di Aurelio Porfiri
Una decina di anni fa, ho avuto l’opportunita’ di partecipare ad una conferenza sull’educazione tenuta ad Hong Kong. In questa conferenza presentavo una relazione, un paper, come viene chiamato negli ambienti internazionali. L’oggetto della mia relazione era il lavoro di un professore Australiano, Brian Martin, una “testacalda” dell’ambiente accademico, sempre pronto a mettere in luce quello di cui, per ragione di buon vivere o di opportunita’ di carriera, non conviene parlare. Il soggetto specifico della mia relazione era un suo studio sull’uso di un linguaggio da iniziati negli ambienti accademici, quasi a voler porre dei paletti verbali che non permettono agli “esterni” di accedere in un ambito i cui privilegi sono gelosamente custoditi.
Slavoj Zizek, celebre filosofo molto alla moda, professatosi comunista dopo un passato nella destra anticomunista, persona senz’altro intelligente, in un suo saggio sulla violenza affermava che troppo spesso pensiamo alla violenza solamente nella sua accezione fisica, ma non facciamo caso a quelli che sono con tutta probabilità i prodromi della violenza fisica, la violenza sistemica e quella del linguaggio. La violenza sistemica è in effetti strettamente correlata con quella fisica, in quanto quando un sistema è ingiusto si scatenano in ogni modo energie che sono portate a combatterlo. Ma anche la violenza del linguaggio non è da meno.
Ora, il nostro Brian Martin si scagliava contro l’ingiustizia di un sistema, di cui anche lui è comunque parte (come lo era a quel tempo anche chi scrive), quello accademico, che usa anche il linguaggio, un linguaggio da iniziati, per delimitare le possibilità di accesso ai non iniziati. Tutto questo per dire che quel complesso di abitudini sistemiche definito “clericalismo” non è un fenomeno strettamente ecclesiastico, ma è un fenomeno che precede e accompagna la sua degenerazione in ambito religioso. Kleros è termine Greco, che significa più o meno “avere in sorte”. Nel mondo romano questo termine era usato per definire la divisione di risorse in dote ai generali e sembra che solo nel secondo secolo, grazie a Tertulliano, questo termine venne applicato anche per definire il campo sacerdotale. Quindi, e questo deve essere chiaro, il clericalismo non ha a che fare con il clero come noi lo intendiamo oggi, ma ha a che fare con diversi campi e discipline, ha a che fare con l’abuso di potere conseguente all’occupazione di una carica o all’appartenenza ad un certo ceto sociale, economico o religioso.
C’e’ un bel libro del 2008, scritto da un sacerdote che affronta proprio questo tema del clericalismo (“Clericalism: the death of priesthood”), un libro coraggioso che fa vedere come questo fenomeno, un fenomeno abusivo come detto, soffochi l’autentica vocazione che dovrebbe guidare, pur nelle imperfezioni della nostra natura umana, la missione sacerdotale. Come detto questo può essere detto per altre categorie: medici, avvocati, professori, farmacisti, politici e via dicendo. Pur se questo denota una diffusione del fenomeno preoccupante, non deve far distogliere dalla sua gravità nell’ambito del sacerdozio e della Chiesa. Io credo vada anche fatta chiarezza su un punto importante. Se è pure vero che gli uomini di Chiesa sono uomini come noi e possono sbagliare come tutti noi sbagliamo, ciò non significa che le conseguenze debbano essere diverse per chi ha un abito religioso da quelle che subisce chi non lo ha. E ci sono errori ed errori. Se un sacerdote ha una relazione sentimentale adulta e consenziente, certamente viola le sue promesse sacerdotali e sta alla giustizia ecclesiastica nel regolare questa situazione che dal punto di vista della disciplina della Chiesa è definita come inappropriata. Ma se un sacerdote fa qualcosa di peggio, come purtroppo abbiamo visto in questi anni succedere in tanti paesi del mondo, compreso il nostro, allora questo è un crimine anche civile e va punito conformemente. Ma per un motivo legato al clericalismo, l’abusare di un potere che non deriva dal sacerdozio, che invece dovrebbe essere inteso come un servizio, ecco che i colpevoli invece di venire condannati venivano semplicemente spostati, così da allargare le possibilità di delinquere piuttosto che fermarle.
Mi rendo conto che un Vescovo che si trova in queste condizioni (un sacerdote che compie crimini nefandi) ha veramente davanti a sé un problema enorme, tra l’aiutare i sacerdoti a lui affidati e il proteggere le vittime dei crimini di cui, a volte, gli stessi possono macchiarsi. Purtroppo la mentalità clericalista ha portato a difendere, spesso e volentieri, esclusivamente la parte offendente, ma non quella offesa. Le cronache ne sono state piene per mesi e mesi e, pur potendo accettare che alcune campagne sono state orchestrate ad hoc, non possiamo nasconderci che il fenomeno è esistito ed esiste e si estende anche in altri ambiti ecclesiali, con diverse accezioni e gradazioni. Talvolta si ha l’impressione che i nostri uomini di Chiesa si comportino come gli abitanti di una cittadella assediata. Ma perché questo? E’ un fenomeno che certamente va visto con attenzione ed approfondito.
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