Gesù il Buon Pastore, Ravenna- Mausoleo di Galla Placidia
Gesù il Buon Pastore, Ravenna- Mausoleo di Galla Placidia

 

 

IV Domenica di Pasqua (Anno A)

(At 2,14.36-41; Sal 22; 1Pt 2,20b-25; Gv 10,1-10)

 

di Alberto Strumia

 

Questa IV domenica di Pasqua è detta domenica del Buon Pastore, in quanto il brano del Vangelo, negli altri anni del triennio festivo (gli Anni B e C) è quello nel quale Gesù dice di sé: «Io sono il Buon Pastore» (Gv 10,11). Ed è la giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. Normalmente si prega perché aumenti il numero delle vocazioni al sacerdozio ministeriale; ma oltre al numero bisogna pregare per la loro “qualità” e la loro “formazione”; e sappiamo bene quanto ce ne sia bisogno in un tempo di sbandamento dottrinale pressoché totale negli ambienti di Chiesa e di pericolose situazioni nel mondo intero. Si dicono troppe insulsaggini e dottrine deviate, ormai…

Significativamente, però, in questo anno (l’Anno A del ciclo triennale festivo), si legge il brano del Vangelo di Giovanni immediatamente precedente quello del “Buon Pastore”. Per cui nel Vangelo di oggi, abbiamo letto che Cristo si definisce, ancor prima che “Buon Pastore”, come «la porta» («Io sono la porta») di accesso alla Salvezza.

– La prima lettura, con le parole autorevoli di san Pietro, primo Papa della storia, mette al centro, senza mezzi termini, il dato di fatto che ha rovinato il nostro mondo moderno e soprattutto quello contemporaneo, e lo spinge sempre più rapidamente verso la sua autodistruzione. Per alcuni secoli si è operata una sorta di sistematica “seconda crocifissione” di Dio, di Gesù Cristo; replicata esattamente come allora per rimuovere Dio dal mondo.

Come allora Pietro ci ripete (anche quando altri al suo posto non lo sanno più fare): «Sappia con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso».

Traduciamo per l’oggi. L’errore più grande che il mondo di oggi – e chi nella Chiesa lo segue ottusamente e in modo complice – compie, consiste nell’avere crocifisso Cristo, dissolvendo la fede in Lui del popolo. Lo si è rimosso dalle culture delle nazioni, scatenando forme di persecuzione diretta e indiretta, manipolando i contenuti del Suo insegnamento – la Sua dottrina – fino a snaturarla e capovolgerla.

Nella presunzione di poter fare senza e contro Dio, senza e contro Cristo, o nella pretesa di “addomesticarlo”, il nostro mondo si è suicidato commettendo un rinnovato “peccato originale”. Si è condannato a mettersi nel sepolcro della storia al posto di Lui, negandosi la possibilità di risorgere con Lui.

In una simile situazione, l’unica domanda ragionevole è, oggi come allora, quella che si posero gli ascoltatori di Pietro: «Che cosa dobbiamo fare?». Ma per arrivare ad essere in grado di porsela consapevolmente, la gente, a noi contemporanea, ha bisogno di arrivare prima ad accorgersi del disastro che ne è derivato, dalle conseguenze che si sono prodotte nella personale esistenza di ciascuno, nella vita sociale e in quella ecclesiale. Questo ci dicono, oggi, le parole «all’udire queste cose si sentirono trafiggere il cuore», perché dovettero constatare che avendo rimosso Cristo dalla loro esistenza e da quella della loro “civiltà” avevano distrutto anche se stessi, rendendo tutto invivibile e privo di senso. Parole che richiamano quelle di Dio a Caino: «Che cosa hai fatto?» (Gen 4,10). Le nostre culture “scientifiche” attuali hanno bisogno di riscoprire la relazione di “causa-effetto”, il nesso ineludibile che c’è, di fatto, tra il disastro nel quale siamo finiti (“effetto”) e la “rimozione di Dio”, la “rimozione di Cristo” e della Sua dottrina (“causa”). Chi è abituato a ragionare scientificamente è perfettamente in grado di risalire dall’effetto alla causa.

E la frase detta da Pietro lo dichiara agli uomini di tutti i tempi. E soprattutto a noi, oggi.

Pregare per le vocazioni significa chiedere a Dio che ci mandi dei pastori che abbiano la chiarezza e il coraggio di dire oggi quello che disse Pietro allora. E come Pietro sappiano rispondere al popolo disorientato, perché rimasto come un’accozzaglia di «pecore senza pastore» (Mt 9,36), alla domanda. «Che cosa dobbiamo fare?» per uscire da questa situazione. E la risposta è esattamente quella di Pietro anche oggi: «Convertitevi».

Che vuol dire: avete verificato sperimentalmente che vivere come se Dio non esistesse, come se Cristo non fosse Dio, non ha funzionato; allora invertite la rotta (questo significa convertitevi), nella vostra vita personale, domestica e pubblica. Impostando tutto per vivere come se Dio esistesse, come se Cristo fosse veramente Dio. Questa è stata la sfida lanciata da Benedetto XVI, sulla linea aperta da Giovanni Paolo II.

È per chiedere pastori così che oggi si deve pregare per le vocazioni! È ora di finirla con il sale insipido («se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini», Mt 5,13).

Pastori che insegnino a tutti a vivere nella giustizia con Dio e tra noi («perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia», seconda lettura).

Nel Vangelo Gesù dice chiaramente che Lui è la porta («Io sono la porta») attraverso la quale si entra nella Casa stessa di Dio, si ha accesso alla partecipazione alla vita della Trinità (questa è la “Grazia”), inizialmente già da ora e poi definitivamente per sempre. La porta significa il “raccordo” (il “mediatore”) tra l’uomo e Dio, perché solo in Lui Dio, il Verbo, è saldamente (ipostaticamente) unito all’uomo, mediante l’Incarnazione.

Tutti gli altri, ideologi, capipopolo, rivoluzionari, hanno dimostrato di essere «ladri e briganti», portando solo un peggioramento della vita dell’umanità. E sono i fatti a dimostrarlo. Mentre chi ha costruito veramente – e non in apparenza – con Cristo, ha portato frutti di carità e di civiltà. Le opere d’arte, di cultura, di bene, che, uniche al mondo, ha realizzato il cristianesimo – molte delle quali sono ancora ben visibili e conoscibili – continuano a documentarlo. Solo Cristo può dire, con il sostegno dei fatti: «Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».

Siamo nell’epoca apocalittica nella quale non serve l’ambiguità degli insegnamenti, ma la chiarezza della verità («Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca», Ap 3,15-16).

Come ci ricorda la prima lettura dell’Ufficio delle letture della liturgia delle ore di questa domenica, Maria, in questi tempi, è colei che può accompagnare, solo che lo vogliamo, per la strada sicura che conduce a Cristo suo Figlio («Nel cielo apparve un segno grandioso: una donna vestita di sole», Ap 12,1), perché «ora si è compiuta la Salvezza, la Forza e il Regno del nostro Dio e la potenza del Suo Cristo» nell’attesa che venga definitivamente «precipitato l’accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusava davanti al nostro Dio giorno e notte», «colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra». Perché Cristo lo ha vinto! Questo ci dice questo Tempo di Pasqua. Facciamone tesoro!

 

Bologna, 30 aprile 2023

 

Alberto Strumia, sacerdote, teologo, già docente ordinario di fisica-matematica presso le università di Bologna e Bari.

 


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