Infatti il “condono” non cambia il cuore dell’uomo. Chi intende il “perdono” come “condono” è come un medico che fa finta che il malato non abbia nessuna patologia e lo rimanda a casa dicendogli che è sano, senza curarlo: se Dio si comportasse così fallirebbe, e finirebbe per ammettere di non essere onnipotente. Evidentemente non può essere questo il modo giusto di intendere il perdono. Questa è al più una concezione protestante del perdono, non quella cattolica: tu sei “peccatore” e io fingo che tu sia “giusto”, per cui tu ti trovi trattato da “giusto” pur rimanendo al tempo stesso “peccatore” (simul iustus et peccator secondo la formula luterana). Di una “salvezza” così fasulla e ipocrita non sapremmo che farcene, perché sarebbe una finzione lasciandoci nel nostro male!

 

 

Domenica XXIV del Tempo Ordinario (Anno A)

(Sir 27,33-28,9; Sal 102; Rm 14,7-9; Mt 18,21-35)

 

di Alberto Strumia

 

Nel Vangelo di oggi, come del resto in molte altre occasioni, per non dire sempre e sistematicamente, Gesù aiuta il suo interlocutore a comprendere anche le vicende che appaiono solo come “materiali”, o solo come “questioni personali”, entro la logica superiore del rapporto tra l’uomo e Dio Creatore («nessuno di noi vive per se stesso», seconda lettura). Oggi non basta più continuare a concepire se stessi, casa nostra, il nostro lavoro, la società, l’economia, la civiltà, il mondo intero come se non ci fosse un Dio Creatore che ci è “sempre presente”, ed è ridicolo e penoso sostituirlo paganamente e panteisticamente con la “madre terra”, l’“ambiente” e “una natura” che chiede all’uomo di autosopprimersi per non essere danneggiata, così che il materialismo di chi crede solo nel vantaggio del proprio opportunismo ormai non è più neppure apparentemente vantaggioso. Il potere di chi sta facendo di tutto per aggiogare a sé anche la Chiesa, falsificando Cristo per sostituire il Vangelo con un falso umanitarismo dalla facciata “buonista”, “perdonista”, “pacifista” ed “ecologista”, è alle corde e presto sarà smascherato nella sua illusione ideologica, dagli avvenimenti stessi della storia, dalla realtà dei fatti.

Nel passo del Vangelo di questa domenica viene messa a fuoco proprio la questione del “perdono” e come questo vada inteso per essere “perdono cristiano” e non ottuso “perdonismo buonista”. Pietro domanda a Gesù quante volte occorra perdonare chi ci fa un torto “personale” (Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli?»). Pensando che la questione rientri semplicemente nella “sfera privata” ed “esclusivamente personale”, Pietro si spinge al massimo per lui concepibile di “magnanimità”, incentrando tutto sulla sua esclusiva buona volontà umana: «Quante volte [“io”] dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». Come a dire: se il perdono è come un “chiudere un occhio”, facendo finta che nulla sia accaduto; e poi si ricomincia da capo, ci sarà pure un limite! Basteranno «sette volte?». E già è un’esagerazione, sopportare tanto… Uno che sopporta fino a questo punto è proprio “buono”, fin troppo! Infatti è un “buonista”, non uno “buono”… Quanti tra i fedeli cristiani sono convinti che questo sia il perdono cristiano! Il Signore sembra, in un primo momento, stare al gioco e chiedere di “strafare”, dicendo che occorre perdonare «fino a settanta volte sette». Se facciamo il conto otteniamo quattrocentonovanta volte; e dopo basta?! È ovvio che non è questo ciò che Gesù intende far capire a Pietro; e neanche a noi, tanto è vero che spinge fino ad un paradosso insostenibile la proposta di Pietro. Ma subito dopo il Signore passa ad un altro livello per riformulare il concetto di “perdono” che Pietro, come del resto normalmente anche noi, spesso abbiamo. E lo fa utilizzando una parabola.

– Primo passaggio. Nella parabola entra in scena un “Re” (una figura “pubblica”) che deve regolare i conti con i sudditi che sono al Suo servizio. Il Re chiaramente è Dio Creatore e i sudditi siamo noi, le creature umane. Questo ci insegna che non c’è nulla di così “privato” nella nostra vita che non rientri nella dimensione più “ampia” (in un certo senso più “pubblica”) del nostro rapporto con Dio, dinanzi al quale giochiamo tutti a carte scoperte. Il rapporto tra noi e il nostro prossimo, come addirittura quello tra noi stessi e la nostra coscienza e con il mondo intero, non si comprende e non si imposta in modo corretto, così che “funzioni bene” se non si tiene conto che siamo creati, e “scoperti” dinanzi a Dio Creatore, e da Lui viene ogni “regola” di comportamento (“legge morale”).

– Secondo passaggio. Il Re, nell’esempio portato da Gesù, viene presentato come uno che “prova” ad applicare lo stesso metodo che aveva proposto Pietro che è quello del “perdono” inteso come un “chiudere gli occhi” di fronte al torto subito, facendo finta che il torto non ci sia mai stato. Questa è la concezione del “perdono” come condono, che è destinata a fallire, come avviene nella parabola («Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito»). Gesù, mostrando che la concezione del “perdono come condono” non funziona e non può essere la Sua, sta preparando i Suoi ad un modo meno superficiale, meno incentrato sulla sola generosità e capacità umane, di intendere il “perdono”, un modo che “funzioni”. Perché il perdono “funzioni” deve entrare in campo anche l’intervento di Dio, perché il solo sforzo umano non è sufficiente.

Infatti il “condono” non cambia il cuore dell’uomo. Chi intende il “perdono” come “condono” è come un medico che fa finta che il malato non abbia nessuna patologia e lo rimanda a casa dicendogli che è sano, senza curarlo: se Dio si comportasse così fallirebbe, e finirebbe per ammettere di non essere onnipotente. Evidentemente non può essere questo il modo giusto di intendere il perdono. Questa è al più una concezione protestante del perdono, non quella cattolica: tu sei “peccatore” e io fingo che tu sia “giusto”, per cui tu ti trovi trattato da “giusto” pur rimanendo al tempo stesso “peccatore” (simul iustus et peccator secondo la formula luterana). Di una “salvezza” così fasulla e ipocrita non sapremmo che farcene, perché sarebbe una finzione lasciandoci nel nostro male!

La parabola dimostra il fallimento di una tale concezione del “perdono” come “condono” facendo vedere che il servo “condonato” è rimasto cattivo nell’animo, materialista e opportunista. Il “condono” non lo ha reso buono. Perché il male che è nella sua anima ha una radice più profonda del rapporto tra lui e l’altro servo (il prossimo). Il male che è nella sua anima deriva dal “peccato originale”, dalla “perdita della giustizia originale” nel rapporto con Dio Creatore. Fuor di metafora (andando oltre la parabola) dal modo sbagliato di concepire se stesso che l’uomo di oggi ha instaurato, facendosi dio al posto di Dio, considerandosi come non creato da Dio, ma totalmente indipendente da Lui e dalle leggi che governano il buon funzionamento della propria vita di uomo (la legge morale naturale, i Comandamenti).

– Terzo passaggio. La conseguenza illustrata dalla parabola è la condizione di prigionia che l’uomo si è procurato con le sue stesse mani; è la privazione della libertà dalla cattiveria che lascia nella malvagità del cuore nel modo di guardare a se stessi, al prossimo e a Dio («Servo malvagio»), la privazione della verità della vita, della presenza di Dio, l’anticipo dell’Inferno. In queste condizioni ogni forma di vita e di civiltà umana si trova consegnata «in mano agli aguzzini» che detengono il potere su di essa. Non è forse questa la nostra condizione di oggi nella quale all’umanità è imposto il potere di un “pensiero unico”, di un modo di vivere unificato, di un mercato globale unificato, di un modo di nascere o non nascere regolato da leggi statali, di morire programmato da leggi statali, di un mondo soggetto ai contemporanei aguzzini che impongono uno stile di vita materialistico e al tempo stesso esoterico, che vorrebbe costringere ad adorarli come degli dèi schiavisti?

Con questa parabola Gesù ha incominciato ad insegnare che la sola generosità e volontà umana non bastano a salvare l’uomo (l’uomo non si salva senza la “Grazia”, senza l’intervento di Dio stesso mediante Cristo); che la “giustizia” nei rapporti tra uomo e uomo, che la stessa “bontà” e “generosità” l’uomo non può ridarsela da solo e occorre che sia Dio stesso a riparare il cuore dell’uomo, ripristinando la possibilità di accedere nuovamente alla “giustizia originale” tra l’uomo e Dio che è stata infranta dall’umanità stessa, riaprendo l’accesso alla Grazia. Questa è la “Redenzione” realizzata da Cristo Salvatore con la Sua Passione, Morte e Risurrezione.

L’uomo non ha bisogno appena di un “condono”, ma di una “riparazione” (“Redenzione”), non di essere considerato sano rimanendo malato, ma di essere guarito, risanato (salus animarum, salute, risanamento delle anime, è il significato della parola “salvezza”). Il perdono cristiano è la ricostruzione della sanità, la guarigione dell’anima che è stata perduta con il peccato originale e viene nuovamente perduta con i peccati attuali. Questa solo Dio sa darla e l’ha data solo mediante Cristo Salvatore. Per opera Sua l’accesso alla Grazia, il ripristino del “giusto rapporto” con Dio Creatore, del “giusto rapporto” dell’uomo con se stesso e con il prossimo, del “giusto rapporto” dell’uomo con il creato, ritorna ad essere possibile e i peccati possono essere perdonati restituendo all’anima umana la Grazia temporaneamente perduta. Non c’è altra strada e l’umanità dovrà arrendersi e capirlo se non vuole rimanere prigioniera dei propri aguzzini e del demonio, il capo di tutti gli aguzzini.

La Beata Vergine Maria, che ci ha preceduto nel godimento della Grazia restituita, soccorre ciascuno di noi e l’umanità intera, intervenendo con le sue apparizioni profetiche, invitando gli uomini ad aprire gli occhi di fronte alla vita reale, così che la nostra libera volontà si arrenda alla Grazia del Signore che non obbliga nessuno, ma invita tutti. A lei chiediamo che gli uomini di Chiesa non cedano alle illusioni delle ideologie umane e quanti per debolezza e ambizione hanno ceduto, possano ritornare sui loro passi e, pentendosi, ritrovare Cristo, Via, Verità e Vita.

Bologna, 13 settembre 2020

 

fonte: albertostrumia.it

 

Alberto Strumia, sacerdote, teologo, già docente ordinario di fisica-matematica presso le università di Bologna e Bari. 

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