Espansione-ad-Est-Nato

 

 

di Lucia Comelli

 

Con la Pace di Lodi (1452) i maggiori principati italiani, che da un secolo e mezzo si erano più volte affrontati in guerra, stabilirono una tregua dando inizio – grazie soprattutto all’intelligenza politica di Lorenzo de’ Medici – alla cosiddetta politica dell’equilibrio: i contraenti si impegnavano a mantenere lo status quo, impedendo a ciascun stato di espandersi a danno di altri. Nato dal genio italico, il principio d’equilibrio venne ripetutamente ripreso dai trattati che posero fine nei secoli successivi a guerre di carattere internazionale, definendo i termini della Pace di Cateau-Cambrésis (1559), di Westfalia (1648), di Utrecht (1713) e Rastatt (1714), fino al Congresso di Vienna (1814 -15).

Esempio emblematico della politica d’equilibrio sono state proprio le decisioni prese nella capitale asburgica dalle maggiori potenze europee (Austria, Russia, Prussia e Gran Bretagna) intente a restaurare l’ordine e quindi l’assetto politico dell’Europa al termine delle guerre napoleoniche. Ogni allargamento sul suolo europeo da parte di una delle potenze che avevano concorso a vincere le armate francesi fu in effetti bilanciato con analoghi vantaggi per le altre, oltre a tener conto del principio di legittimità, che riportò sul trono molti dei principi precedentemente spodestati. In un’epoca in cui i principi della fede cristiana sono ancora presenti nelle coscienze di sovrani e statisti, e quindi la misericordia per i vinti rimane concepibile, la Francia – che aveva messo a ferro e fuoco gran parte del continente, viene ammessa a discutere della propria sorte con i rappresentanti delle potenze vincitrici e alla fine (anche per l’abilità del ministro Talleyrand) non viene mutilata territorialmente, ma con magnanimità e realismo ricondotta semplicemente ai confini del 1792 (quelli che aveva cioè prima di dichiarare guerra ad Austria e Prussia). Per ostacolare altre espansioni francesi a danno dei vicini, i rappresentanti delle nazioni vincitrici decidono comunque di ingrandire i Paesi confinanti (politica degli Stati cuscinetto), cioè la Prussia, il Regno di Sardegna e quello d’Olanda. Nel contempo gli Stati vincitori decidono di affrontare assieme le future controversie internazionali (formando la Quadruplice Alleanza) e il possibile scoppio sul continente di eventi rivoluzionari al proprio interno[1] dando vita in questo modo ad una sorta di concerto realmente europeo (visto che anche la Russia ne faceva parte).

Le deliberazioni del Congresso di Vienna, aspramente criticate per decenni da storici di ispirazione liberale e nazionalista, sono state invece rivalutate dagli studiosi e statisti del Secondo dopoguerra (tra i quali il diplomatico statunitense Henry Kissinger[2], insignito del Nobel per la pace nel 1973) come esempio di moderazione ed equilibrio, tanto da permettere all’Europa di evitare per altri cent’anni guerre di carattere generale (cosa che i politici contemporanei non erano stati evidentemente capaci di fare).

In effetti, cent’anni dopo il Congresso, al termine della Grande guerra, i rappresentanti delle potenze vincitrici, per volontà soprattutto della Francia, imposero alla Germania, costretta a riconoscersi nel Trattato di Versailles come l’unica responsabile del conflitto, una pace punitiva che alimentò per decenni lo spirito di rivincita del popolo tedesco. Questa umiliazione e altre prove devastanti – come le crisi economiche del 1923[3] e degli anni Trenta – offrirono fertile terreno in Germania alla propaganda nazista, con tragiche e ben note conseguenze per gran parte del mondo.

Negli ultimi giorni queste considerazioni mi tornano spesso in mente, accanto allo strazio per le popolazioni coinvolte nel conflitto e alla forte preoccupazione per la decisione del nostro governo di inviare armamenti in Ucraina, malgrado l’articolo 11 della Costituzione italiana ripudi la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Una decisione avvenuta, oltretutto, senza voto parlamentare (l’approvazione è giunta successivamente) e mantenendo segreta la lista delle armi letali inviate.  

Putin, invadendo l’Ucraina, ha impresso una terribile escalation alla guerra civile già in atto fin dal 2014[4] nella parte orientale del Paese: ma la sua responsabilità, gravissima, non è tuttavia la sola.

Dopo il crollo nel 1991 dell’Urss, gli Stati Uniti hanno progressivamente esteso la Nato a tutto l’Est europeo, fino ai confini della Russia[5] ignorando con arroganza le fiere proteste di Putin. Sulla stessa linea risulta l’accordo tra Usa e Ucraina lo scorso 10 novembre, nel quale gli Usa sostengono in linea di principio il diritto dell’Ucraina, che ne ha fatto richiesta nel 2008, di entrare nella Nato.  

Una grande potenza come gli Stati Uniti, vinta la Guerra fredda, dovrebbe porsi come obiettivo non quello di annichilire il nemico storico o di omologarlo a sé culturalmente[6], ma di comporre per via diplomatica tutti gli interessi vitali in gioco in Europa, in modo da stabilire un ordine che persista nel tempo.

Invece la politica statunitense contrasta con il principio di equilibrio che ha ispirato per secoli la diplomazia europea: se i Paesi dell’UE vogliono la pace, l’Ucraina deve rimanere – come chiede Putin – uno Stato neutrale, una sorta di Stato cuscinetto tra l’Occidente e la Russia: non si può non riconoscere come un interesse vitale di quest’ultima evitare l’istallazione di missili lungo i propri confini (come fu essenziale per gli Usa ottenere nel 1962 la distruzione delle basi missilistiche costruite dai Russi a Cuba). Se l’Ucraina facesse già parte della Nato, tutti noi Paesi aderenti – in base all’articolo 5 del Trattato – saremmo oggi in guerra al suo fianco per una Terza guerra mondiale: è questo che vogliamo? Che fine ha fatto l’ideale, proprio dei padri fondatori, come Robert Schuman, di un’Europa unita dall’Oceano Atlantico agli Urali: riusciremo mai, contrastandoci tra noi europei, ad assumere un ruolo politico di rispetto? Che dire poi del fatto che la debolezza diplomatica dell’UE, incapace di smarcarsi in qualche misura dagli interessi americani, ha provocato un avvicinamento politico tra Russia e Cina?

Gli aiuti umanitari e l’accoglienza dei profughi sono doverosi, ma il manicheismo con cui trattiamo la questione (di cui è espressione la vergognosa cancel culture in atto anche nel nostro Paese contro ciò che è russo: tanto da annullare, all’università di Milano, un corso su Fëdor Dostoevskij ed espellere il direttore della Scala di Milano) non favorisce certo la cessazione del conflitto, anzi, lo alimenta, rischiando di estenderlo nel resto d’Europa.

Biden vuole provocare una rivolta popolare in Russia che determini la caduta di Putin … e noi europei che cosa vogliamo? Crediamo ancora – dopo gli esiti fallimentari dei sanguinosi conflitti in Iraq, Siria, Libia e Afghanistan – all’utopia americana di esportare la democrazia? Siamo realmente disposti per questo progetto rovinoso ad andare in guerra? E poi, quale democrazia vogliamo esportare, visto i problemi che già abbiamo con la nostra?

Senza due anni di pandemia, in cui gran parte dei cittadini si è abituata ad accettare supinamente ogni sorta di restrizione di libertà e diritti fondamentali, l’opinione pubblica sarebbe insorta contro le decisioni del nostro governo di dichiarare un secondo stato d’emergenza per la guerra, dopo quello già esistente contro il Covid, visto che oltretutto nessuno degli Stati confinanti con l’Ucraina (Bielorussia, Polonia, Ungheria, Slovacchia, Romania e Moldavia) l’ha adottato!

Aiutiamo concretamente la popolazione ucraina, ma opponiamoci all’invio di armi e preghiamo e operiamo invece per una iniziativa diplomatica che tenga conto di tutti gli interessi essenziali in gioco, prima che la situazione sfugga definitivamente al controllo degli ‘apprendisti stregoni’ che ci governano!

 

 

[1] Si tratta del principio di intervento, sancito dalla Santa Alleanza (un patto tra i tre regnanti cristiani di Austria, Prussia e Russia).

[2] Segretario di Stato americano (dal 1969 al ’77), H. Kissinger  si era laureato ad Harward con una tesi di laurea, poi pubblicata, dedicata alla Diplomazia della restaurazione cioè al Congresso di Vienna e particolarmente alla figura del ministro degli esteri austriaco, principe Von Metternich: la sua principale abilità – secondo l’autore –  fu quella di  scindere le responsabilità politiche e militari di Napoleone dal ruolo storico della Francia della Restaurazione, che entrò così a far parte del nuovo equilibrio europeo da protagonista.

[3] La terribile inflazione che colpì la Germania nel 1923 fu causata dal rifiuto francese di concedere alla Repubblica di Weimar una dilazione nel pagamento delle ingentissime riparazioni militari imposte dalle potenze vincitrici, cui seguì per ritorsione l’occupazione francese e belga della Ruhr, cuore nevralgico dell’industria tedesca.  

[4] Gli accordi di Minsk, firmati sotto l’egida dell’OSCE, il 5 settembre dai rappresentanti dell’Ucraina, della Russia e del Donbass (regione dell’Ucraina orientale), prevedevano la concessione di uno statuto d’autonomia per la popolazione locale di lingua e cultura russa, la creazione di zone di sicurezza lungo la frontiera, il disarmo di gruppi illegali armati e la ricostruzione dell’economia. Ma gli accordi non sono stati rispettati e le violenze sono continuate, soprattutto a danno della popolazione locale.

[5] Nel 2004 sono infatti entrate nell’organizzazione anche l’Estonia e la Lituania.

[6] Come ha invece fatto la stessa UE negli ultimi anni (cercando di estendere ad Est l’agenda dei ‘nuovi diritti’ occidentali, come la teoria gender o il matrimonio delle persone omosessuali …).

 

 

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