Giussani don Luigi
don Luigi Giussani
 
 
Caro Paciolla,

Rodolfo Casadei – persona e giornalista che stimo molto – mi obietta che don Giussani non volesse il riconoscimento pontificio, e porta a testimonianza la sua lettera in occasione del riconoscimento. Al tempo avevo sei anni. Mi devo fidare di un testimone diretto, legato sia a Manfredini che a don Giussani del cui equilibrio e attaccamento alla verità (il che di per sé non mette al riparo da infortuni, sia chiaro) non posso dubitare.

Casadei sa meglio di me, avendolo certamente frequentato più a lungo, che Giussani non era estraneo al principio dell’agere contra già ricordato: andare contro se stessi come metodo di approccio alla vita e alla realtà,  in ultima istanza ad imitazione di Cristo (“i suoi non l’hanno riconosciuto”). Quante volte si è “contraddetto”, adattandosi a suggerimenti nuovi e  sviluppi inattesi?
Quanto spazio don Giussani dava alla libertà e alle iniziative di chiunque si trovasse davanti? Quanto sostegno anche materiale, perché credeva fermamente che fosse Cristo stesso a manifestarsi attraverso quella persona, l’amico che aveva davanti? Questo posso dire di aver visto e vissuto.

Last but not least, non ho inteso suggerire che Giussani abbia preso tutto obtorto collo: poteva d’altra parte lagnarsi pubblicamente del riconoscimento? Ma posso dire con prudente certezza che l’istruttoria non la volle né la cominciò, ed espresse finché potè contrarietà, senza tuttavia in alcun modo ostacolarne i promotori, in primis S.E. Enrico Manfredini. Lo stesso fece con chi iniziò i Memores Domini. Come disse ad alcuni, “la differenza fra me e voi è che voi siete spietati sul metodo e flessibili sul fine, mentre io sono flessibile sul metodo e spietato sul fine”.

Credo che Casadei possa essere d’accordo con me su un punto: in Giussani, la fede in Cristo e la fiducia nella persona che aveva davanti erano una cosa sola. La seconda fioriva dalla prima. Si sono spesso sottolineate molte delle qualità che il Signore ha donato a don Giussani. Ricordiamone allora una in particolare: è un uomo che ha incrollabilmente creduto dal primo all’ultimo respiro.

Alla luce della pacata obiezione di Casadei (che mi corregge sull’esito,  d’altra parte incontestabile, non sulle premesse), cosa suggeriscono l’azzeramento della diaconia, la rimozione del presidente della Fraternità e la revisione degli statuti? In altre parole e per le spicce: cosa deve pensare un iscritto alla Fraternità, riconosciuto figlio legittimo della Chiesa nel 1983, e così duramente e drammaticamente corretto nel 2021? Il punto è lacerante sia rispetto all’unità evocata da Casadei che alla verità richiamata da Paciolla.

Le scelte e le posizioni umane hanno il vizio di rivelare la loro natura a valle delle medesime, il che fatalmente scatena la contraddizione. Delle due l’una, o l’una e l’altra a ben vedere: o don Giussani era così sprovveduto da non considerare che Zeitgeist e papi cambiano, oppure siamo davvero andati fuoristrada. Corollario: o si esce dall’ombrello canonico e si riparte dietro a Carròn perché indicato dal fondatore (opzione che sbatte contro la disponibilità piuttosto improbabile di Carròn) lasciando a Dio gli adempimenti, oppure come invita a fare Prosperi obbediamo alla Chiesa accettando la correzione e sperando e pregando che non sia ispirata da incomprensione e avversità al carisma. Lo stile di questo papato (si vedano i casi dei Francescani dell’Immacolata, di Bose e Becciu, per citare i più clamorosi) è contraddistinto da sonore e soppressive legnate condite da parole al miele, invariabilmente postume. Ma chi sono io per giudicare? Cominciamo a giudicare, è l’inizio della liberazione.

Su un punto non posso che essere d’accordo con Prosperi: proprio alla luce del riconoscimento, bisogna stare a leggi e atti di governo altrove decisi, per amore o per forza. Siccome però, come lui stesso ha ricordato, “la vita non nasce dal diritto”, nulla di ciò che accadrà deve scandalizzare. Dobbiamo solo, a mio parere, conciliare il nostro pensiero, i nostri desideri con le emergenze reali. E allo scopo ripartire dal formidabile esempio di quel vecchio rauco e imprevedibile che ci ha lasciato in eredità tutto ciò che serve per rifondare la Chiesa cum Petro e sub Petro, come sancito dall’allora cardinale prefetto Joseph Ratzinger.

Grazie.

Mattia Spanò
 
 
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