III Domenica di Pasqua (Anno C)
(At 5,27-32.40-41; Sal 29; Ap 5,11-14; Gv 21,1-19)
di Alberto Strumia
Proviamo a percorrere l’insegnamento delle letture di questa domenica, alla luce della fede nella Risurrezione di Cristo. Come gli Apostoli e i primi membri della Chiesa sappiamo che, comunque vadano le cose, Cristo è Risorto, Cristo ha già vinto! Tutta l’impalcatura dei poteri con i quali gli esseri umani si scontrano a tutti i livelli (guerra tra stati, lotte tra le parti politiche di una stessa nazione, scontri e rivalità negli ambienti di lavoro, dissidi interni alle famiglie o, peggio, alle più innaturali forme di convivenza domestica, dissociazioni mentali entro una stessa persona) si sbriciola e si dissolve se si muove senza di Lui e contro di Lui. Vivere come se Dio non esistesse e come se Cristo non fosse Dio, unico Salvatore, prima o poi si rivela impraticabile.
– Prima lettura. Quando gli Apostoli furono accusati di avere trasgredito l’ingiunzione dell’autorità religiosa costituita («il sommo sacerdote») di non annunciare la Risurrezione di Cristo e di non insegnare la Sua dottrina («Non vi avevamo espressamente proibito di insegnare in questo nome?»), Pietro rispose senza mezzi termini che «bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini». Perché tanta perentorietà e non una posizione “più morbida”, capace di meglio adattarsi? La risposta, che vale anche per noi, è semplice: perché, alla fine, conviene!
In questa parola dell’Apostolo Pietro si nasconde la chiave di comprensione di tutto il cristianesimo: conviene!
La convenienza umana del cristianesimo, anche solo, inizialmente, come ipotesi da considerare seriamente da parte di chi ancora non crede; ma soprattutto come norma di saggezza per chi già è credente, è il motivo di credibilità più convincente. Perché rinunciare alla convenienza?
Gli uomini non hanno nulla da offrire al termine della vita terrena, mentre Dio prospetta una vita eterna di beatitudine. Perché perdere questa possibilità? Anche un ateo può arrivarci con un po’ di “pragmatico” buon senso…
Se Dio non esiste alla fine della vita non c’è che il nulla; ma se esiste e c’è la vita eterna, non è meglio tentare di non rifiutarla a priori, solo in nome di un pregiudizio ideologico, finendo per perderla del tutto? Un rifiuto, oggi, potrebbe voler dire continuare per l’eternità a sopportare la tortura di una condizione di vita “irrisolta” e quindi totalemente infelice (ma questo è l’Inferno).
Risparmiare la “parte” della fatica di oggi e perdere il “tutto” di domani non è una soluzione intelligente perché non è conveniente. Così Pietro rispose con questa parola di saggezza. C’è anche un poderoso “motivo di credibilità”, della proposta di Dio che chiama alla fede: è la straordinaria concezione dell’uomo che Cristo ha rivelato e insegnato. Nessuno ha mai avuto una proposta “culturale” più seria e completa, un’antropologia più degna di essere presa in considerazione, del cristianesimo. Chi se ne accorge non si trova ad aver raggiunto una posizione che non è lontana dalle fede («Non sei lontano dal regno di Dio», Mc 12,34).
– Seconda lettura. È frequente la constatazione che, con il passare degli anni, avvicinandosi il tempo in cui è ragionevole aspettarsi il termine della vita terrena, coloro che hanno la fede sembrano essere sempre più proiettati verso l’aldilà, verso la realtà definitiva, quasi come se la intravedessero e percepissero di appartenervi già con un certo anticipo.
Sembra che anche per la liturgia di una Chiesa come la nostra, ormai “invecchiata” nei secoli, dopo la Pasqua, valga la stessa legge del protendersi verso l’aldilà. Le seconde letture di queste domeniche del Tempo Pasquale, ci presentano la visione dell’Apocalisse come sempre più vicina, attuale e addirittura attraente.
Anno dopo anno ci si sente, ormai, sempre più ambientati nel quadro di realtà che questo ultimo libro della Sacra Scrittura prospetta. È forse un indizio che anche la vita terrena della Chiesa si sta avviando verso gli ultimi tempi? La coscienza escatologica del cristiano è sempre vigile su questo punto, pur non conoscendo il momento preciso. Ed è un bel richiamo per tutti noi in questo nostro tempo “capovolto” della storia dell’umanità e della Chiesa stessa.
– Vangelo. Anche la scena del Vangelo, dell’apparizione di Gesù che fa passare gli Apostoli dalla quotidiana ripetizione monotona e faticosa del lavoro giornaliero («Disse loro Simon Pietro: “Io vado a pescare”. Gli dissero: “Veniamo anche noi con te”», come avveniva tutti i giorni) alla sorprendente constatazione, di fatto, che conviene obbedire a Dio piuttosto che agli uomini. Infatti, obbedendo presero una «grande quantità di pesci».
Mettersi in questa prospettiva escatologica, specialmente oggi, non è una fuga dalla realtà, ma piuttosto un “andare a fondo” nell’analizzarla e nel viverla. Siamo ormai nauseati dalle analisi socio-economiche guidate da prospettive orizzontalmente materialistiche; siamo saturi di una mediaticità ossessiva che martella tutti i minuti ripetendosi all’infinito con immagini e commenti a senso unico, volti a creare smarrimento e terrore.
Il potere dei potenti del mondo non è altro che un travestimento del potere di Satana e anche di fronte a questo conviene obbedire a Dio piuttosto che agli uomini. Non c’è bisogno di gesti plateali, di manifestazioni di piazza, di eroismi esibizionistici che possono essere anche viziati dalla stessa radice di orgoglio che muove i potenti. È sufficiente la semplicità interiore accompagnata dall’astuzia di chi trova il modo di aggirare gli ostacoli («siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe», Mt 10,16).
I santi sono sempre riusciti ad essere cristianamente se stessi senza svendere la propria identità cristiana e senza suonare la tromba per reclamizzare i loro atti di bontà.
La Vergine Maria ci è insieme maestra di vita e Madre protettrice che ci anticipa la strada verso Cristo suo Figlio. Ed è a lei che costantemente ricorriamo: «Soccorri nelle sue cadute il popolo che anela a risorgere (succurre cadenti qui surgere curat populo)» per raggiungere il Signore Risorto. E al suo fianco c’è sempre san Giuseppe suo sposo che oggi ricordiamo come instancabile, tenace e silenzioso lavoratore per la Casa del Signore, quella dove abitò Gesù e quella dove oggi viviamo anche noi.
Bologna, 1 maggio 2022
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