A proposito di disastro dell’inizio anno scolastico, rilanciamo un articolo di Daniele Capezzone che ha pubblicato sul suo blog.

“L’ho accompagnato fino all’ultimo miglio, poi è andato da solo. Mi sembra corretto nei confronti dell’istituto che io abbia solo la veste di padree non di Presidente del Consiglio”. Parole e musica di Giuseppe Conte, quattro giorni fa, il 14 settembre scorso, quando il premier si è tenuto alla larga dalla scuola media di Roma, in zona Prati, dove studia suo figlio.
Non dubitiamo che le cose siano andate esattamente come sostiene l’avvocato di Volturara Appula, e cioè che non abbia varcato i cancelli per un mix di delicatezza, riserbo e naturale ritrosia. Tuttavia, alla luce delle notizie giunte ieri dall’Istituto Belli – Col di Lana, può sorgere il dubbio, tra i più maliziosi, che Conte non si sia avvicinato anche per motivi diversi, forse temendo le reazioni di chiunque avesse incontrato sulla sua strada.
Ma cosa è successo ieri? I primi a raccontarlo sono stati i cronisti di Leggo, il free press diretto da Davide Desario. In pratica, un gruppo di genitori giustamente indignati ha organizzato una protesta per denunciare il fatto che l’attività scolastica, chiacchiere a parte, non è mai davvero cominciata.
Motivo? Mancanza di docenti, e quindi lezioni in presenza che saltano sistematicamente. Per sovrammercato, per ciò che riguarda le medie inferiori (e le elementari), nemmeno si può supplire con la didattica a distanza, cioè con l’insegnamento online. Morale: tutti a casa, e giorni di lezione irrimediabilmente andati in fumo.
Entrando nei dettagli, il quadro si fa impressionante. In seconda media, a quanto pare, è previsto un giorno solo di lezione per tre ore. Per le classi di prima e terza media, i giorni diventano due a settimana, sempre per tre ore. Una situazione letteralmente intollerabile per tutti, ma che assume il sapore della beffa in particolare per chi inizia il corso (i ragazzi di prima) e per chi dovrebbe fare a fine anno l’esame per accedere alle superiori (i ragazzi di terza).
Sempre su Leggo, fanno impressione le dichiarazioni dignitose ma lapidarie dei genitori: “Se continua così, portiamo via i nostri ragazzi”. E ancora: “Non ci sono altre scuole medie in zona che potrebbero accoglierci tutti, dovremo andare alla scuola privata: è il fallimento della scuola pubblica”. Ed ecco un’altra mamma: “Ho due figli, uno in prima e uno in terza, praticamente sono sempre a casa. Come posso andare a lavorare? Siamo stati avvisati dell’ingresso a scuola dei nostri figli ieri per oggi. Non c’è programmazione e così non possiamo neanche organizzarci”.
Alla luce di queste testimonianze, si può capire come mai il premier si sia tenuto alla larga. Meglio continuare a raccontare che l’anno scolastico sia iniziato nel migliore dei modi.
Ma purtroppo per Conte, i guai non finiscono qui. Sempre ieri, su La Stampa, quotidiano non certo ostile al governo, è stata pubblicata la lettera di un’altra ragazza di Roma, Gemma, studentessa liceale, che con garbo frammisto a stupore, ha raccontato la sua disavventura (“Io, prigioniera dei banchi a rotelle”). Dapprima, la scoperta della tragica scomodità dei banchi: “E’ bastato dover prendere un appunto con un piccolo quaderno. Una volta appoggiato, c’era spazio giusto per la penna e la mascherina. Non so come farò quando dovrò tenere sul banco mobile un libro o un dizionario”. Tutte cose a cui gli ineffabili Lucia Azzolina e Domenico Arcurinon devono aver pensato.
Gemma racconta che alla sua amica mancina è andata ancora peggio, per evidenti ragioni. E inevitabile, puntuale e prevedibile, è arrivata la “gara di autoscontri” all’intervallo tra i compagni maschi. Poi il passaggio più avvilente per un governo di sinistra, quandoGemma spiega che “molti di noi stanno pensando di farsi regalare un Ipad in cui scaricare i libri, e non è detto che tutti avranno i soldi per farlo”.
Ma Gemma, che mostra più giudizio di ministri e commissari straordinari, non si ferma qui, e mostra anche l’assurdità delle regole e dei protocolli comunicati ai ragazzi: quando si va in bagno, “è vietato rimanere in attesa fuori della porta”. Si domanda la ragazza: “Non ho ancora capito come si può evitare”. E soprattutto: ”Quando chiederò all’insegnante di andarci, lui o lei non potrà sapere se mi troverò fuori dalla porta”. Ennesima dimostrazione del fatto che, nella loro furia di regolamentare ogni singolo e minuto aspetto della nostra vita, i burocrati non si sono nemmeno preoccupati di verificare l’applicabilità materiale delle loro disposizioni.
Poi si passa ai divieti: “Ci hanno detto di non passarci le penne, e non possiamo comprare nulla dalle macchinette della scuola”. Fino alla parte finale della lettera di Gemma, che ripropone pari pari il problema sperimentato dai genitori della scuola del figlio di Conte: “Per il momento andiamo a scuola un giorno sì e uno no. Quando arriverà l’orario definitivo, faremo una settimana sì e una no”.
La ragazza, giudiziosa e seria, mostra non buona ma addirittura ottima volontà (“tutti – noi e i professori – rispetteremo queste limitazioni nella speranza di riavere al più presto la normalità”), ma è evidente che, in questa situazione, parlare di didattica e di servizio scolastico appare come una clamorosa presa in giro ai danni dei ragazzi, dei docenti, dei genitori, e di tutti i contribuenti.
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