
Domenica XXVI del Tempo Ordinario (Anno A)
(Ez 18,25-28; Sal 24; Fil 2,1-11; Mt 21,28-32)
di Alberto Strumia
È molto istruttiva anche per noi, oggi, la domanda che Gesù ha posto «ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo» coinvolgendoli come giudici di una sorta di parabola; per mettere, alla fine dei conti, in discussione il loro stesso modo di vivere e di insegnare a quel popolo, che avrebbero dovuto guidare a capire il vero valore della Legge, del Decalogo, trasmesso dall’Antico Testamento. Con questa domanda Egli mette in crisi la loro poca “credibilità”, di maestri della Legge, agli occhi della gente. Gesù sembra voler dire loro: Chi è credibile? Perché voi lo siete così poco?
Questa stessa domanda è rivolta oggi a noi. Chi è oggi in grado di sfidare le ideologie del mondo con una proposta cristiana ragionevolmente, umanamente “credibile”; totalmente fedele a Cristo secondo la Tradizione della Chiesa, e riconoscibile come “più avanti” del mondo, che sta fallendo con le sue fasulle ideologie? Di certo san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI lo sono stati. Tanto è vero che i poteri del mondo hanno fatto di tutto per eliminare fisicamente il primo e far dimettere il secondo!
Chi, come e perché può e deve essere in grado di proporre il cristianesimo in un modo “vero”, per quello che è? E non in un modo noiosamente ripetitivo e antiquato, da un lato, o stupidamente innovativo e falsato dalle ideologie del mondo che dovrebbe invece sfidare, dall’altro?
La parabola/esempio dei due figli ci può aiutare a capirlo. Entrambi i figli sono partiti con un atteggiamento “moralistico”: decidono di obbedire o non obbedire al padre con una motivazione “umanamente insufficiente”, non abbastanza “ragionevole”.
– Il primo figlio risponde, sembrerebbe con sincerità – e per questo aspetto andrebbe anche apprezzato – che non obbedirà, perché non ne ha voglia. Il che significa che non coglie nella richiesta del padre, delle motivazioni adeguate per farlo decidere ad andare. Non basta il comandamento come tale, senza la motivazione per convincersi a metterlo in pratica. Una cosa non è automaticamente buona solo perché è comandata (bonum quia praeceptum). Questo è il formalismo di Kant, che era un protestante (tra l’altro). Ed è il “legalismo” dei paladini della “legalità statalista”, come via di salvezza, dei nostri giorni. Ma bisogna che chi ti dà un comandamento ti aiuti a capire che obbedire è un “bene in se stesso” e un “bene per te” (praeceptum quia bonum). Il primo figlio arriva a capirlo dopo, in un secondo momento, da solo; e, verosimilmente, non senza la Grazia di Dio, che interviene per aiutarlo. Questo suggerisce agli ascoltatori (i capi dei sacerdoti) che il loro compito è quello di insegnare aiutando a capire, un po’ alla volta, le “ragioni” di ciò che il Signore ha rivelato e insegnato. Così da potersi fidare sempre di più di Lui. Ma se non le hanno maturate e vissute loro stessi, nella loro vita quelle ragioni – e si limiteranno a ripetere un “manuale” che vale solo per gli altri – la cosa non funzionerà. La santità incomincia là dove le cose vere e buone che si insegnano valgono anche per noi stessi: questo accade solo quando Cristo è la motivazione vera di ciò che facciamo.
Non basta, ad una certa età, quando si è abbastanza maturi per pensare e decidere con la propria testa, di “giudicare” la realtà con un “criterio di giudizio” che è divenuto il proprio, obbedire solo perché lo dice un’“autorità”. Il “padre” per noi può significare un genitore, un confessore, un superiore ecclesiastico, la Chiesa con il suo Magistero… Bisogna fare un passo in più per essere convinti che quello che ci chiede quell’“autorità” è giusto ed è un bene per noi. Altrimenti non abbiamo ragioni sufficienti per deciderci a fare ciò che ci viene richiesto. La domanda è, allora: per quali ragioni quell’“autorità” ci chiede, ad esempio, di seguire i Comandamenti? Che cosa c’è dietro a quella richiesta? C’è il mio bene. E che cos’è il mio bene? E perché il non obbedire, inizialmente mi illude, ma poi finisce per danneggiarmi? Se non si è in grado di capire e di far capire come stanno veramente le cose, non si può essere credibili! Se non insegni ciò che è vero anche per te e parli solo “per mestiere”, facendo un discorso che è solo per gli altri, non puoi essere credibile.
– Il secondo figlio dice subito di sì, per far vedere al padre che è ubbidiente, e forse è anche sincero sul momento (sarà peggio per lui se lo fa per ipocrisia, servilismo e per evitare rimproveri e grane); ma il suo “moralismo”, alla fine, non regge come motivazione della sua decisione concreta. È abituato ad avere in testa, come criteri di priorità, una diversa “cultura” rispetto a quella del padre e finisce per seguire quella («Ma non vi andò»).
Questo secondo figlio rappresenta bene molti tra i credenti di oggi, i quali non essendo stati educati ad andare oltre il “moralismo” – per altro ormai dissoltosi pure quello! – finiscono per avere come “criteri di priorità” delle proprie scelte concrete di vita, lo stesso “pensiero unico” e le stesse “ideologie” del mondo; e spesso non sono più neppure in grado di rendersene conto. Così sono passati, ormai, come una “normalità” inevitabile e accettabile, il divorzio, l’aborto, l’eutanasia e tutto il resto che sappiamo e vediamo ogni giorno.
Ma dietro quel comando di andare nella vigna, dietro i Comandamenti, dietro ciò che la Chiesa ha insegnato per duemila anni, c’è una “concezione dell’uomo” alternativa a quella del mondo; e dietro quella concezione dell’uomo c’è la “concezione cattolica di Dio e della Creazione”. C’è la via di accesso alla “riparazione” dell’uomo, dai disastri che ha combinato (il peccato originale) e continua a combinare (i peccati attuali). La vigna del padre non si risana adorandola e mettendola al posto di Dio (ambientalismo, naturalismo, pantesimo, “conversione ecologica” senza la “conversione a Cristo”), ma riconoscendo la centralità di Cristo («Cristo è il centro del cosmo e della storia», Redemptor hominis, n. 1).
– Per questo san Paolo, nella seconda lettura, raccomanda ai suoi: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù». Dove la parola sentimenti qui ha il senso forte di “criteri di giudizio” così veri da appassionare la volontà e gli affetti.
Gesù sembra dire ai capi della comunità religiosa di allora e, quindi ai capi della Chiesa di oggi: non vi rendete conto che siete completamente fuori strada quando vi comportate come il secondo figlio: dite di sì, per un motivazione di facciata, fingendo di essere cristiani, e poi, nelle scelte concrete seguite il “pensiero unico”, le “ideologie” dei nemici della verità e di Cristo, vi mettete al servizio dei padroni del mondo che vi comprano per denaro e ambizione di apparire? Di fronte a chi vi ha trasmesso la vera dottrina di Cristo e della Chiesa «voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli». Dei farisei Gesù dirà, in un’altra occasione: «Fate quel che vi dicono, ubbidite ai loro insegnamenti, ma non imitate il loro modo di agire: perché essi insegnano, ma poi non mettono in pratica quel che insegnano» (Mt 23,3). Peggio ancora, dei capi di oggi avrebbe dovuto dire di non fare neppure quello che dicono, perché lasciano intendere, con il dire delle mezze verità, anche il contrario al Suo insegnamento!
Noi umanamente, con le nostre sole forze, non potremo mai rimediare un simile disastro, perché la lotta non è solo contro degli uomini instupiditi, ma è contro Satana che, per la sua natura superiore di angelo, è più forte di noi. Solo un intervento diretto del Signore può farlo. Noi lo domandiamo insistentemente, con l’intercessione della Madre di Dio, che non ha mai deluso coloro che la invocano sinceramente.
«Ricordati, o piissima Vergine Maria, che non si è mai inteso al mondo che qualcuno sia ricorso alla tua protezione, abbia implorato il tuo aiuto, chiesto il tuo patrocinio e sia stato da te abbandonato» (San Bernardo di Chiaravalle).
Bologna, 27 settembre 2020
Alberto Strumia, sacerdote, teologo, già docente ordinario di fisica-matematica presso le università di Bologna e Bari.
fonte: albertostrumia.it
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