Immagine di Robert Pastryk da Pixabay 

 

 

di Mattia Spanò

 

Causa. Il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, ha promulgato l’Area B su tutto il territorio comunale. Chi non possiede una macchina Euro 6 per il diesel e almeno Euro 3 per il benzina, nei giorni feriali non può accedere alla città, pena multe salatissime.

Conseguenza. Mi chiama un amico, manager e consulente di alto profilo, dicendomi di spargere la voce perché intende vendere la sua macchina ad un prezzo stracciato, dal momento che non può più circolare all’interno di Milano.

Stiamo parlando di una macchina, non di una caffettiera. L’amico può permettersi di acquistarne una nuova, e d’altra parte gli dispiace privarsi di una bella macchina in perfette condizioni ad un prezzo tutto sommato iniquo. Ancora più iniquo se la vendesse tramite una concessionaria dell’usato.

Il punto è: il fatto di vendere la macchina è una libera scelta del mio amico? Avrebbe cambiato la macchina se dal 1° settembre il sindaco Sala non avesse introdotto questa norma che di fatto obbliga tutti, persone abbienti e poveracci, a cambiare la macchina? No.

Nei vari servizi che mi è capitato di ascoltare al telegiornale, i milanesi trasudano rabbia ma al tempo stesso si adeguano perché, parole loro, “cosa dobbiamo fare”?

La pandemia di Covid-19, e il diluvio di provvedimenti illiberali e demenziali che ha portato con sé, ha fatto detonare un sostrato profondo preesistente di fatti: l’idea di vivere in un sistema governato dal pilota automatico di draghiana memoria.

Dopo decenni passati a straparlare di progresso e tutto il distico di parole vuote al seguito – democrazia, libertà,  legalità, integrazione, accoglienza, inclusione, diritti e chi più ne ha più ne metta – improvvisamente tutto viene cancellato con un colpo di spugna.

Le persone, sic et simpliciter, non sanno cosa fare se tutto questo gli viene tolto. Subiscono ogni genere di sopruso violento e invasivo senza battere ciglio, dai vaccini alla macchina, dal contante alle tasse, dal prezzo del gas a quello della benzina.

Non sono d’accordo con l’invio delle armi in Ucraina, pagate coi soldi dei contribuenti? Che ci possiamo fare, signora mia. Devono letteralmente pagare di tasca propria la transizione ecologica? D’altra parte, si stava meglio quando si stava peggio. Le tasse esplodono, il carovita azzanna le terga con belluina ferocia? Non ci sono più le mezze stagioni.

Accettano e, quel che più conta, ripetono a denti stretti qualsiasi fandonia come “virtuosa”, “scientifica”, “positiva”. Lo fanno, ripeto, con rabbia e senso d’impotenza, un cocktail micidiale che farebbe tremare qualsiasi governante dotato di un briciolo di senno.

Qualcosa di simile accade nella Chiesa Cattolica. Dal momento che il papa assume certe posizioni – vaccinarsi è un atto d’amore, i russi sono dei barbari torturatori, i poveri ucraini dei martiri anche se chiudono chiese ortodosse e protestanti come un regime cinese qualsiasi (saluti al dialogo ecumenico), regime cinese col quale il Vaticano rinnova accordi senza che la contropartita sia nota – esse sono buone e giuste a prescindere da come la si pensi, e soprattutto a prescindere dalla verità fattuale.

La verità, nuda, cruda e per alcuni dolorosa, è che siamo cittadini e, per chi crede, fedeli per procura. Vale a dire che non abbiamo alcuna idea pratica di cosa sia lo Stato, cosa sia e come funzioni la democrazia, cosa sia il diritto. Abbiamo delegato tutto agli esperti, ai tecnici e alla tecnologia, nell’illusione che essi siano anche intrinsecamente morali e mai ci farebbero del male o ci arrecherebbero danno.

Allo stesso modo non sappiamo, né ci interessa sapere, cosa sia la Chiesa, cosa sia il cristianesimo e come funzioni. Per dirla con  Karl Rahner, Dio non può farci carico del peccato originale. Noi meritiamo il perdono, l’amnistia generale. E se uno non crede? Nessun problema. Come scrisse papa Francesco a Scalfari: “La questione per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha fede, c’è quando si va contro la coscienza”. Quale coscienza? Fatta di cosa? Con dentro cosa?

La fede, la fiducia nello Stato sono cose che non ci riguardano perché,  diciamoci la verità, non ci hanno mai veramente riguardato. È la quiete della vita, l’assenza di rischio reale e di pensiero critico, l’idea che la macchina sia talmente grande, potente e perfetta da non aver bisogno di alcuna manutenzione, alcun nostro contributo, nessuna consapevolezza.

È l’idea, che già Leopardi aveva criticata ne La ginestra o il fiore del deserto, delle “magnifiche sorti e progressive […] dal risorto pensier segnato innanti abbandonasti, e vòlti addietro i passi, del ritornar ti vanti, e procedere il chiami”: il fatto di chiamare progresso un ottuso arretramento. Correva il 1836, tre anni prima dell’inaugurazione del primo tratto di ferrovia italiana, la Napoli-Portici.

I primi fautori – o complici, come li chiama Giorgio Agamben – del sistema opprimente che si profila siamo noi. Un sistema talmente invasivo che il Tampa Bay Times può permettersi di sostenere che gli effetti avversi anche letali del vaccino non sono una buona ragione per non vaccinarsi: una quantità non piccola di lettori di Tampa, dal momento che il parere viene da “esperti”, lo riterrà un argomento validissimo, scientifico,  e continuerà a fare un vaccino che non previene il contagio, non evita la malattia né il ricovero, men che meno la morte, rischi ai quali deve sommare gli effetti avversi, dall’intorpidimento momentaneo del braccio alla morte improvvisa.

L’aspetto tragico è che in effetti questi cittadini (o questi fedeli, qualora lo fossero) concretamente non hanno alternative né nulla da opporre a questo delirio da oppiacei.

Von der Leyen trattava con Bourla via Whatsapp i contratti per 1.8 miliardi di dosi e nessuno fa un fiato perché non può. Anche solo ipotizzare che ci possa essere dietro la più scandalosa corruzione della storia, è impensabile. Di fatto, però, i messaggi che scagionerebbero Von der Leyen sono inaccessibili, o distrutti.

A casa Von der Leyen un lupo divora un pony, e lei scrive una lettera alla Commissione Europea in cui preannuncia che lo stato di protezione dei lupi sarebbe stato rivisto (leggi: sterminare i maledetti canidi che mi hanno divorato il cavallino), ma il Corriere della Sera ritiene poco probabile una correlazione fra i due eventi.

Questa sfrontatezza, questo sprezzo del ridicolo impietriscono la ragione, di per sé già estenuata e impoverita. Gradualmente ci hanno privato di tutto: non disturbarti a cucinare, compra il cibo precotto (presto sostituito da insetti, per i poveracci, e carne artificiale per i ricchi). Non leggere libri, ascolta audiolibri mentre fai jogging al parco.

Non usare il contante: dacci i tuoi soldi e paga con le nostre carte. Non fare alcuno sforzo fisico inutile – ad esempio, girare la manopola del gas per accendere il forno – ci pensa Alexa. E quando diventi grasso come un pallone perché non fai più nulla, iscriviti in palestra. Spegni il riscaldamento e le luci: il gelo fa bene alla circolazione, il buio fa atmosfera. Avrai più tempo, più vita, ma per fare cosa?

Questa specularità fra Stato e Chiesa, andati d’amore e d’accordo per tutta la pandemia – anzi, come a Milano, la Chiesa ha addirittura anticipato lo Stato nella chiusura degli spazi sacri ai fedeli e sospendendo le messe – ha di fatto trasferito le prerogative della seconda (il credere) al primo, che le ha a sua volte delegate alla Scienza.

Tanto è vero che la presidente della Corte Costituzionale, Silvana Sciarra, spiegando la sentenza di rigetto delle istanze presentate contro le politiche vaccinali ha potuto dire che i giudici hanno “seguito la scienza”. Non la legge, che compete loro, ma la scienza, di cui nulla sanno.

Benvenuti nell’era del cittadino credente. In cosa? Qualsiasi cosa gli venga detto di credere, a cui non può opporre nulla perché è come cembalo che tintinna: è privo cioè di quella forma di carità che è la conoscenza.

 

 

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