Questo di George Weigel, scrittore e amico di papa San Giovanni Paolo II, è un articolo che è stato scritto prima che l’accordo tra la Cina ed il Vaticano fosse siglato. Secondo Weigel, saremmo in presenza di un altro errore diplomatico vaticano. Come noto, tale accordo è stato firmato ieri. Però, per il suo contenuto, ritengo che mantenga tutto il suo valore. Lo offro pertanto alla riflessione comune.
Eccolo nella mia traduzione.

Ottantacinque anni fa, il 20 luglio 1933, un concordato che definiva la posizione giuridica della Chiesa cattolica nei confronti del Terzo Reich fu firmato dal segretario di Stato vaticano, il cardinale Eugenio Pacelli (poi Papa Pio XII) e dal vice cancelliere tedesco Franz von Papen. Il Reischskonkordat fu poi ratificato dal parlamento tedesco dominato dai nazisti circa sei settimane dopo, il 10 settembre. Papa Pio XI, sotto la cui autorità il cardinale Pacelli aveva negoziato questo trattato, non si faceva illusioni sul nazionalsocialismo tedesco; ne detestava l’ideologia razzista. E a differenza di alcuni diplomatici vaticani che sembravano aver immaginato che il Terzo Reich sarebbe stata una cosa di breve durata, il papa probabilmente pensava che Hitler e i suoi gangster sarebbero stati al potere per qualche tempo. Voleva quindi negoziare le tutele legali per la Chiesa affinché essa potesse operare pastoralmente sotto un regime totalitario che, con l’approvazione del famigerato “Enabling Act” del 23 marzo, aveva assunto poteri quasi dittatoriali. Che una condizione prevista nel Reichskonkordat fosse la distruzione de facto del Partito di Centro a base cattolica era evidentemente un prezzo che Pio XI pensava di pagare se il fine era la protezione delle istituzioni cattoliche e della vita pastorale.
Questa strategia giuridico-diplomatica – che sembra essere stata basata sulla convinzione che anche un regime totalitario avrebbe onorato l’impegno di un trattato – non ha funzionato. Il Terzo Reich ha iniziato a violare il Reichskonkordat poco dopo che l’inchiostro si era asciugato sul trattato. Poi, dopo che circa due dozzine di rigide note diplomatiche inviate a Berlino (redatte da Pacelli) non avevano prodotto risultati, un irato Pio XI pubblicò nel 1937 l’enciclica Mit brennender Sorge (con grave preoccupazione), la fece stampare clandestinamente in Germania, e ne ordinò la lettura da tutti i pulpiti tedeschi. Nell’enciclica, Pio XI denunciò un “culto idolatrico” che aveva sostituito la fede in Dio con una “religione nazionale” e un “mito di razza e sangue”, e la sua enfasi sul valore perenne dell’Antico Testamento rese ben chiaro ciò che pensava della svastica nazista e ciò che essa rappresentava.
È al di là dell’ironia, e rasenta lo scandalo, che la lezione di questa debacle – le promesse sulla carta non significano nulla per i regimi totalitari – non sia stata appresa in Vaticano, che sembra ora sul punto di ripetere il suo errore completando un accordo con il governo della Repubblica Popolare Cinese, nell’85° anniversario del Reichskonkordat. (un accordo provvisorio tra Cina e Vaticano è stato firmato ieri, 22 settembre 2018, ndr)
Le fonti vaticane definiscono l’accordo “una svolta storica”, ma l’unica cosa “storica” è l’incapacità della diplomazia vaticana di imparare dalla storia. A peggiorare le cose, altri in Vaticano ammettono che l’accordo non è “un buon accordo”, ma poi continuano a suggerire che potrebbe aprire la strada a qualcosa di meglio in futuro. Davvero? Non abbiamo già percorso quella strada prima d’ora? Il fallito Reichskonkordat non è forse una storia ammonitrice? La storia è insegnata alla Pontificia Accademia Ecclesiastica, la scuola di specializzazione della Chiesa per diplomatici pontifici?
Secondo l’accordo descritto in varie fonti mediatiche, i candidati a vescovo in Cina saranno scelti dai sacerdoti e dai laici di una diocesi, da una lista di potenziali vescovi presentata dalle autorità cinesi. Il risultato di queste “elezioni” sarà inviato a Pechino, che presenterà poi un candidato in Vaticano. Roma avrà poi il tempo di controllare il candidato, che potrà accettare o rifiutare. Se si tratta di quest’ultimo caso, ne deriverà un “dialogo”, presumibilmente per indurre Pechino a presentare un altro nome. Ma quell’altro nome sarà stato prodotto dallo stesso sistema truccato, perché è impossibile immaginare che un candidato proposto dalle autorità cinesi a livello locale non sia stato accuratamente controllato per quanto riguarda l’affidabilità come burattino comunista.
Come descritto nei comunicati stampa, questo accordo è una chiara violazione del diritto vigente della Chiesa. Il Canone 377.5 del Codice di Diritto Canonico afferma chiaramente che “Per il futuro non verrà concesso alle autorità civili alcun diritto e privilegio di elezione, nomina, presentazione o designazione dei Vescovi.” – una disposizione inequivocabile che dà forma giuridica all’insegnamento del Concilio Vaticano II nel suo Decreto sull’ufficio pastorale dei vescovi nella Chiesa. Peggio ancora, la responsabilità per gli affari ecclesiali nella Repubblica Popolare Cinese è stata tolta allo Stato cinese e affidata a un ufficio del Partito Comunista Cinese – il che significa che il Vaticano sta proponendo di dare un diritto di “presentazione …. dei vescovi” ai burocrati comunisti, i cui interessi, si può tranquillamente supporre, non sono quelli della Chiesa e della sua missione di evangelizzazione.
Peggio ancora, in termini di erosione dell’autorità morale di un Vaticano che farfuglia con la sua risposta agli abusi sessuali clericali e ai vescovi malfattori, questo accordo arriva in un momento in cui il governo cinese sta aumentando la persecuzione di gruppi religiosi in tutta la Cina, demolendo chiese cattoliche, privando altri di statue religiose, consegnando i leader delle chiese protestanti in campi di lavoro per schiavi e conducendo quella che alcuni considerano una campagna di genocidio contro i musulmani uiguri. La Cina intensifica la persecuzione religiosa e il Vaticano firma un accordo con la Repubblica popolare cinese? Ma per favore!
Per quanto riguarda l’idea che questo accordo contribuirà a colmare il divario tra una Chiesa cattolica in gran parte clandestina fedele al vescovo di Roma e l’Associazione Cattolica Patriottica patrocinata dal regime (APC), non c’è voce nota della Chiesa perseguitata in Cina che sostenga l’accordo proposto. Perché? Perché la Chiesa perseguitata sa che l’APC è, funzionalmente, uno strumento di regime, anche se alcuni dei suoi sacerdoti (compresi i vescovi) sono, nei loro cuori, fedeli a Roma. Non ci vuole una scienza profonda per capire che un accordo con cui le autorità comuniste-partito “nominano” i vescovi attraverso elezioni fasulle condotte da organismi approvati dall’APC a partire da liste di candidati preparate da altre autorità comuniste è un accordo che conferisce ulteriore potere all’APC e al tempo stesso priva di potere la Chiesa perseguitata.
Allora perché sta succedendo questo? Due spiegazioni mi vengono in mente.
La prima è che questo accordo sbagliato rappresenta la continua influenza nella diplomazia vaticana della Casaroli Gang – i discepoli del defunto cardinale Agostino Casaroli, architetto dell’Ostpolitik vaticana degli anni Settanta, che avrebbe dovuto migliorare la vita dei cattolici perseguitati dietro la cortina di ferro attraverso accordi con i regimi del Patto di Varsavia. L’Ostpolitik non ha fatto nulla del genere. Ha trasformato la Chiesa ungherese in una sussidiaria interamente di proprietà del partito comunista ungherese; ha causato gravi danni alla Chiesa in quella che allora era la Cecoslovacchia; e ha facilitato la profonda penetrazione dello stesso Vaticano da parte dei servizi segreti del blocco orientale. Questo massiccio fallimento politico è stato ben documentato con materiali provenienti dagli archivi segreti della polizia dell’ex Patto di Varsavia. Ne ho scritto a lungo, in libri prontamente disponibili in italiano. Eppure non è consentito neanche un mormorio di dissenso dalla leggenda di Casaroli il Grande in importanti circoli romani. Ed è la seconda e terza generazione di accoliti di Casaroli che sono gli artefici dell’accordo con la Cina. Sono, a quanto pare, impossibili da educare.
Poi c’è papa Francesco. Giovanni Paolo II ha dato alla Chiesa cattolica una vera leva morale nella politica mondiale. Benedetto XVI ha offerto i commenti incisivi sulle sfide politiche del XXI secolo dopo la guerra fredda. Quell’eredità è stata sciupata in una mossa dopo l’altra sconsiderata nei cinque anni e mezzo di questo pontificato: un’iniziativa siriana che ha dato al presidente Obama una scusa per non imporre la sua presunta “linea rossa” e rafforzare così il regime assassino di Assad; un disastroso e controproducente prostrarsi al regime di Maduro in Venezuela e alla dittatura comunista a Cuba che ha demoralizzato l’opposizione in entrambi i Paesi; un rifiuto di usare le parole “invasione” in riferimento alla Crimea e “guerra” in riferimento a ciò che la Russia sta facendo nell’Ucraina orientale; un approccio all’ortodossia russa che rifiuta di ammettere che i principali interlocutori della Chiesa in questo “dialogo” sono prima di tutto agenti del potere statale russo, e ecclesiastici da qualche parte in linea gerarchica; un approccio assolutistico alla crisi dei migranti in Europa che ha ridotto lo spazio in cui avrebbe potuto prendere forma un ragionevole compromesso politico; molto capitale morale papale speso in cose effimere come la minaccia rappresentata da bottiglie di plastica e cannucce negli oceani. Errore dopo errore, ora apparentemente sul punto di essere aggravati dal tradimento dei cattolici perseguitati in Cina attraverso un accordo che autorizza il partito comunista cinese nei suoi sforzi per fare della Chiesa uno strumento dello Stato. (In realtà, come detto, l’accordo è stato siglato ieri, ndr)
Il Papa potrebbe ancora porre fine a tutto questo, e dovrebbe farlo. Un cattivo accordo in queste circostanze è di gran lunga peggiore di nessun accordo, perché un cattivo accordo compromette ulteriormente l’autorità morale della Chiesa, che è poi ulteriormente indebolita nella sua missione evangelica. Questa è la lezione che si sarebbe dovuta imparare dal Reichskonkordat del 1933. Ottantacinque anni dopo, è un lungo periodo perché la diplomazia vaticana si metta lungo la curva di apprendimento.
Fonte: National Review
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