La verbosità dei martellanti pronunciamenti ecclesiali nasconde una perniciosa dissimulazione, che introduce – di fatto – la rivoluzione nella teologia. Padre Antonio Spadaro è solo la punta dell’iceberg di una produzione teologica verbosa e autoreferenziale.
di Silvio Brachetta
Il gesuita Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, è sempre più preciso circa le vere intenzioni della rivoluzione in corso nella Chiesa. Nell’ultima intervista a Vatican News, Spadaro ha dichiarato: «C’è la necessità di capire come la Chiesa e come il Vangelo, che la Chiesa testimonia, possano cambiare la realtà, possano avere la capacità di incidere anche sulla vita sociale, politica, ecologica dei territori».
La missione del nuovo cristianesimo è, dunque, «cambiare la realtà», come del resto era già del tutto evidente da molti decenni. Cambiare la realtà è il vecchio programma dei rivoluzionari, a cominciare dall’undicesima Tesi su Feuerbach di Karl Marx: «I filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo, ora si tratta di trasformarlo».
Al rivoluzionario il mondo, così com’è stato creato, non piace. Non piace il Creatore, che contestano; non piace il creato, che sopportano controvoglia. Da quando poi lo spirito della rivoluzione è penetrato nella Chiesa (e si è sostituito allo Spirito Santo), i chierici rivoltosi cercano di dissimulare la sovversione in corso, cercando di coinvolgere il Vangelo, come sostegno sacro dell’ideologia.
Qua infatti c’è Spadaro, il quale non si limita a dire che è necessario «cambiare la realtà», ma che il cambiamento è conseguenza della «Chiesa» e del «Vangelo». E aggiunge: «Il Vangelo come parola viva, non come parola morta». Secondo Spadaro, quindi, rifiutare il programma pastorale rivoluzionario significa predicare un «Vangelo come parola morta». Viceversa, predicare un «Vangelo come parola viva» equivale «necessariamente» a «cambiare la realtà». La realtà, a parere dei marxisti in clergyman, va trasformata, perché così proprio non va bene.
Questo modo di pensare, oltre che tradire il magistero (da sempre opposto a ogni suggestione rivoluzionaria), porta a tradire la verità rivelata, mediante equivoci. A questo proposito, per fare un esempio, Spadaro afferma che «ecologia integrale significa una visione che è tipicamente cattolica» e «che mette insieme l’uomo, la terra, Dio». Ma nessuna visione cattolica «mette insieme» naturale e soprannaturale.
In Gesù Cristo natura umana e divina sono unite, ma non confuse, non «messe insieme». La distanza tra natura e soprannatura, con la Rivelazione, rimane abissale e non dà modo di sostenere alcun panteismo. Il «mettere insieme» di Spadaro è ambiguo e porta a immaginare la fusione delle nature (divina-umana), del tutto contraria alla verità della Rivelazione. Si può, certamente e in maniera grossolana, anche parlare di nature «messe insieme», ma chiarendo subito dopo che tra le nature non vi può essere nessuna fusione, né confusione.
Il problema della teologia moderna e modernista è tutto qua: genera una grande confusione, di termini, d’idee, di sostanze, di concetti e – infine – di pensiero e di fede. Il teologo non è chiamato a pasticciare, a confondere, ma a chiarire. Spadaro insiste su una questione, riproposta dalla moderna teologia in modo martellante: «Dobbiamo ascoltare. Questo è un altro tema importante del Sinodo: l’ascolto».
Ma è proprio l’ascolto che manca oggi. Soprattutto l’ascolto della grande teologia classica e scolastica. Del tutto assenti (o quasi), dai prolissi pronunciamenti ecclesiali, la patristica, la mariologia, la cristologia, la soteriologia, la teologia morale. Il linguaggio teologico è divenuto stereotipato e autoreferenziale. Non è più in ascolto – come vorrebbe certa presunzione ecclesiastica – ma è malato di una verbosità irrefrenabile, egocentrica. E, a lungo termine, ridicola.
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