“La Chiesa ci accoglie per cambiare il modo in cui pensiamo alle cose. Quello che sento dalle sessioni sinodali di “ascolto” non è questo messaggio, ma piuttosto che la Chiesa deve cambiare il suo modo di pensare.”
Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto dal prof. John M. Grondelski e pubblicato su Crisis Magazine. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. Ecco l’articolo nella mia traduzione. Altri articoli del prof. Grondelski potete trovarli qui.

di John M. Grondelski
Tra le parole d’ordine associate al prossimo Sinodo sulla sinodalità c’è “accoglienza”. Ci viene detto che dobbiamo essere una Chiesa “accogliente” con il suggerimento che, finora, non lo siamo stati. Aspettatevi che nei prossimi mesi si parli spesso di “accoglienza”.
Ho sostenuto altrove che dietro questa patina di “accoglienza” si nasconde un’ecclesiologia estranea alla Chiesa. La Chiesa non è in primo luogo un club sociale del tipo “io sto bene, tu stai bene – ed è così che Dio ci ha fatti!”. È un’istituzione divinamente fondata la cui ragion d’essere è rendere Cristo presente qui e ora e continuare a proclamare il suo messaggio. Questo messaggio non afferma il benessere umano. Al contrario, riconosce: “Io non sono OK, tu non sei OK, ma Cristo può renderci OK se ci metiamo in cammino!”. Questa è la nostra “Buona Novella”, il nostro Vangelo.
μετανοεῖτε (Marco 1:15) è tradotto con “pentirsi”, ma il significato letterale del greco è “cambiare idea”. L’accoglienza della Chiesa è quella di “prenderci come siamo”, cioè come peccatori, ma non di lasciarci lì. Siamo invitati a cambiare il nostro modo di pensare su ciò che è la via, la verità e la vita.
La Chiesa ci accoglie per cambiare il modo in cui pensiamo a queste cose. Quello che sento dalle sessioni sinodali di “ascolto” non è questo messaggio, ma piuttosto che la Chiesa deve cambiare il suo modo di pensare.
Questo è un messaggio, un’ecclesiologia, un Vangelo fondamentalmente diversi.
Per non essere accusati di aggrapparsi alle vecchie abitudini, riflettiamo su come la Messa, che incarna il sacramento che è “fonte e culmine della vita cristiana” (Lumen Gentium, n. 11), affronta la questione dell'”accoglienza”. Dovrebbe darci una direzione normativa perché la liturgia implica lex orandi, lex credendi – come preghiamo esprime ciò che crediamo – ed è stata riformata alla luce del Concilio Vaticano II.
La Messa stessa è divisa in quattro “parti”. Faccio questa osservazione perché sospetto che molti cattolici non se ne rendano conto. Potrebbero pensare alla Messa come a un insieme di preghiere che si susseguono, senza vedere come si articolano i legamenti principali della liturgia.
Le quattro “parti” della Messa sono: (1) i Riti introduttivi; (2) la Liturgia della Parola; (3) la Liturgia dell’Eucaristia; (4) i Riti conclusivi.
I Riti introduttivi vanno dall’ingresso alla Colletta (la preghiera di apertura). Iniziamo con il Segno della Croce perché tutto ciò che facciamo come cristiani inizia e finisce nel nome della Trinità e si applica a noi attraverso la croce di Cristo. Quindi, il nostro obiettivo immediato è Dio.
Il sacerdote dice poi l’equivalente teologico del “ciao”. Le varie opzioni a disposizione del sacerdote, la maggior parte delle quali tratte dalla Scrittura (ad esempio, “la grazia e la pace di Dio nostro Padre e del Signore Gesù Cristo…” proviene da 1 Corinzi 1:3), sono saluti religiosi. Il “benvenuto” in senso cristiano non è un “Ciao, come va?”. È un augurio di pace che il mondo non può dare (Gv 14,27) e che trova espressione nella prima parola di Gesù dopo la risurrezione ai suoi apostoli riuniti: “La pace sia con voi!”. La pace – lo shalom – non è un “buona giornata”, ma la pace profonda che deriva dall’essere in giusta relazione con Dio e con i propri simili.
Cosa fa allora il sacerdote? Subito dopo averci accolto augurandoci la pace che il mondo non può dare, ci invita a riflettere sul perché abbiamo bisogno di questa pace: “Ricordiamo i nostri peccati”. La liturgia della Chiesa (a differenza di alcune parrocchie ferme agli anni ’70) non inizia con un’ora di socialità e nemmeno con “segni di pace” (perché la pace è qualcosa di veramente dato da Dio, non da voi), ma con il riconoscimento di ciò che ostacola e impedisce la nostra pace: il peccato. Per avere la pace, abbiamo bisogno del perdono. Questo è ciò che ci insegna il rito penitenziale.
Ora, il rito penitenziale ci ricorda (a) che siamo peccatori e (b) che abbiamo bisogno di essere purificati dai nostri peccati per partecipare all’Eucaristia. Il rito penitenziale non è un rito sacramentale. (Ecco perché l'”assoluzione” – “Che Dio onnipotente abbia pietà di noi…” – è imprecatoria, non dichiarativa, e non include alcun segno di croce). Coloro i cui peccati sono gravi (cioè il peccato mortale) devono ricorrere a un altro sacramento per partecipare pienamente (criterio del Vaticano II) all’Eucaristia.
Se non avessimo capito la gravità del nostro riconoscimento di peccato, la Chiesa lo rafforza con la nostra preghiera di misericordia: Kyrie eleison-Christe eleison-Kyrie eleison.
Nel Gloria, non solo lodiamo Dio, ma lo supplichiamo: “Agnello di Dio, che togli il peccato del mondo, abbi pietà di noi!”. Riconosciamo il nostro bisogno di cambiare perché “Tu solo sei il Santo!”.
Infine, un numero non piccolo di preghiere di apertura include la menzione del nostro bisogno di guarigione e di perdono del Padre.
È così che il “Rito introduttivo” accoglie le persone.
Elementi paralleli si trovano in tutta la Messa, ma il Rito introduttivo è importante perché nell’antica liturgia, dove i catecumeni partecipavano solo alla Liturgia della Parola, questa era la parte che i battezzati e i non battezzati ascoltavano, entrambi accolti con il richiamo al loro bisogno di cambiare, μετανοεῖτε!
Lo stesso si può dire della Messa tridentina, i cui riti introduttivi non sono sostanzialmente diversi per quanto riguarda quanto detto sopra. E sia la Forma Ordinaria che quella Straordinaria prevedono l’aspersione del popolo, anche se in punti diversi. L’aspersione allude alla purificazione del sacramento battesimale della conversione. Infatti, l’inno tradizionale per l’aspersione durante la maggior parte dell’anno era Asperges me, Domine! (Mi aspergerai, Signore!), mentre l’inno pasquale Vidi aquam (Vidi l’acqua) ripete lo stesso motivo di pulizia.
Se la liturgia, e in particolare la Messa, è la nostra maestra normativa della fede della Chiesa, allora lo studio della sua accoglienza ci insegna elementi critici su ciò che una Chiesa “accogliente” è e non è.
Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente le opinioni del responsabile di questo blog. Sono ben accolti la discussione qualificata e il dibattito amichevole.
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