana la città che ne porta il nome, Mariupol, è diventata una città martire della guerra straziante che sta devastando l’Ucraina. Davanti alla barbarie dell’uccisione di bambini, di innocenti e di civili inermi non ci sono ragioni strategiche che tengano: c’è solo da cessare l’inaccettabile aggressione armata, prima che riduca le città a cimiteri. Col dolore nel cuore unisco la mia voce a quella della gente comune, che implora la fine della guerra. In nome di Dio, si ascolti il grido di chi soffre e si ponga fine ai bombardamenti e agli attacchi! Si punti veramente e decisamente sul negoziato, e i corridoi umanitari siano effettivi e sicuri. In nome di Dio, vi chiedo: fermate questo massacro!”.
Queste parole seguite all’Angelus di domenica 13 marzo 2022, papa Francesco le ha pronunciate in un contesto di polarizzazione emotiva al calor bianco dell’opinione pubblica italiana e mondiale. Non è importante soltanto il testo ma anche il contesto, e il fatto di tenere o meno conto del raziocinio dell’uditorio (di questi tempi, più scarso del metano).
Definire la guerra fra Russia e Ucraina un’ “inaccettabile aggressione armata” non è affatto uguale a dire “no alla guerra”. Significa al contrario schierarsi apertamente a favore di una parte, quella dell’aggredito.
Marco Politi, vaticanista de Il Fatto Quotidiano non certo arruolabile fra i detrattori di papa Francesco, il 21 febbraio scorso sottolineava quanto sia “importante che Papa Francesco mantenga la capacità di parlare super partes“.
Proprio dall’esperienza diplomatica vaticana e dalla memoria storica che Politi ricostruisce precisamente, ci si attende un tocco più felpato. Non tenere conto della storia recente e remota è come pretendere di recensire un film avendone guardati solo gli ultimi dieci minuti. Può andar bene per la maggior parte dei film Marvel, funziona poco con il resto.
La pulizia etnica che continua dal 2014 nel Donbass perpetrata dalla brigata nazista Azov ai danni di cittadini ucraini di etnia russa, ad esempio, non può essere iscritta a fatto subliminale.
Ma significa soprattutto giocare un ruolo politico. Non solo si abbandona qualsiasi pretesa terzietà indispensabile ad un’eventuale mediazione in favore della pace: si dichiara implicitamente che la terzietà non interessa.
Immaginate una conferenza di pace alla quale sieda tra gli altri Di Maio, di fronte a Putin e Lavrov: al primo, ha dato dell’animale sghignazzando in diretta, mentre davanti al secondo si è ingozzato di tartine durante l’ultima visita diplomatica. Immaginate quale benevolenza, che sorrisi, quante pacche sulle spalle, che scanzonata spensieratezza e disponibilità.
Questa elementare regola del gioco, il fatto di non presentarsi spalmati di miele a casa dell’orso, è una legge paragonabile a quella di gravità: non può e non deve essere ignorata.
Senza scomodare l’immortale Ugo Tognazzi che ha sancito il diritto di ognuno a dire spropositi, l’uomo Jorge Mario Bergoglio ha piena e legittima facoltà di pensare che l’aggressione sia ingiustificata. Il papa invece dovrebbe essere più sorvegliato, mantenendo la giusta distanza dalle parti.
Il mood generale è innervato da un’incredibile perniciosa leggerezza. Quella di Di Maio appena ricordata, quella di Mario Draghi che si fa un baffo del gas russo perché tanto riapre le centrali a carbone, dimenticando o non sapendo che il 46% del carbone viene sempre dalla Russia (l’Huffpost ha la faccia da poker di battezzarla “realpolitik” del premier).
C’è però dell’altro. Benché la guerra con il corredo di orrori sia stata espulsa dalla nostra cultura, essa rimane un’opzione storica. Questa consapevolezza non è mai stata estranea al magistero della Chiesa, né al pensiero filosofico e politico sin dalla notte dei tempi. Stride con le migliori aspirazioni umane, ma è una possibilità che si cerca di prevenire e sedare come un brutto male. Tuttavia, permane.
Definirla follia insensata e inaccettabile è un buon modo per scantonare la realtà. Guardare a Putin come ad un malato psichiatrico o un uomo intrinsecamente crudele è un giudizio caricaturale. Una semplificazione da cartone animato.
Bisogna pur sapere che se una persona è pazza, è impossibile stabilire una relazione negoziale o di qualsiasi altro tipo. Perché dovrebbe desistere dal fare un qualcosa che appaga il suo ego stravolto? È una buona idea dargli del matto quando possiede un arsenale nucleare tale da cancellare la vita sulla terra?
Corollario: a chi giova la narrazione sui russi cattivi che passeggiano sopra i cadaveri degli ucraini buoni? Può il vescovo di Roma predicare qualcosa di diverso circa la guerra? C’è mai stata una guerra che abbia salvaguardato donne e bambini? Queste domande, senz’altro moleste, sono meno oziose di quanto appaiano.
Abbiamo avuto papi come Giulio II che le guerre le hanno fatte, provocate, caldeggiate, in qualche caso benedette. Altri le hanno fieramente avversate, come Benedetto XV e l’ “inutile strage” – già alla seconda riga il papa annuncia “perfetta imparzialità verso tutti i belligeranti, quale si conviene a chi è Padre comune e tutti ama con pari affetto i suoi figli” – Pio XII a San Lorenzo, lo stesso Giovanni Paolo II.
Pio XI, con la Mit Brennender Sorge prese una posizione netta contro il regime nazista (era ancora il 1937), irritando non poco il già scombussolato Hitler. La gestazione della Mit Brennender Sorge fu sofferta: tacere facendo venire meno il giudizio storico, o parlare e scatenare una ritorsione?
Il giudizio temporale della Chiesa è sempre perdente quando va contro il mondo. La necessità stessa del monito sul giudizio divino che incombe su tutte le azioni umane contrarie alla legge di Dio significa che gli uomini, per motivi contingenti (sempre presenti, buoni o cattivi è un altro discorso), hanno imboccato la strada contraria.
La Giornata Mondiale di Preghiera per la Siria, voluta da papa Francesco nel 2013, al di là del valore intrinseco per i credenti fu occasione di riflessione laica alta sul tema della pace e della guerra. Sua Santità ha in questo caso sposato una linea emotiva, mainstream.
Si è spesso sottolineato l’acume politico di Bergoglio, talvolta evadendo il confine che separa il rispetto dall’adulazione. Non posso dire con certezza se questo appello del papa sia superficiale oppure attentamente ponderato. Segnalo che ahimè la ponderatezza non è sinonimo né garanzia di esiti pratici positivi, mentre l’approssimazione è sempre foriera di catastrofi.
Su questo blog abbiamo ripreso giudizi di eminenti intellettuali americani che pur deplorando l’iniziativa bellica della Russia hanno illustrato le premesse e gli errori dell’Occidente. L’equilibrio nel giudicare i fatti storici – non c’è dubbio che una guerra appartenga al genere più rimarchevole – è sempre possibile e auspicabile.
Naturalmente non è possibile né giusto chiedere al papa un giudizio da studioso esperto di geopolitica. Allo stesso modo però, sarebbe meglio evitare esternazioni smaccatamente emotive. L’ipersensibilità ai flagelli dell’umanità, solida o speciosa che sia, non è mai una buona premessa ai rimedi.
Altrimenti si abbattono muri, si minano ponti, si scavano trincee. Anche quando piacerebbe il contrario.
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