Secondo Douglas Bushman, alcuni hanno frainteso questo aspetto e hanno accusato il Concilio di un’infedeltà generalizzata che ha sradicato il teocentrismo della fede cristiana. È difficile immaginare un’accusa più infondata.

Di seguito una relazione di Douglas Bushman, pubblicata su Catholic World Report. Eccola nella mia traduzione. 

 

Concilio Vaticano II (foto CNS)
Concilio Vaticano II (foto CNS)

 

Introduzione

Una vecchia storia racconta che il diavolo convocò una riunione d’emergenza del personale perché le ultime statistiche mostravano che troppe persone entravano in paradiso. Egli chiese nuove strategie. Un tenente suggerì: “Diremo loro che Dio non esiste”, e un altro propose: “Diremo loro che non c’è né paradiso né inferno”. Il diavolo rispose: “Non ci cascheranno. È semplicemente troppo ovvio che Dio esiste e che c’è una resa dei conti finale”.

Quindi aprì la parola e venne fuori la seguente proposta: “Distraiamoli con preoccupazioni su cose diverse da Dio e, se sperimentano un momento di coscienza, rendendosi conto che il loro obbligo principale è quello di cercare Dio cercando le verità eterne, riconoscendole e vivendole, allora diremo loro: “Rilassatevi. Non preoccupatevi. Ci sono troppe cose importanti in questo momento: altre verità, verità di natura pratica, verità riguardanti il benessere del mondo. Potete sempre tornare a Dio domani. Non c’è fretta”. “Ecco”, esclamò il diavolo, con un’empia impazienza. “Funzionerà”.

Il diavolo conosce la saggezza del re Davide: “Se oggi ascolti la sua voce, non indurire il tuo cuore” (Sal 95,7-8). È il maestro della distrazione. Le cose buone, dopo tutto, non sono intrinsecamente cattive. Sono state create da Dio e sono buone. Il suo stratagemma è giocare su questa bontà e indurre le persone ad amare con eccesso le cose buone create da Dio. Questo, mi sembra, è alla base di quella pervasiva distorsione della coscienza che si riscontra in coloro che si considerano fondamentalmente brave persone e in un giusto rapporto con Dio solo perché “non sono come gli altri uomini, estorsori, ingiusti, adulteri…” (Lc 18,11).

Il Concilio Vaticano II può essere considerato come una contro-riunione del personale, dei leader della Chiesa apostolica di Cristo, per una rinvigorita attuazione dell’unica strategia per arrivare al cielo, cioè l’annuncio del mistero di Cristo.

 

La natura pastorale del Vaticano II

Il Concilio deve essere visto come la risposta della Chiesa al deterioramento della coscienza cristiana. Si è trattato di un’assemblea di coloro che Cristo stesso chiama e ordina a succedere ai suoi apostoli, presieduta dal successore di San Pietro, spinta da una sollecitudine pastorale stimolata dal successo della strategia del nemico. A differenza della sfida affrontata dai concili precedenti, che affrontavano le eresie e chiarivano la corretta comprensione della fede cattolica, la sfida del Vaticano II è stata quella di esporre la fede della Chiesa in modo che le persone, specialmente i fedeli, potessero percepire il significato della fede per la vita. Naturalmente, questo presuppone il fatto che la fede sia vera e abbia diritto all’assenso della fede perché è rivelata da Dio.

Al tempo del Concilio, la società e la cultura occidentale erano diventate autocompiaciute e sicure di sé, con un secolarismo sempre più militante. Il concetto stesso di Dio era trattato come un residuo superstizioso di un’epoca più primitiva. Dio è irrilevante, persino ostile, per il nuovo fascino dell’uomo che vuole assicurarsi la propria liberazione e un futuro migliore. La filosofia materialista ha ridotto il suo mondo alla sfera delle cose che può manipolare. La negazione della trascendenza dell’uomo, che implica un ordine razionale che lo precede, ha completamente compromesso la dimensione più importante di ciò che significa essere umano, ossia la dimensione morale. Anche se le sue conquiste sul mondo materiale avanzavano, la confusione morale e la decadenza acceleravano. Se l’uomo non è in grado di controllare se stesso, che garanzia c’è che il controllo che pensa di esercitare sul mondo che lo circonda contribuisca al suo benessere integrale?

In una situazione culturale come questa, la nuova enfasi doveva essere posta sulla questione del perché si debba credere, su come la fede nel Dio della rivelazione cristiana sia l’unica risposta definitiva alle domande che l’uomo si pone sul senso e sullo scopo della vita. Il messaggio essenziale del Vaticano II è che l’uomo non può conoscere pienamente se stesso, e di conseguenza non può orientare la propria vita verso il compimento che cerca, senza fare riferimento a Dio. Per questo motivo il Concilio viene spesso definito antropocentrico, cioè con la proclamazione della verità integrale sulla persona umana, fatta a immagine di Dio e chiamata alla comunione con Lui. Alcuni hanno frainteso questo aspetto e hanno accusato il Concilio di un’infedeltà totale che ha sradicato il teocentrismo della fede cristiana. È difficile immaginare un’accusa più infondata.

Ben prima del Concilio, alcuni leggevano i segni dei tempi e lanciavano l’allarme. Per esempio, nel 1958 Joseph Ratzinger tenne una conferenza intitolata “I nuovi pagani e la Chiesa”. Troppe anime – non solo nel mondo ma anche tra i battezzati – “vivono come se Dio non esistesse”. Possono partecipare alla Messa e professare la loro fede la domenica e dire una preghiera prima dei pasti. Possono ricevere ed essere presenti ad altri sacramenti, ma quando si tratta della vita quotidiana, le loro decisioni si basano più sulla gerarchia di valori della cultura secolare che li circonda che su ciò che Dio ha rivelato e affidato alla sua Chiesa apostolica. Non rifiutano apertamente Dio, Cristo, la Chiesa e la fede. Piuttosto, vivono in uno stato di quella che San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno chiamato “apostasia silenziosa”. Il loro non è un materialismo di principio e ponderato, ma un materialismo pratico (e relativo ateismo pratico).

Come gli israeliti di un tempo, i contemporanei della Chiesa della metà del XX secolo, compresi i suoi stessi membri, avevano dimenticato Dio. Il loro fascino non era più rivolto all’evento che dà un senso definitivo a tutta la vita, il mistero pasquale, ma alla prospettiva di una vita più sicura e confortevole promessa dalla scienza, dalla tecnologia e dalla gestione intelligente dei moderni sistemi politici ed economici. Dio non è rilevante per questa visione, per questa comprensione della felicità umana. C’è una crescente eclissi della dimensione morale e con essa la perdita del senso del peccato, l’ottundimento della coscienza e la relegazione di Dio in un passato pre-scientifico e pre-tecnologico.

Paolo VI ha riassunto la preoccupazione del Concilio incentrata su Dio come la risposta della Chiesa alla nuova era del paganesimo – l’empietà – in termini di virtù della religione:

Vorremmo dedicare questo momento prezioso a un solo pensiero che abbassa il nostro spirito nell’umiltà e nello stesso tempo lo eleva al vertice delle nostre aspirazioni. E questo pensiero è il seguente: qual è il valore religioso di questo Concilio? Lo definiamo religioso per il suo rapporto diretto con il Dio vivente, quel rapporto che è la ragion d’essere della Chiesa, di tutto ciò che essa crede, spera e ama; di tutto ciò che essa è e fa.

Per apprezzarla adeguatamente è necessario ricordare il tempo in cui è stata realizzata: un tempo che, come tutti ammettono, è orientato alla conquista del regno della terra più che di quello del cielo; un tempo in cui l’oblio di Dio è diventato abituale e sembra, a torto, essere spinto dal progresso della scienza; un tempo in cui l’atto fondamentale della persona umana, ora più consapevole di sé e della propria libertà, tende a pronunciarsi a favore della propria assoluta autonomia, nell’emancipazione da ogni legge trascendente; un’epoca in cui il secolarismo sembra la legittima conseguenza del pensiero moderno e la più alta saggezza nell’ordinamento temporale della società; un’epoca, inoltre, in cui l’anima dell’uomo ha sondato gli abissi dell’irrazionalità e della desolazione; un’epoca, infine, caratterizzata da sconvolgimenti e da un declino finora sconosciuto anche nelle grandi religioni mondiali.

È in un momento come questo che il nostro Concilio si è svolto ad onore di Dio, nel nome di Cristo e sotto l’impulso dello Spirito, che “scruta tutte le cose”, “ci fa comprendere i doni di Dio” (cfr. 1 Cor 2, 10-12), e che ora vivifica la Chiesa, dandole una visione al tempo stesso profonda e onnicomprensiva della vita del mondo. La concezione teocentrica e teologica dell’uomo e dell’universo, quasi in barba all’accusa di anacronismo e irrilevanza, ha ricevuto dal Concilio un nuovo risalto, attraverso affermazioni che il mondo giudicherà in un primo momento stolte, ma che, ci auguriamo, arriverà poi a riconoscere come veramente umane, sagge e salutari: cioè Dio è – e di più, è reale, vive, un Dio personale, provvidente, infinitamente buono; e non solo buono in sé, ma anche incommensurabilmente buono per noi. Egli sarà riconosciuto come il nostro Creatore, la nostra verità, la nostra felicità; tanto che lo sforzo di guardare a Lui, e di centrare il nostro cuore in Lui che chiamiamo contemplazione, è l’atto più alto, più perfetto dello spirito, l’atto che ancora oggi può e deve essere al vertice di ogni attività umana.

L’umanesimo secolare… ha, in un certo senso, sfidato il Concilio. La religione del Dio che si è fatto uomo ha incontrato la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio (Discorso di chiusura del Concilio, 7 dicembre 1965).

Guidato dallo Spirito Santo, promesso da Cristo, il Vaticano II ha adottato l’unica strategia che abbia mai funzionato, la strategia di Dio stesso. Come i profeti, Cristo stesso e gli apostoli, il Concilio chiama gli uomini alla conversione. Per questo, deve entrare nei loro cuori e nelle loro coscienze, l’unico “luogo” dove Dio può essere incontrato. Mentre il diavolo cerca di tenere gli uomini lontani dal loro cuore, la Chiesa di Cristo ricorda loro la loro dignità di immagine di Dio e li esorta a “discernere il loro destino sotto gli occhi di Dio, che sonda il loro cuore e lì li attende” (Gaudium et spes, 14). Il cuore umano o la coscienza è il campo di battaglia della salvezza. Il diavolo detesta i momenti di verità della coscienza, mentre la Chiesa di Cristo professa, sulla base di San Paolo in Romani 2, 14-16: “Nell’intimo della sua coscienza, l’uomo individua una legge… che lo obbliga all’obbedienza…. Perché l’uomo ha nel suo cuore una legge scritta da Dio. Obbedire a questa legge è la dignità stessa dell’uomo; in base ad essa sarà giudicato. La coscienza è il nucleo e il santuario più segreto dell’uomo. Lì è solo con Dio, la cui voce risuona nelle sue profondità” (Gaudium et spes, 16).

C’è una ragione comprensibile per cui le persone si lasciano facilmente sedurre dai piaceri superficiali della prosperità mondana. È l’intuizione che l’incontro con Dio nel cuore e nella coscienza comporterà sicuramente un incontro con il peccato. Ma è proprio per questo che l’insegnamento conciliare sulla rivelazione divina, sulla Chiesa, sulla liturgia e sulla missione della Chiesa nel mondo pone al centro il mistero pasquale di Cristo, così come il Credo. Il mistero pasquale è la rivelazione ultima dell’amore misericordioso di Dio. Per questo motivo, è la risposta definitiva del cielo alle domande che nascono dall’esperienza del male e della sofferenza sulla terra, specialmente il male morale del peccato e la corrispondente sofferenza di una coscienza oppressa da una colpa non riconciliata.

Per rafforzare questo insegnamento, il Vaticano II invita tutti coloro che hanno orecchie per ascoltare a testimoniare il potere trasformante dell’amore misericordioso di Dio con le parole e con il modo in cui vivono. Infatti, sia le parole che le azioni hanno la stessa radice, cioè la coscienza umana. Nel kerigma apostolico, il Battesimo conferisce il dono di una coscienza purificata dal sangue di Cristo (Eb 9:9, 14; 10:2; 20-22; 1 Pt 3:21). Cristo ha versato il suo sangue per rivelare il suo amore e per inviare lo Spirito Santo, luce delle coscienze. Gli uomini e le donne con la coscienza purificata dal sangue di Cristo, cioè i santi, sono la più potente apologia di Cristo e della sua Chiesa. Nulla è più rilevante, più pratico, più potente per plasmare la storia, della vita di coloro la cui libertà è stata liberata per amore. Gli uomini e le donne santi assumono la missione di costruire il regno di Cristo, di restaurare la cultura cristiana e di promuovere una civiltà e una cultura dell’amore.

Così, il Concilio insegna che “ogni beneficio che il Popolo di Dio, durante il suo pellegrinaggio terreno, può offrire alla famiglia umana, deriva dal fatto che la Chiesa è “il sacramento universale della salvezza”, che manifesta ed esercita simultaneamente il mistero dell’amore di Dio” (Gaudium et spes, 45). Ciò prosegue la missione di Cristo, che “con la rivelazione del mistero del Padre e del suo amore, rivela pienamente l’uomo all’uomo stesso e rende evidente la sua suprema vocazione” (Gaudium et spes, 22).

In definitiva, questo è l’obiettivo del Vaticano II: la restaurazione della cultura cristiana, che è il frutto delle azioni di uomini e donne guidati da coscienze purificate dal sangue, cioè dall’amore di Cristo. Non può avvenire come risultato dei privilegi di cui la Chiesa ha goduto a causa del suo rapporto storicamente unico con il potere secolare che ha caratterizzato l’età della cristianità. Deve avvenire conquistando le coscienze con la verità: la verità su Dio e il suo amore, e la verità sull’uomo.

 

Come dobbiamo pensare al Vaticano II?

Tenendo presente questo contesto, possiamo tornare alla domanda iniziale, posta dall’organizzatore di questa conferenza: Come dobbiamo pensare al Vaticano II? Questa domanda implica due cose: primo, che esiste un modo giusto di pensare al Vaticano II e, secondo, che esiste una certa disposizione a farlo. Per quanto riguarda quest’ultima, mi viene in mente il ritornello degli scritti di San Luca: “Che cosa dobbiamo fare?” (Lc 3:10, 12, 14; 10:25; 18:18; At 2:37; 16:30; 22:10). E San Giovanni: “Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?” (Gv 6,28) Chi ha una buona disposizione d’animo si rende conto che la parola di Dio, sia essa proclamata da Giovanni Battista, da Gesù stesso o dagli apostoli, richiede una risposta: Cosa dobbiamo fare? Non è diverso per il Vaticano II.

Quindi, permettetemi di dare una risposta diretta: ricevere l’insegnamento del Vaticano II, nella fede, come dono e parola dello Spirito Santo alla Chiesa del nostro tempo, e viverlo. Questa è la risposta di due santi, San Paolo VI e San Giovanni Paolo II. Questo è ciò che hanno fatto. E hanno tagliato il traguardo. Quando si tratta di arrivare in Paradiso, non esiste un pragmatismo eccessivo! Fate quello che hanno fatto i santi e quello che vi consigliano di fare. La prima e fondamentale relazione di ogni cattolico con il Vaticano II si basa sulla fede, che il Concilio ha splendidamente descritto con le parole di San Paolo come un’obbedienza a Dio che comporta un totale affidamento a Lui con la piena sottomissione delle nostre più alte facoltà, intelletto e volontà, affidamento che si manifesta sia nell’assenso a ciò che Dio ha rivelato sia nel vivere ciò che la fede ritiene vero (Dei Verbum, 5).

Prima di essere oggetto di indagine teologica, i documenti conciliari hanno una pretesa sulla fede cattolica. Infatti, la teologia è fede che cerca la comprensione. La comprensione non è una condizione per arrivare alla fede, ma lo sbocciare della fede.

 

I cattolici non sono d’accordo

È fin troppo dolorosamente ovvio che non tutti i cattolici percepiscono il Vaticano II allo stesso modo. Questo è un aspetto deplorevole del contesto storico in cui questo discorso sul Concilio viene pronunciato. Aggiungo: alcuni cattolici molto intelligenti e devoti non sono d’accordo. Si potrebbe dire molto a questo proposito, ma forse la cosa più importante da dire è che ciò che altri cattolici fanno o dicono o sostengono non ha alcuna pretesa sulla mia fede – o sulla vostra fede – sulla nostra fede. Solo la rivelazione di Dio in Cristo può avere una pretesa sulla mia fede e sulla vostra fede. E poiché questa rivelazione è stata affidata da Cristo alla sua Chiesa apostolica, l’insegnamento di questa Chiesa è la norma della mia fede e della vostra fede.

Le critiche smascherate del Vaticano II tendono a mettere i fedeli, che non hanno acquisito la competenza teologica per verificare da soli tali critiche, nella posizione di dover scegliere tra le opinioni personali di alcuni teologi e la Chiesa apostolica di Cristo. Questo mi ricorda la Lettera di San Paolo ai Corinzi:

Mi è stato infatti riferito dalla gente di Cloe che tra voi, fratelli miei, c’è una lite. Intendo dire che ognuno di voi dice: “Io sono di Paolo”, “Io sono di Apollo”, “Io sono di Cefa” o “Io sono di Cristo”. Cristo è diviso? Paolo è stato crocifisso per voi? O siete stati battezzati nel nome di Paolo? Sono grato di non aver battezzato nessuno di voi, eccetto Crispo e Gaio, perché nessuno possa dire che siete stati battezzati nel mio nome. (1 Corinzi 1:11-15)

Per applicare questo a oggi: Nessuno di noi è stato battezzato nel nome dell’arcivescovo Marcel Lefebvre, di Taylor Marshall, di Peter Kwasniewski o dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò. È un’ironia non da poco che in un momento in cui la cultura secolare pone i cattolici nella posizione di dover scegliere tra l’essere pensanti, scientifici, utilizzatori di tecnologia e moderni, da un lato, e l’essere una persona di fede, dall’altro, alcuni membri della Chiesa stiano effettivamente ponendo i cattolici nella posizione di dover scegliere tra una Chiesa pre-Vaticano II e una Chiesa post-Vaticano II.

Permettetemi di rivolgermi direttamente soprattutto ai miei fratelli e sorelle più giovani in Cristo qui nella comunità di fede dell’Università di Maria. Ricordiamo la strategia del diavolo per distrarre le persone, compresi i fedeli. Non disdegna di arruolare la collaborazione inconsapevole di sedicenti difensori della verità, che anche oggi mettono i cattolici nella condizione di dover scegliere se definire la propria fedeltà a Cristo come fedeltà alla Chiesa del Vaticano II o come fedeltà a una Chiesa precedente al Vaticano II. Per ripetere la domanda retorica di San Paolo: “Cristo è forse diviso?” Vi esorto: Non lasciate che coloro che hanno confuso le loro crisi personali di speranza nella promessa di Cristo di essere con la Sua Chiesa, con questioni di dottrina. Non lasciate che vi facciano ripensare alla vostra fede cattolica e alla vostra relazione con la Chiesa apostolica di Cristo.

 

Pensare al Vaticano II all’interno della fede

Questo significa che non c’è posto per le domande sull’insegnamento del Vaticano II? Certamente no! La Chiesa ha sempre incoraggiato l’intellectus fidei – la fede che cerca di capire – e non ha mai esortato i fedeli a credere senza porsi domande sui fondamenti, sull’intelligibilità e sulla coerenza della fede. Questo, infatti, è stato condannato come fideismo, un’altra strategia del nemico della Chiesa per minare la credibilità della fede. Ciò su cui insiste è che il trattamento delle questioni che sorgono a causa della fede deve essere fatto in un certo modo – all’interno della fede, non come condizione preliminare per la fede. Quindi, il mio appello alla comunità cattolica dell’Università di Maria è semplicemente questo: Pensate al Vaticano II all’interno della fede!

Per questo, la vostra Patrona, la Beata Vergine Maria, è una guida sicura. Quando, all’Annunciazione, si trovò di fronte al modo inimmaginabile in cui Dio decise di realizzare le sue promesse – in lei e attraverso di lei – rispose con la domanda: “Come avverrà?”. Questo è il paradigma per pensare all’interno della fede.

Un corollario importantissimo che ne consegue è che per chiunque apprezzi la propria fede cattolica e sia seriamente intenzionato a vivere in conformità con tutte le sue implicazioni, non è ammissibile sostituire alcuna autorità a quella dell’ufficio di insegnamento della Chiesa apostolica di Cristo: il magistero. Nello studio e nella ricerca è inevitabile che il teologo incontri delle difficoltà. Questo è uno dei rischi professionali dell’esercizio del dono della teologia al servizio della Chiesa.

È tuttavia salutare ricordare due cose importanti. La prima è l’intuizione di San John Henry Newman secondo cui mille difficoltà non costituiscono un solo dubbio. Per rifarci alla fede di Maria all’Annunciazione, la prospettiva di un parto verginale rappresenta una difficoltà, ma lei non ha mai dubitato della verità e dell’efficacia di quanto annunciato da Gabriele. In secondo luogo, per il bene comune della Chiesa, un teologo o chiunque abbia incontrato una difficoltà e si sia trovato a trattenere l’assenso della fede non dovrebbe insegnarla o pubblicarla, per non scuotere la fede degli altri.

Il mio appello, rivolto in particolare agli studenti della comunità cattolica dell’Università di Maria, è di tenere a mente due cose. Primo, che la difficoltà di un altro non è la vostra difficoltà. Affinché diventi veramente una vostra difficoltà, dovete fare la ricerca necessaria per vederla da soli. In secondo luogo, scegliere di stare dalla parte di chi pensa di essere giustificato a non accettare l’insegnamento del Vaticano II significa scegliere un’autorità meramente umana al posto dell’autorità didattica della Chiesa apostolica, istituita da Cristo e assistita dallo Spirito Santo. E questa è una grave offesa alla virtù della fede.

 

Pensieri finali, sul brontolare contro il credere

Per concludere, permettetemi di proporre una lectio divina del racconto di San Giovanni su due risposte piuttosto diverse al discorso del Pane di Vita di nostro Signore. Oggi, alcuni rispondono all’insegnamento del Vaticano II come alcuni discepoli di Gesù risposero al suo insegnamento: “Questo è un discorso difficile, chi può ascoltarlo?”. (Gv 6,60). Nel versetto successivo, Giovanni ci dice che Gesù era consapevole del loro brontolio. Essi brontolavano perché non vedevano come conciliare l’insegnamento di Gesù con ciò che già credevano. Si ponevano nella condizione di dover scegliere tra il continuare a seguire Gesù, con tutte le difficoltà che questo presentava per la loro fede, e il lasciarlo in nome della fedeltà a quella stessa fede.

Questo verbo, brontolare, è teologicamente carico. È la parola che descrive quegli ebrei che nel deserto persero la speranza e si lamentarono contro Mosè (Es 15:24; 16:2, 7, 8; 17:3). Si lamentavano invece di credere e confidare, e questo nonostante tutte le opere meravigliose di Dio di cui erano stati testimoni (Sal 106,21-25). È lo stesso verbo che descrive i farisei che non sanno leggere i segni dei tempi nella missione di Gesù, soprattutto quando si associa ai peccatori (Lc 5,30; 15,2; 19,7) – anche in questo caso, nonostante tutti i segni compiuti da Gesù.

Il brontolio si oppone alla fede, è un peccato contro la fede. Brontolare come facevano gli ebrei e i farisei significa disapprovare il modo in cui Dio conduce i suoi affari. Coloro che brontolavano contro l’insegnamento del Pane di Vita di Gesù “si allontanavano e non camminavano più con lui” (Gv 6,66). La traduzione della New American Bible approfondisce: “In seguito a ciò, molti [dei] suoi discepoli tornarono al loro precedente stile di vita e non lo accompagnarono più” (Gv 6,66). Presumibilmente, lo lasciarono in nome della fedeltà a ciò che già credevano, perché pensavano che l’insegnamento di Gesù lo contraddicesse. Non approvavano ciò che Dio stava facendo per portare la loro fede, e la speranza in essa radicata, alla sua pienezza e al suo compimento. Come gli Ebrei nel deserto che volevano tornare a ciò che pensavano fosse la sicurezza preferita della schiavitù in Egitto, si ritirarono nel loro precedente modo di vivere perché si erano trovati a loro agio.

Sicuramente, i discepoli scandalizzati dall’insegnamento del Pane di Vita di Gesù lo avevano seguito in primo luogo perché avevano cominciato a credere che sarebbe stato Lui a realizzare le loro speranze escatologiche, il loro desiderio di assistere alla consolazione di Israele. Tuttavia, nonostante i segni che li avevano condotti a Lui, il suo modo di realizzare quella speranza li aveva portati a brontolare perché non riuscivano ad andare oltre le loro stesse aspettative per quel compimento. Pietro sperimentò la stessa cosa, quando Gesù predisse per la prima volta che la sua missione lo avrebbe portato a essere rifiutato, a soffrire e a morire. Anche Pietro disapprovava il modo in cui Dio conduceva le sue faccende, il compimento delle sue promesse; brontolava interiormente e rimproverava il Signore.

Percepite la lettura spirituale di questo testo che vi propongo. Il Vaticano II è come un nuovo discorso sul Pane di Vita o una nuova predizione della passione. Per alcuni è diventato l’occasione per mugugnare. Hanno creduto nella Chiesa e seguito Cristo nella sua Chiesa, ma ora è evidente che si tratta di una sequela qualificata. La Chiesa deve conformarsi alle loro aspettative, a ciò che pensano debba seguire da ciò che viene prima. Come Gesù, il “segno che si oppone”, il Concilio è diventato l’occasione per “rivelare i pensieri di molti cuori” (Lc 2,34-35).

È profondamente ironico che alcuni che desiderano ardentemente vedere la Chiesa rinnovata e forte nella sua missione non riescano a vedere nel Concilio la risposta di Dio ai loro desideri! Ma è così che Dio risponde sempre alle nostre preghiere, con la sorpresa della saggezza divina che non riusciamo a comprendere. Le sue risposte alle preghiere che esprimono i nostri desideri sono sempre l’occasione per una scelta: brontolare e tornare alla vita di prima, oppure purificarsi e approfondire la fede e la speranza. Le parole di Gesù sono sempre attuali e il Concilio Vaticano II è l’occasione per farle riecheggiare nuovamente: “Volete andarvene anche voi?”. (Gv 6,67).

Douglas Bushman

 

Douglas Bushman è direttore della formazione e della missione parrocchiale presso la Chiesa di San Giuseppe a West St. Paul, MN. È noto per essere stato direttore dell’Istituto di teologia pastorale dell’Ave Maria University e dell’Università di Dallas e per i suoi corsi di ecclesiologia, spiritualità cattolica, Giovanni Paolo II, Vaticano II, teologia pastorale e nuova evangelizzazione. È autore di The Theology of Renewal for His Church: The Logic of Vatican II’s Renewal In Paul VI’s Encyclical Ecclesiam Suam, and Its Reception In John Paul II and Benedict XVI (Wipf and Stock, in corso di pubblicazione).è direttore della formazione e della missione parrocchiale presso la Chiesa di San Giuseppe a West St. Paul, MN. È noto per essere stato direttore dell’Istituto di teologia pastorale dell’Ave Maria University e dell’Università di Dallas e per i suoi corsi di ecclesiologia, spiritualità cattolica, Giovanni Paolo II, Vaticano II, teologia pastorale e nuova evangelizzazione. È autore di The Theology of Renewal for His Church: The Logic of Vatican II’s Renewal In Paul VI’s Encyclical Ecclesiam Suam, and Its Reception In John Paul II and Benedict XVI (Wipf and Stock, in corso di pubblicazione).

 


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