Interessante questo articolo di Robert Royal (qui), scritto su The Cattolic Thing, ieri 11 aprile. Esso riflette sulla recente publicazione da parte di papa Francesco della esortazione apostolica Gaudete et Exsultate . 

Eccolo nella mia traduzione.

Foto: Basilica di San Pietro a Roma

Foto: Basilica di San Pietro a Roma

Tra le tante tristi conseguenze delle divisioni che papa Francesco ha esacerbato all’interno della Chiesa, ora siamo costretti a vivere con una realtà innegabile: anche quando dice cose buone – e ce ne sono molte nella sua nuova Esortazione apostolica Gaudete et Exsultate (“Rallegratevi ed esultate: sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo”) (qui)– inevitabilmente si sentono attratti dalla guerra di trincea che ha contribuito a creare.

I suoi sostenitori spesso sostengono che l’opposizione al tipo di cambiamenti che lui ha fatto in un documento come Amoris laetitia deriva da qualcosa come la Francescofobia, un disprezzo irrazionale. E’ vero che alcuni cattolici ora mostrano una sorta di furia cieca a ciò che credono egli stia facendo. Ma per molti altri, come spiega Ross Douthat nel suo libro “To Change the Church”, ciò non deve avvenire in questo modo.

Questo è abbastanza evidente in Gaudete et Exsultate in come evoca molti elementi tradizionali della spiritualità cattolica e li modella per l’uso corrente. Il papa afferma da subito di non aver scritto un trattato completo sulla santità, anche se nel suo modo sincero e a volte contraddittorio, tocca – utilmente – quasi tutto.

L’obiettivo generale è esattamente quello giusto: “Il Signore ci chiede tutto, e in cambio ci offre la vera vita, la felicità per cui siamo stati creati. Vuole che noi siamo santi e che non ci accontentiamo di un’esistenza blanda e mediocre”.

E la maggior parte delle pagine che seguono mostrano i modi in cui tutti noi possiamo  – qualunque sia il nostro stato di vita – percorrere questo sentiero. Papa Francesco avverte anche verso la fine:

“Non ammetteremo l’esistenza del diavolo se ci ostiniamo a guardare la vita solo con criteri empirici e senza una prospettiva soprannaturale. Proprio la convinzione che questo potere maligno è in mezzo a noi, è ciò che ci permette di capire perché a volte il male ha tanta forza distruttiva. (…) Non pensiamo dunque che sia un mito, una rappresentazione, un simbolo, una figura o un’idea.Tale inganno ci porta ad abbassare la guardia, a trascurarci e a rimanere più esposti. (…) E così, mentre riduciamo le difese, lui ne approfitta per distruggere la nostra vita, le nostre famiglie e le nostre comunità”.

Eppure, nonostante tali forti avvertimenti, molti cattolici ora sono diffidenti su dove tali sentimenti papali possano condurre. E ci sono problemi particolari, alcuni derivanti dalla disattenzione di Francesco per la coerenza.

Per esempio: “(26) Non è sano amare il silenzio ed evitare l’incontro con l’altro, desiderare il riposo e respingere l’attività, ricercare la preghiera e sottovalutare il servizio. Tutto può essere accettato e integrato come parte della propria esistenza in questo mondo, ed entra a far parte del cammino di santificazione“.

Abbastanza vero, naturalmente. Ma questo potrebbe anche descrivere un problema che non esiste tanto nel mondo moderno – i cattolici troppo “spirituali” – o riferirsi agli ordini religiosi contemplativi. La Chiesa ammette molte vocazioni, anche di vita contemplativa, che altrove nel documento ricevono lodi.

Io, per esempio, avrei voluto che il Papa avesse posto maggiore enfasi sulla tradizione contemplativa cattolica, che è simile a tutto quello che gli occidentali – specialmente i giovani – cercano nel buddismo o nell’induismo.

Passa invece pagine a denunciare forme contemporanee di eresie gnostiche e pelagiane, che esistono. Ma è piuttosto ovvio che non dobbiamo essere né troppo spirituali né troppo mondani.

Ogni lettore dovrà giudicare da solo. Ma per me, tra le buone intuizioni, il papa sembra essere in lotta con un mondo che forse una volta esisteva, ma ora non molto più. La sua costante pressione, qui e altrove, per allontanare le persone da una conoscenza teologica “astratta” o da una spiritualità eccessivamente individuale, verso un amore altrimenti lodevole per Dio e per il prossimo, si rivolge, appunto, a chi in questi giorni?

Una cosa sarebbe se le università cattoliche, i seminari, le cancellerie, le opere di carità, gli ospedali, le agenzie di soccorso, gli ordini religiosi, i gruppi laicali, ecc. fossero zeppe di persone rigidamente e riduttivamente aggrappate a formule teologiche nude – come spesso sembra suggerire Francesco. La realtà, come riconoscono anche i commentatori laici, è che viviamo nella post-verità, in un mondo profondamente caotico, e in una Chiesa. Cercare principi stabili per non essere spazzati via dallo tsunami del secolarismo e dell’eterodossia non è “rigidità”, ma sanità.

L’ho già detto, ma nelle nostre circostanze, il famoso “ospedale da campo” di Francesco ha bisogno di medici che abbiano studiato medicina reale. Altrimenti, possono avere un buon modo di trattare i pazienti, ma non possono davvero curare nulla.

Ce n’è di più. All’inizio del pontificato, i pro-lifer erano punti dal suo linguaggio duro sui cattolici che “avevano l’ossessione” e “insistevano” sull’aborto. Saranno ancora una volta sconvolti dalla sua stessa insistenza: che questioni sociali come la povertà e l’immigrazione sono questioni di vita “altrettanto sacre” rispetto alla morte violenta nel grembo materno e sul fine della vita.

Questa versione dell’”abito senza cuciture” (*) contraddice ciò che la Chiesa ha insegnato sin da quando l’aborto legalizzato è diventato ordinario. I numeri non raccontano tutta la storia, naturalmente, ma se – diciamo – che gli agenti di frontiera americani uccidessero 3000 persone al giorno che cercano di entrare nel paese (grossomodo il numero di bambini uccisi ogni giorno in America nel grembo materno) il mondo intero sarebbe indignato.

I rifugiati, ad esempio, dovrebbero essere una questione di profonda preoccupazione per i cristiani, ma come affrontarli è una questione di giudizi prudenziali, non un assoluto come il divieto di uccidere la vita innocente.

I popoli del mondo sanno che non si tratta solo di una questione di accoglienza dello straniero. In tutta Europa – dalla Gran Bretagna alla Polonia, dalla Scandinavia all’Ungheria – c’è una reazione populista contro la facile ammissione di immigrati difficili da assimilare, spesso non rifugiati in fuga dalla guerra e dall’oppressione, ma migranti economici in cerca di una vita migliore. (…)

Nonostante tali domande, i cattolici trarranno beneficio dalla lettura di questo testo. C’è molto qui nella tradizione che è bello aver presentato di nuovo. Inoltre, forse la più grande sfida spirituale per i cattolici nel mondo moderno è come praticare un’autentica spiritualità anche in mezzo alla divisione – e di trovare le profonde risorse spirituali che ci possono aiutare a superarla.

 

 

(*) Nota: definizione del cardinale Bernardin di Chicago che stava ad indicare che il cristiano nei suoi sforzi doveva percepire che tutti i problemi della vita sono intrecciati e si dispiegano dal migrante all’aborto senza soluzione di continuità, proprio come se parlassimo di un ‘abito senza cuciture’ (ndr).

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