di Annarosa Rossetto
E’ finito il mese di giugno.
Come forse saprete è il mese che la lobby LGBT ha da anni fatto diventare il “mese dell’orgoglio gay”.
E ogni anno vediamo intensificare l’onda di arcobaleno che invade i loghi di aziende di ogni tipo dalle reti telefoniche alle squadre di calcio, dai colossi della vendita online ai piccoli produttori che cercano di farsi notare, dalle case di cosmetici al pasticcere di grido. I più famosi discriminati del mondo sono coccolati, blanditi e sponsorizzati dalla Major del cinema, dalle multinazionali, dai politici, dallo Star System. In qualche caso anche dalla Chiesa come potete vedere dall’immagine di copertina, il logo di un evento della “pastorale LGBT” New Ways Ministry soppresso per l’epidemia di Covid ma trasformato dal gesuita padre James Martin in un messaggio video cui hanno partecipato moltissimi vescovi e sacerdoti.

Poi c’è chi vuole strafare. Uno degli spot più scioccanti per sponsorizzare un marchio cavalcando l’onda del Pride è quello del marchio di abbigliamento Diesel che è riuscito a mescolare transgenderismo e religione con un video in cui un ragazzo, a furia di pastiglie di ormoni e depilazioni, lascia gli studi e la famiglia e diventa novizia in un convento di suore. Francesca Vecchioni, fondatrice e Presidente di Diversity (agenzia che si occupa di “inclusione”), consulente per la realizzazione dello spot, ci spiega che «Per determinare un vero cambiamento sociale in direzione della gender equality e dell’inclusione, è essenziale parlare ai giovani e non solo: nel modo giusto, offrire loro storie di rottura e superamento degli stereotipi, e la storia di Francesca risponde in pieno a questi bisogni». Naturalmente questo era solo il “via” a tutto un mese dedicato al tema LGBTQ+ e dopo l’uscita dello spot, Diesel ha lanciato la sua collezione 2020 dedicata al Pride e finanziato due progetti internazionali sull’identità di genere e sull’integrazione: San Francisco Lesbian Gay Bisexual Transgender Community Center) e Transgender Europe.
Anche la rivista on-line Freeda, rivista femminile seguitissima sui social da tantissime ragazze, ha davvero spinto a fondo sul pedale dell’ideologia LGBTQ+. A conclusione del mese del “Pride” ha pubblicato il video di un bambino “transgender” che, da quando aveva 4 anni, è stato trattato da femmina poiché tale si sentiva. Nel video il bambino che si fa chiamare Cloe, racconta quanto sia meraviglioso essere “una bambina transgender” e di come sia super la psicologa che l’ha confermato in questa sua fissazione da quando ha dichiarato alla sua famiglia di essere femmina. Racconta delle difficoltà avute con altri bambini che lo hanno bullizzato spesso per la sua “diversità”, cosa ormai superata perché ora è in una scuola meravigliosa dove tutti lo rispettano come “bambina trans”. Tra una mossetta, una boccaccia e una capriola passa poi ad immaginare quando finalmente potrà prendere ormoni ed infine sottoporsi alla chirurgia per “cambiare sesso”.
Il tutto naturalmente raccontato con la semplicità di un bambino di nove anni che non ha idea di cosa comporterà per il suo fisico e la sua psiche questo percorso a tappe forzate e senso obbligato verso ormoni e plastiche agli organi genitali e ancora ormoni che durerà tutta la vita. Il video ha ricevuto più di 70.000 visualizzazioni su Facebook e più di 600.000 su Instagram oltre, naturalmente, a migliaia di commenti entusiasti. E questa volta non era uno spot commerciale, semplicemente uno spot per diffondere tra i giovani l’ideologia “queer”, ovvero che sesso e genere sono categorie separate e che si può “fluire” da un genere ad un altro.
E niente, grazie al Cielo giugno è finito anche quest’anno e, poiché il progetto di legge Zan-Boldrini-Scalfarotto per ora è solo in discussione, possiamo tirare un sospiro di sollievo senza essere ancora accusati formalmente di omotransfobia.
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