Negli ultimi decenni c’è stata la tendenza a identificare le cose di Dio con quelle di Cesare. Questo è un problema serio. Un articolo di James Kalb, pubblicato su The Catholic World Report, tradotto da Riccardo Zenobi.
La mia rubrica mensile è chiamata “Ecclesia et Civitas” perché ha perlopiù a che fare con la relazione tra la Chiesa e la comunità secolare.
È un argomento difficile da maneggiare.
Ci è stato detto di “rendere a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”. Ma il detto divide senza spiegare, e qualcuno afferma che è una risposta trabocchetto ad una domanda trabocchetto.
Nei recenti decenni c’è stata una tendenza a ridurre i problemi identificando le cose di Dio con quelle di Cesare. La gente piega l’amore di Dio all’amore del prossimo, interpretando quest’ultimo riferendosi alla corrente comprensione secolare di cosa è buono, e identificando pratica della Fede con azione politica. Così la Fede diventa un progressismo secolare che usa linguaggio cristiano, e il Regno diventa il risultato della società trasformata.
Ciò non può essere vero. I passaggi escatologici nel Vangelo rigettano ogni nozione di salvezza attraverso sviluppi politici o storici. E più alla base, il primo dei due grandi comandamenti è l’amore di Dio, non del prossimo. Ci viene chiesto di amare Dio con cuore, anima, forza e mente, e i nostri vicini come noi stessi – uno standard molto più debole.
Questo è ovviamente il giusto ordine, poiché abbassare ciò che è bene distorce ogni cosa. L’amore di Dio è necessario per portare un sano e genuino amore al prossimo. Pone tutti noi in un comune stato nel quale ognuno riceve il suo vero valore. Ciò rende possibile amare altri come amiamo noi stessi: altrimenti sarebbe difficile amare qualcuno.
Rende anche possibile comprendere e ordinare i beni in modo giusto. Se non possiamo farlo non possiamo dire cosa è buono da ciò che noi o altri pensano sia buono. La morale diventa un imporre le nostre preferenze sugli altri o accettare non criticamente le loro. Il risultato è un moralismo che si ritiene giusto da sé stesso o una concezione di amore che si riduce ad accettare, accompagnare, e supportare l’altro in qualsiasi cosa scelga di fare.
Il moralismo ha una cattiva nomea. L’accettazione senza giudizio, accompagnamento, e supporto ha attualmente un buon nome, anche se porta al proprio moralismo. Ma chi lo vorrebbe, anche nel suo caso? Siamo esseri sociali, e a dispetto della nostra debolezza aspiriamo a fare ciò che è giusto e buono. Ma non abbiamo un modo di raggiungerlo se facciamo di noi stessi e delle nostre preferenza lo standard. Perché dovremmo volere che qualcun altro faccia di sé stesso lo standard?
È evidente, quindi che la politica non è la stessa cosa della Fede, e dobbiamo mettere Dio e non l’uomo al centro. Ma ciò riporta alla questione originale: cosa dovrebbero fare i cattolici con la politica? La situazione è complicata dalla linea non mondana del cristianesimo. Gesù ha negato che il suo regno fosse un regno di questo mondo, e ha silenziosamente accettato la pretesa del diavolo che tali regni appartengono a lui. Non si è sposato, non aveva una casa, un lavoro o affiliazione istituzionale, o qualsiasi cosa oltre i vestiti che aveva addosso. Ed ha parlato della beatitudine dei poveri, miti, e umili, e non ha resistito all’arresto né si è difeso di fronte a Pilato.
La non mondanità continua tra i primi cristiani. Giacomo 4, 4 chiede “non sapete che chi si rende amico del mondo si rende nemico di Dio?” e 2 Cor 6, 14-17 avvisa “Non lasciatevi legare al giogo estraneo degli infedeli… Perciò uscite di mezzo a loro e riparatevi, dice il Signore, non toccate nulla d’impuro”.
Nemmeno la conversione di Costantino ha messo fine a tali visioni. L’alba di una Chiesa più mondana alleata con il potere ha portato molti santi a scegliere la solitudine del deserto. Anche oggi, i consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza sono vivi, e i contemplativi continuano a separarsi dalla società secolare, e la gente sogna ardentemente come san Francesco di vivere una vita come Gesù. E la chiamata dell’”Opzione Benedetto” mostra quanti cattolici ordinari sentono il bisogno di alcuni gradi di separazione.
Ma anche coloro che accolsero la nuova connessione tra lo Stato Romano sotto Costantino e i suoi successori erano nel giusto. Dio ha creato il mondo perché lo ama, quindi amare Dio è anche amare il nostro prossimo. E l’amore del prossimo include preoccupazioni per i suoi affari pratici, e così a volte con la politica. La Chiesa ha bisogno di eremiti, contemplativi, e pazzi per Cristo, ma non tutti sono chiamati a queste cose. San Francesco, nonostante fosse poco mondano, ha trovato il patrono di cui aveva bisogno in Innocenzo III, il più politicamente potente dei papi.
In ogni caso, il cristianesimo non lascia gli affari ordinari. Gesù era oltraggiato quando le persone pensavano che potessero smettere di aiutare i loro genitori dicendo che hanno lasciato i loro beni per motivi religiosi. Dunque se sei Re e cristiano, devi adempiere le tue responsabilità politiche come un cristiano. E quando persone ordinarie condividono il governo dovrebbero fare la stessa cosa.
Ma ancora, cosa significa ciò? La politica è intrinsecamente disordinata. In pratica, l’ordine politico alla fine si fonda sulla guerra. E l’operazione quotidiana del governo implica costringere le persone a fare ciò che non vogliono fare, se necessario con l’aiuto di una forza mortale. Non permettiamo loro di allenarsi a modo loro in collaborazione con gli altri, in base agli obiettivi e all’esperienza delle persone coinvolte, forziamo le cose.
Ciò è spesso necessario e benefico, ma ci sono limiti a ciò che può essere raggiunto in tal modo. È un motivo per cui la sussidiarietà, permettendo tanta autonomia quanta possibile alle associazioni locali e informali, è così basilare alla dottrina sociale della Chiesa. I cattolici portano avanti le loro utili attività pubbliche attraverso associazioni e non il governo.
E ci sono ulteriori problemi. Fare in modo che le cose siano risolte in maniera politica include acquisire potere e lavorare con persone che lo hanno. Ma il potere è spesso acquisito e usato in maniere dubbie, e se lavori con la gente devi venire a patti con ciò che sono e dar loro qualcosa che vogliono. Quindi la politica pratica significa cooperazione routinaria con il male.
L’effetto è che i politici, nonostante possano essere toccati da preoccupazioni cristiane attraverso convinzione o calcolo, sono raramente santi. Non molte persone possono occuparsi della zuffa della politica, con le sue ambiguità, bugie di convenienza, e bisogno di alleanza e mercanteggiamenti per far sì che le cose siano fatte, e aderire in maniera affidabile ai principi cattolici riguardo il doppio effetto e la remota cooperazione con il male.
Anche così, i cattolici votano, e i politici necessitano di piacere ad essi tanto quanto ad altri. E i santi stessi possono giocare un ruolo molto importante in politica cambiando ciò a cui le persone aspirano. Quale visione della vita ha la gente? Cosa si aspettano da sé stessi e dagli altri? Le risposte a tali questioni formano la base in cui i politici agiscono e perfino il tipo di vita pubblica.
Il più grande contributo che la Chiesa possa dare alla vita politica è aiutare a creare quella base. Oggi il mondo ne ha bisogno più di sempre. Per esempio, sentiamo una grande preoccupazione sulla natura e l’ecologia. Tali preoccupazioni sono importanti, ed è bene che i cattolici si occupino di tali cose come cittadini, ma la missione e competenza primaria della Chiesa ha a che fare con come le persone si rapportano a Dio e tra loro. La sua preoccupazione riguardo la natura e l’ecologia dovrebbe dunque essere la natura umana – in altre parole, la legge naturale – e l’ecologia morale e spirituale della vita umana. Chi si occuperà di tali questioni se lei non lo fa?
Sembra che la sua grande missione ecologica al momento dovrebbe essere quella di resistere a coloro che vogliono togliere di mezzo la famiglia, la religione e la comunità culturale evoluta attraverso la tecnocrazia globale. A tal fine non ha bisogno di solidarietà con Jeffrey Sachs, le Nazioni Unite e la Ford Foundation. Né ha bisogno di accessoriare i suoi sforzi con immagini di Madre Natura e appelli al Buon Selvaggio. Ciò di cui ha bisogno invece è difendere ciò che ha sempre sostenuto: l’amore di Dio, una concezione della moralità centrata su come ognuno di noi porta avanti la sua vita e una concezione della società che enfatizza la sua molteplicità e la relativa autonomia delle sue parti così come il suo ultimo orientamento verso i beni naturali dell’uomo e verso Dio.
James Kalb è un avvocato, studioso indipendente e convertito al cattolicesimo che vive a Brooklyn, New York. È autore di The Tyranny of Liberalism (ISI Books, 2008) e, più recentemente, Contro l’inclusività: Come il regime della diversità sta appiattendo l’America e l’Occidente e cosa fare di esso (Angelico Press, 2013).
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