Nel preparare i miei ragazzi alla Cresima ho pensato di utilizzare come ausilio alcune opere d’arte e la poesia di Charles Peguy e video di Harry Potter per meglio spiegare il significato della confermazione quale sacramento che sigilla e rafforza la nostra fede in Cristo Gesù.
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La Forza della Cresima
La Cappella degli Scrovegni, a Padova, custodisce il più completo ciclo di affreschi di Giotto.
La Cappella, voluta da Enrico Scrovegni, un ricco banchiere della città, figlio di un usuraio di cui anche Dante parla nella Divina Commedia,
si presenta interamente affrescata su tutte e quattro le pareti.
Giotto stese gli affreschi su tutta la superficie, organizzati in quattro fasce, dove le storie vere e proprie dei personaggi sono divise da cornici geometriche.
Il ciclo pittorico, incentrato sulla storia della salvezza, ha inizio dalla lunetta in alto, sull’Arco Trionfale, quando Dio decide di inviare nel mondo l’arcangelo Gabriele per salvare l’umanità.
– Prosegue con le Storie di Gioacchino ed Anna
– le Storie di Maria (l’Annunciazione e la
Visitazione di Maria a sua cugina Elisabetta)
– e le Storie di Cristo.
La parete ovest reca un grandioso Giudizio Universale.
Mentre nel resto della cappella, piena di colore, Giotto descrive il miracolo di quei 33 anni della vita di Gesù Cristo che hanno cambiato il mondo e l’uomo,
nella parte inferiore, esattamente nel
quarto registro delle due pareti laterali, quello più in basso, riporta quattordici figure, monocromatiche, che simboleggiano i sette Vizi capitali, sulla sinistra, e le sette Virtù, (quattro cardinali, e tre teologali), sulla destra.
Con esse Giotto vuole mostrare le conseguenze della venuta di Gesù nella vita di tutti i giorni: l’attrattiva del Bene e il disgusto per il male.
Ma soffermiamoci prima sull’affresco del Giudizio universale, che prende tutta la parete ovest:
Cristo è raffigurato con la mano destra aperta verso il paradiso e la sinistra chiusa sull’inferno.
Le sette virtù stanno lungo la calda parete Sud, quella alla sua destra, e conducono alla salvezza; i vizi alla base dell’umida e gelida parete Nord, quella alla sua sinistra, portano all’eterna perdizione.
Prudenza
Richiama le vergini prudenti del vangelo, opposte alle vergini stolte; è la virtù dell’insegnante. Siede in cattedra, davanti a un libro. In una mano ha il compasso e nell’altra uno specchio: si guarda prudentemente alle spalle, imparando dalla tradizione. Ma quello specchio è anche un invito alla riflessione.
Stoltezza
Un individuo fisicamente pesante ma interiormente leggero, inconsistente, con la testa fra le nuvole. E’ rivestito con delle penne, e la mano sinistra mima una testa di struzzo: tutto in lui evoca gli uccelli, la volatilità, le cose che se ne vanno. In mano ha una clava, segno che tutto per lui potrebbe significare un pericolo, ma non sa neppure perché.
Fortezza
Eretta, decisa, con la destra brandisce una mazza, con cui distrugge le cose malvagie, con la sinistra sorregge un grande scudo sul quale campeggiano una croce e un leone rampante.
Supera ogni sfida e in nessun caso si abbatte. La sua forza è simboleggiata da un leone, da lei ucciso con la forza, la cui pelle le fa da mantello (notate le zampe anteriori annodate al collo, quelle posteriori in vita), e ne indossa anche la testa come elmo.
E’ forte come un leone, vigile come una sentinella nella notte.
Incostanza
In precario equilibrio su una ruota che corre verso il basso, sta cadendo all’indietro, come suggerisce anche il mantello svolazzante: appena viene indotta in tentazione ci cade.
Temperanza
Ha la spada fasciata con una lunga cintura di cuoio, e la bocca tenuta a freno da una briglia come si fa coi cavalli, perché – dice il proverbio – “uccide più la lingua che la spada”
Ira
Giustizia
Siede, come una regina, su un trono prezioso, di fronte alla porta della città.
E’ raffigurata come una bilancia con cui pesa ogni cosa con grande equilibrio.
Con la destra regge un piatto sul quale sta un angelo che incorona il bene,
mentre con la sinistra regge un angelo che sta giustiziando il male.
Nella predella ai suoi piedi, due cacciatori con cani e falcone e due mercanti procedono sicuri, dirigendosi verso un villaggio in festa, dove si suona e si danza.
Ingiustizia
È un tiranno dal mento prominente e dalle mani artigliate come Lucifero; troneggia, armato di spada e di lancia uncinata, di fronte a una porta di città che sta venendo giù a pezzi.La natura che gli sta di fronte è inselvatichita, mentre la strada sotto di lui è infestata da predoni che uccidono, rubano, compiono ogni tipo di violenza.
Fede
Forte e sicura, ti guarda dritto negli occhi.
Dal mantello le spunta la chiave, il segno del Papa che ha il dovere di custodire integra la fede.
Con la sinistra regge un cartiglio su cui sta scritto il Credo;
con la destra una croce ad asta che, giù a terra, sta frantumando l’idolo;
sotto i piedi calpesta gli oroscopi.
Scismi ed eresie hanno aperto dolorosi strappi nel mantello e nella tunica di lei, ma non ne hanno rovinato il volto.
Infedeltà – Idolatria Lussuria
Ha lo sguardo bieco; zoppica, per una deformazione della gamba sinistra, come a dire che l’usura, la lussuria e il potere, rendono deformi, apparentemente ricchi da una parte ma mancanti dall’altra.
Confida nell’idolo, cioè quella statuetta retta con la mano destra.
A sua volta l’idolo l’ammalia offrendole con la destra un arboscello in fiore, mentre con la sinistra stringe una cordicella che stringe il collo dell’adoratrice con un nodo scorsoio.
Segno che la mancanza di fede che porta alla lussuria prima o poi ci strozza, e ci trascina nel rosso fuoco infernale.
Carità
Il capo con l’aureola (i tre punti di rosso ricordano l’aureola di Cristo), è coronato di fiori.
Lo sguardo intensamente rivolto a Gesù.
Con una mano offre a Gesù il suo cuore (e se lo vede restituito di nuovo), mentre con l’altra mano offre al prossimo una canestra piena di fiori, frutti e spighe.
La carità fiorisce come gratitudine per il fatto di essere amorevolmente amati e preferiti da Gesù.
Si fa di regola serva, rifiuta la vanità delle ricchezze terrene, colora tutte le cose di ogni liberalità.
Di conseguenza le viene spontaneo donare al prossimo e calpestare l’idolo dell’avere.
È la virtù più bella.
Invidia
È il vizio più diabolico e schifoso.
Sta bruciando, con il fuoco ai suoi piedi, per la bramosia di possesso,
Con la mano sinistra tiene ben stretto un sacchetto con i propri averi,
mentre la destra, a forma di artiglio, si protende per prendere ancora di più.
Una diabolica serpe le scodinzola sulla nuca, le spunta da sotto il turbante, le esce dalla bocca e le entra negli occhi, avvelenandole lo sguardo. Infatti “In-vidia” significa cecità: non vedere, o vedere tutto di “mal-occhio”, mentre il grande orecchio sta origliando maligno.
Speranza
Con volto pacificato vola verso l’alto, le mani sono protese verso l’alto in attesa di farsi incoronare da Cristo con la corona della gloria, verso il paradiso del Giudizio universale.
È certa di essere beatificata nei cieli.
L’ala della speranza ha la stessa forma del lembo del mantello sollevato di Gesù che ascende al cielo.
Disperazione
S’impicca, come era stato prefigurato dall’idolo dell’infedeltà.
Nell’angolo in alto a sinistra, un diavolo ne arpiona la testa per trascinarla nel fuoco dell’inferno del grande Giudizio universale.
Il volto è devastato, e i pugni sono contratti: questa è la tragica conseguenza del male liberamente scelto.
Questa figura rappresenta Satana che ha in potere l’impiccato, che quindi è dannato nell’inferno.
Ma la speranza, dice Dio, la speranza, sì, che mi sorprende.
Che questi poveri figli vedano come vanno le cose oggi e credano che andrà meglio domattina.
La carità va da sé. La carità cammina da sola. Per amare il proprio prossimo basta solo lasciarsi andare, basta solo guardare una tal miseria. Per non amare il proprio prossimo bisognerebbe violentarsi, torturarsi, tormentarsi, farsi male. La carità è il primo movimento buono del cuore.
dinanzi a tanto grido di miseria.
Ma la speranza non va da sé. La speranza non va da sola. Per sperare, bambina mia, bisogna esser molto felici, bisogna aver ottenuto, ricevuto una grande grazia.
La piccola speranza avanza fra le due sorelle maggiori e su di lei nessuno volge lo sguardo.
La prima e l’ultima. Che badano alle cose più urgenti. Al tempo presente. All’attimo momentaneo che passa.
E quasi non si vede quella ch’è al centro. La piccola, quella che va ancora a scuola. E che cammina persa fra le gonne delle sorelle.
Ciechi che siano a non veder invece Che è lei al centro a spinger le due sorelle maggiori.
È lei, questa piccola, che spinge avanti ogni cosa.
La Carità non ama se non ciò che è.
E lei, lei ama ciò che sarà.
La Speranza vede quel che non è ancora e che sarà.
Ama quel che non è ancora e che sarà».
La speranza non è l’attesa di un futuro, la speranza è per l’oggi.
La speranza è la certezza che la vita sarà bene per noi, perché va dove Dio la conduce, e allora sei contento, qualsiasi cosa accada, anche faticosa, anche avversa, perché sai che Dio porta sempre a termine le sue promesse.
La speranza è per il presente, infatti nasce dalla fede che cambia la vita.
Cosa cambia la fede della tua vita?
Ma già adesso, pensa, cosa sarebbe la tua vita ora, senza la fede? Sarebbe uguale?
O fonderesti la tua speranza solo sul futuro, sui successi, sulla riuscita, sui soldi…?
Allora vedi che ti cambia, ti dà un senso per il vivere, per il vivere oggi, non hai bisogno di aspettare domani!
La fede non sempre stravolge tutto. Anzi di solito non stravolge nulla, ma cambia il modo di fare le solite cose.
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E per scoprire che cosa è che sostiene la nostra Speranza, riprendiamo a guardare la Cappella degli Scrovegni.
L’ultimo riquadro della Storia Sacra raffigura la Pentecoste.
Il Pittore El Greco, invece, in un celebre dipinto che si trova al museo del Prado di Madrid, raffigura lo Pentecoste così:
Cosa ci indicano queste immagini della Pentecoste?
Nel pannello di Giotto, lo Spirito Santo è rappresentato dai raggi di luce rossa che dall’alto invadono la stanza sopra le teste degli apostoli.
La luce rossa è il simbolo della Carità.
Nel dipinto di El Prado, dove i personaggi sembrano ruotare avvolgendo la figura di Maria, posta al centro, lo Spirito è rappresentato da delle fiammelle, ognuna sulla testa di ciascun Apostolo.
Ci sarebbe da parlare molto della simbologia di queste figure. Ma in questo contesto mi interessa soprattutto soffermarmi sugli effetti dello Spirito.
Innanzitutto Gesù, prima di salire al cielo, ci ha promesso che non ci avrebbe lasciati soli:
E come fa a stare con noi, a non lasciarci soli? Se il centro della vita del cristiano è l’Eucarestia, in cui Cristo è veramente con noi, attraverso la Sua passione e morte e la Sua Resurrezione (“fate questo in memoria di me”), lo Spirito Santo è la potenza di Cristo risorto, che è Spirito di Carità.
È lui la forza che ci muove!
Giovanni qualifica lo Spirito come il ‘Paraclito’, che significa: avvocato, soccorritore, difensore, consolatore. Lo Spirito paraclito è il nostro avvocato. Abbiamo bisogno di un avvocato? Contro chi?
Egli si pone dunque contro il diavolo, che è l’‘accusatore’, il calunniatore: «L’accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusava davanti al nostro Dio giorno e notte» (Ap 12,10).
Lo Spirito è il ‘sì’, come lo è Cristo. A ciò corrisponde il forte accento che San Paolo pone sulla gioia. Lo Spirito – potremmo allora dire – è Spirito della gioia, del vangelo.
Le virtù soprannaturali, donateci da Dio, ci danno la capacità di condurre una vita buona.
Ma la via del cielo è così ripida che le virtù da sole non bastano, e occorre che Dio stesso ci porti e ci sospinga in alto.
Le virtù sono come i remi coi quali noi conduciamo la barca della nostra anima attraverso il mare del tempo.
San Filippo Neri, reinventando e ridando vita al pio esercizio del pellegrinaggio alle sette chiese – che noi facciamo al giovedì santo mentre si venera il trionfo Eucaristico e si ricorda il mistero della passione di Cristo – utilizzava gli antichi settenari dei doni dello Spirito Santo, dei vizi e delle virtù per la catechesi che si svolgeva durante l’itinerario.
Le preghiere preparate espressamente da san Filippo, invocavano il perdono dei sette peccati capitali, chiedendo con la forza dei sette doni dello Spirito Santo, di poter vivere le sette virtù contrarie.
Per ognuna delle sette chiese visitate, uno dei sette doni dello Spirito, che viene in aiuto alle sette virtù soprannaturali, donateci da Dio per combattere i sette Vizi capitali, da cui continuamente siamo attratti, e da cui derivano tutti gli altri vizi.
Ogni tappa sottolinea, da un lato, che il nostro cuore è inclinato al vizio; dall’altro, che noi abbiamo un desiderio di virtù.
Collegando tra loro i Vizi con le virtù, e le Virtù con doni dello Spirito, diventa così più chiaro il significato di ognuno di essi.
I SETTE DONI DELLO SPIRITO SANTO
SAPIENZA
è una luce che si riceve dall’Alto: una speciale partecipazione alla conoscenza che è propria di Dio, per cui l’anima acquista dimestichezza con la carità divina e ne prova gusto. Il vero sapiente non è semplicemente colui che sa le cose di Dio, ma colui che le sperimenta e le vive.
Ci dà la capacità di giudicare anche le cose umane nella luce di Dio e di vedere dentro le realtà del mondo con gli stessi occhi di Dio, apprezzando i valori autentici della creazione.
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INTELLETTO (illumina la fede)
(dal latino «intus legere», leggere dentro, penetrare, comprendere a fondo) è uno speciale dono di intelligenza e quasi di intuizione della verità divina, che apre il nostro cuore alla percezione del disegno di Dio.
È la spinta interiore che ci fa desiderare di conoscere meglio la verità rivelata, superando il chiaroscuro del mistero che sempre accompagna la fede.
Non solo rende più intelligenti delle cose divine, ma rende anche più limpido e penetrante lo sguardo sulle cose umane. Grazie ad essa si vedono meglio i numerosi segni di Dio che sono inscritti nel creato, e si guarda agli altri come fratelli.
CONSIGLIO (perfeziona la virtù della prudenza)
Noi siamo spesso nell’avarizia, e vogliamo sempre possedere le cose, non facciamo nulla senza un tornaconto, nella vita come nella vocazione, siamo indecisi per paura di perdere qualcosa.
Come dinanzi ad un bivio, il dono del Consiglio ci aiuta a decidere per Dio.
È come se la coscienza acquistasse una nuova pupilla, grazie alla quale le è possibile vedere meglio che cosa fare nelle varie circostanze, fossero anche le più intricate e difficili. penetrando nel vero senso dei valori evangelici, in particolare di quelli espressi nel discorso della montagna (cfr. Mt 5-7).
FORTEZZA (forti sulla via del bene)
Il vizio dell’accidia si manifesta nelle disavventure: quando arrivano, non gioco più, mi ritiro dal gioco. Il dono della Fortezza è un impulso soprannaturale, che dà vigore all’anima nei momenti di difficoltà:
– nei momenti più drammatici della vita, come quello del martirio
– nella lotta per rimanere coerenti con i propri principi;
– nella sopportazione di offese e di attacchi ingiusti;
– nella perseveranza, pur fra incomprensioni e ostilità, sulla strada della verità e dell’onestà,
– nelle abituali condizioni di difficoltà e di debolezza, dovute alle infermità fisiche e psichiche.
Aiuta anche l’omonima virtù della fortezza, (la virtù di chi non scende a compromessi nell’adempimento del proprio dovere) a resistere agli impulsi delle passioni e alle pressioni dell’ambiente circostante, che ci deride o ci emargina se non ci adeguiamo agli altri.
Specialmente in una società in cui è diffusa la pratica della violenza, della sopraffazione, dell’aggressività, della durezza nei rapporti economici, sociali e politici, della vigliaccheria di chi è debole e vile con i potenti, spavaldo e prepotente con gli indifesi, il dono della fortezza aiuta a rimanere fermi e decisi sulla via del bene.
Il dono della fortezza ci rende santi quotidiani.
SCIENZA (aiuta a sentirci sempre creature)
Il dono della scienza è la capacità di conoscere e guardare l’altro come Cristo lo guarda.
Nella lussuria noi facciamo dell’altro un oggetto, la proiezione di un nostro desiderio, e quindi lo usiamo.
Nella castità, invece, lo amiamo realmente.
L’amore vero guarda l’altro così come lo guarda Dio.
Cioè ci permette di conoscere il vero valore delle creature nel loro rapporto col Creatore.
L’uomo contemporaneo, in virtù dello sviluppo moderno, è particolarmente esposto alla tentazione di dare una importanza esorbitante alla scienza e alla tecnica, e alle ricchezze, al piacere, al potere, che si possono trarre dalle cose materiali, che diventano come degli idoli.
Il dono della scienza aiuta l’uomo a valutare rettamente le cose nella loro essenziale dipendenza dal Creatore, così da porre in Lui, e non nelle cose create, il fine della propria vita.
PIETÀ (aiuta la preghiera filiale)
Con il dono della Pietà, lo Spirito Santo guarisce il nostro cuore da ogni forma di durezza, facendolo comunicare con la mitezza del Cuore di Gesù Cristo, e lo apre alla tenerezza filiale verso Dio,
ci fa sentire Dio come un padre buono e ci aiuta a pregare con profonda fiducia, per chiedere grazie, aiuto e perdono.
Il dono della pietà, inoltre, aiuta a spegnere l’amarezza, la collera, l’impazienza, che originano divisione, e fa crescere sentimenti di comprensione, di tolleranza, di perdono. La tenerezza verso i fratelli si manifesta nella mitezza. Il cristiano «pio» vede sempre negli altri altrettanti figli dello stesso Padre, e si sente spinto a trattarli con la premura e l’amabilità proprie di un rapporto fraterno.
Il dono della Pietà è, dunque, alla radice di quella nuova comunità umana, che si basa sulla civiltà dell’amore.
TIMOR DI DIO
Chi ha timor di Dio sa che noi non siamo definiti dalle nostre capacità o incapacità, ma dal rapporto con Dio. Così noi non ci disperiamo mai, non pensiamo mai di essere inutili o di essere trovati “scarsi” davanti a Dio, e ripartiamo sempre con il desiderio di non recare a Lui dispiacere, di non offenderlo in nulla, di «rimanere» e di crescere nella CARITÀ.
Da questo dipende tutta la pratica delle virtù cristiane, e specialmente dell’umiltà, della temperanza, della castità, della mortificazione dei sensi.
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Uno in particolare, che raffigura l’incontro di Maria Maddalena con Gesù risorto.
C’entra proprio con quest’ultimo dono dello Spirito, che è il Timor di Dio.
Guarda che bello il dipinto:
…lei, la Maddalena, che vorrebbe afferrarlo, la mano di Lui che le dice “noli me tangere, non mi toccare”, e il suo sguardo…..il suo sguardo è il possesso vero…. guardare Te, o Cristo, è il possesso vero di tutte le cose.
Stringiamo sul particolare:
Don Giussani immagina così il primo incontro: «La Maddalena è là sul marciapiede, curiosa… a guardare la folla dietro quel Gesù che si dice il Messia.
È Gesù, passando di lì un istante, senza neanche fermarsi, la guarda: da allora in poi lei non guarderà più se stessa, non vedrà più se stessa e non vedrà più gli uomini, la gente, casa sua, Gerusalemme, il mondo, la pioggia e il sole, non potrà più guardare tutte queste cose se non dentro lo sguardo di quegli occhi. Quando si guardava allo specchio la sua fisionomia era dominata, determinata da quegli occhi. C’erano quegli occhi dentro lì – mi capite? – il suo volto ne era plasmato».
Continua don Giussani: «Tutta la sua vita – nei particolari e nell’insieme – la Maddalena l’ha guardata dentro quello sguardo cui non è seguita una sola parola se non alcuni giorni dopo, quando lui, che si diceva profeta, era stato invitato a mangiare dai capi dei farisei che lo volevano cogliere in fallo; lei è entrata nella sala da pranzo senza domandare permesso a nessuno, defilata, e gli si è buttata ai piedi, lavandoli col suo pianto e asciugandoli coi suoi capelli, tra lo scandalo di tutti.
Per pensare alla tua vita (di te, di te e di te) per amare il tuo destino, per amare la tua felicità, per amare la tua contentezza. (…)
Per amare veramente una persona occorre un distacco: adora di più la sua donna un uomo che la guarda a un metro di distanza, meravigliato dell’essere che ha davanti, quasi inginocchiato davanti ad essa; o quando la stringe fisicamente a sé?
A chi si sentì più legata, la Maddalena, a Cristo che la guardò un istante mentre le passava davanti, o tutti gli uomini con cui era stata?
Lei ha risposto a questa domanda quando, alcuni giorni dopo, gli lavò i piedi piangendo.
Ragazzi, è così anche per noi.
Possiamo afferrarci quanto vogliamo al male, a un modo non bello di stare insieme, o di guardare le cose, o di pensare al nostro futuro, o di pensare al ragazzo o alla ragazza, ma questo ci renderà tristi.
Il peccato ci rende tristi.
Il possesso ci rende tristi.
La Superbia ci rende tristi.
Solo uno sguardo puro, cioè con negli occhi Dio, Cristo, ci rende lieti.
Chiediamo allo Spirito Santo di elargire su di noi copiosamente i suoi doni, non perché vogliamo essere bigotti, ma perchè vogliamo essere felici, liberi e felici. E Lui sa come aiutarci, e come rendere grande il nostro cuore.
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Disclaimer:
quanto qui riprodotto è il resoconto di alcune lezioni di catechismo da me svolte (parrocchia di San Francesco a Sassari) e la preparazione di altre ancora da svolgere nelle prossime lezioni in preparazione alla Cresima.
Per questo non ha alcuna pretesa di completezza, ed è presentato in maniera discorsiva.
Mentre i commenti sono miei, e nascono dal colloquio con i ragazzi, i testi proposti, dove non sia già dichiarata la fonte, sono:
1) Cappella degli Scrovegni:
“Il Vangelo secondo Giotto” di Roberto Filippetti, ed. Itaca.
2) I Vizi, le virtù e i doni dello Spirito Santo:
– catechesi di padre Maurizio Botta e padre Andrea Lonardo dell’ufficio catechistico della diocesi di Roma, su youtube
– Cinquepassi.org
– Gliscritti.it
– Giovanni Paolo II°, catechesi sui doni dello Spirito Santo, da aprile a giugno 1989, in Vatican.va
3) il significato della Cresima:
– gliscritti.it
– padre Maurizio Botta cit. supra
– J. Ratzinger, “Il Dio di Gesù Cristo. Meditazioni sul Dio Uno e Trino” Queriniana-Brescia).
– Joseph Ratzinger, Der Gott Jesu Christi ll Dio di Gesù Cristo
– Benedetto XVI all’Ippodromo di Randwick – Sidney (Australia) sabato 19 luglio 2008
-Benedetto XVI° visita pastorale alla diocesi di Milano, incontro con i cresimandi allo stadio Meazza, giugno 2012, in vatican.va
4) i testi del servo di Dio Mons. Luigi Giussani, sono tratti dal sito ufficiale di CL (clonline.org)
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Pubblicato inizialmente su Il Blog di Giorgio Canu.
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