di Un sacerdote
Caro Sabino,
come è noto a chi ha qualche rudimento di storia in generale e di storia ecclesiastica in particolare, con la pace di Vestfalia del 1648 dopo anni di guerre di religione tra cattolici e luterani, conflitti che trovarono il loro apice con la Guerra dei trent’anni (1618 – 1648), si affermò definitivamente il principio “cuius regio, eius religio”. In forza di questo espediente, definito per la prima volta nel trattato pattuito dopo la Pace di Augusta (1555) da Carlo V d’Asburgo, imperatore del Sacro Romano Impero e dalle forze della Lega di Smalcalda, ogni principe e ogni città libera dell’Impero aveva la possibilità di professare la fede luterana nel proprio territorio, in modo paritario rispetto a chi invece professava la fede cattolica. Di conseguenza i sudditi dovevano professare la fede scelta da chi quei territori governava, oppure trasferirsi in altri territori dove si professava la fede che essi ritenevano propria. Fu un compromesso che ottenne sì una pace politica (mai scevra di ulteriori tensioni), ma che abolì di fatto la libertà religiosa per quelle popolazioni. Un disastro non solo ecclesiale ma anche sociale che ebbe nei secoli successivi gravissime conseguenze sull’Europa tutta.
Ho introdotto questa premessa storica perché mi sembra che la recentissima Lettera apostolica in forma di «motu proprio» del sommo pontefice Francesco Assegnare alcune competenze con la quale vengono mutate alcune norme del codice di diritto canonico e del codice dei canoni delle chiese orientali (11 febbraio 2022) apra in modo analogo un fronte ecclesiale in forza del quale si apre la possibilità per ogni “regione ecclesiastica” (Diocesi singole o Conferenze episcopali nazionali) di elaborare in proprio – con la sola conferma (non più approvazione) di Roma – ciò che riguarda la gestione dei seminari, la formazione sacerdotale, la redazione di catechismi ed altri settori importanti della vita ecclesiale. Ovviamente il passaggio da approvazione a conferma non è una semplice variante terminologica ma, in nome di un maggiore decentramento, un vero e proprio passaggio di consegne alle chiese locali di aspetti vitali che assicurano l’unità della Chiesa e della preservazione della fede. Qui il principio “cuius regio, eius religio” non riguarda più ovviamente una ripartizione territoriale ma una ripartizione ecclesiale; detto in altri termini un po’ brutali: ogni fedele, piaccia o no, dovrà professare il tipo di fede cattolica (?) che il vescovo tal dei tali deciderà essere tale, formando un clero che ne diventi propagatore, editando i corrispondenti Catechismi e celebrando ovviamente liturgie corrispondenti, più ecc. ecc. Cambiasse vescovo con altre idee, si aprirebbe al limite una continua variazione di temi ecclesiali. Genderizzazione della fede, oltre che del sesso dei preti e compagnia cantante? Vien proprio da pensarlo, visto che questo “motu proprio” di Francesco sembra venire incontro alle istanze scismatiche del Sinodo tedesco con tutte le richieste che esso contiene. Una bella possibilità di accettare di fatto uno scisma senza proclamarlo, salvando capra e cavoli. Sono certo che il card. Marx si sta fregando le mani dalla contentezza per questa ennesima finestra ecclesiale di Overton che si è aperta.
Dove andrà a finire la capacità della Chiesa di essere Una pur nella varietà di quelle sue forme espressive succedutesi nei secoli, e nelle quali si è sempre mirabilmente riflessa la sua capacità di essere Cattolica proprio nella affermazione di Cristo come unico Salvatore e Signore? Affermazione così ben ribadita dalla – ovviamente contestata a suo tempo – Dichiarazione “Dominus Jesus” circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa (6 agosto 2000)?
Con il “motu proprio” di Francesco si apre invece una situazione della Chiesa in cui non può che evidenziarsi un Cristo fatto a pezzi nello spacchettamento ecclesiale del suo Corpo mistico, spappolamento in cui si perdono sia la sua autentica singolarità salvifica, sia la capacità cattolica uniabbracciante e univalorizzante della sua Chiesa. Insomma, un Cristo fai da te, una Chiesa bricolage, un Cristo Capo e Corpo preda di scissioni e contrapposizioni o, comunque, di fraterno rispetto nella differenziazione (che di fatto è una disgregazione), una vittoria in più per il dia-bàllo, il diavolo, divisore e frammentatore per eccellenza. A questo punto il centro di garanzia petrino a che cosa servirà? Solo a mettere un timbro di conferma a ciò che Dio non confermerebbe mai? Infatti, non è certo a questo tipo di conferma che si riferiva Gesù quando disse a Pietro: “Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli” (Lc 22, 31-32). Forse esagero, ma non posso che ribadire: dalle parti di Santa Marta Che brutto tempo che fa!
Forse qualcuno dovrebbe rileggersi la grande lezione di san Paolo sviluppata nei tre capitoli iniziali della prima lettera ai Corinzi, riadattandola alla situazione attuale. Cito qui solo l’incipit del discorso paolino: “Vi esorto pertanto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, ad essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e d’intenti. Mi è stato segnalato infatti a vostro riguardo, fratelli, dalla gente di Cloe, che vi sono discordie tra voi. Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: «Io sono di Paolo», «Io invece sono di Apollo», «E io di Cefa», «E io di Cristo!». Cristo è stato forse diviso?” (1 Cor 1, 10-13). E poi il termine: “Quindi nessuno ponga la sua gloria negli uomini, perché tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio” (1 Cor 3, 21-23). Chiarendo che porre la propria gloria negli uomini è di fatto glorificare colui che, “omicida sin dal principio” (Gv 8, 44), è caduto dal cielo frammentandosi in se stesso per poi tentare di frammentare Cristo nella sua Chiesa. Comunque “non praevalebunt”!
Sempre buon lavoro a te e ai tuoi collaboratori. Ti, vi benedico.
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