di Lucia Comelli
Che cosa mai c’entra il desiderio con le stelle? Eppure la parola desiderio (de-sidera) significa letteralmente il richiamo (mancanza/nostalgia) delle stelle, cioè dell’assoluto (ab-solutus = sciolto da limiti/condizionamenti).
L’attualità non fornisce gli strumenti per comprendere la vastità delle aspirazioni umane a cui la parola allude: tende piuttosto a ridurle a voglie/bisogni da soddisfare accumulando cose e consumando emozioni.
Ma può ciò che è finito colmare realmente il vuoto interiore che ci caratterizza e così soddisfare pienamente la nostra anima (satis facere = fare/essere abbastanza)? Ovviamente no!
La natura ‘desiderante’ dell’uomo, come una sete inestinguibile, lo induce a varcare temerariamente ogni limite e confine: manifestando così, nel bene e nel male, la sua superiorità tra tutti gli esseri viventi.
A differenza della mentalità corrente, la cultura antica ci richiama spesso, attraverso i miti, la letteratura e la stessa
filosofia, all’insondabile profondità del nostro desiderio. Platone, ad esempio, ci parla nel Simposio dell’eros come della forza che sollecita l’uomo a ricercare incessantemente la bellezza (che i Greci associavano indissolubilmente al bene) per farla per sempre sua: l’aspirazione a varcare i limiti della propria finitezza spinge quindi l’individuo ad unirsi fisicamente a chi lo attrae, perpetuando se stesso nei figli; così come lo sospinge a compiere grandi imprese, degne di fama imperitura. In questa ricerca di pienezza, l’amicizia e l’amore rappresentano lo sprone e l’aiuto che accompagnano gradualmente l’anima dall’esperienza del bello sensibile alla conoscenza della Bellezza stessa (quindi del Bene). Così purificata, la psiche si prepara a ritornare, dopo il distacco dal corpo, all’originaria dimora presso-gli-dei, per contemplare direttamente quell’Assoluto al quale ogni cosa bella e buona sulla terra rinvia. La stessa filosofia morale greca, facendo leva sul desiderio umano (piuttosto che sul dovere), si propone come una strada (in ascesa, ben si intende) che conduce alla felicità.
In conclusione, l’immensità del reale, simboleggiata dalla volta celeste trapuntata di stelle, suscita nella mente umana una domanda di senso così radicale e nel suo cuore un’attrattiva così irresistibile, che nient’altro, se non l’Assoluto stesso potrà, con la sua presenza, arrestare la corsa dell’anima: questo sembrano suggerire anche gli splendidi versi di Montale qui riportati, oltre che l’etimologia della parola analizzata.
Sotto l’azzurro fitto
del cielo qualche uccello di mare se ne va;
né sosta mai: perché tutte le immagini portano scritto:
«più in là».
E. Montale, Maestrale, da Ossi di Seppia, 1925
Scrivi un commento