Simboli cristiani e islamici

 

 

di Massimo Lapponi

 

Circa un anno fa è uscito il mio saggio “Per una teologia rinnovata” (Edizioni Sant’Antonio, 2018, Vedi qui). Purtroppo, anche per la mancanza di una pubblicizzazione efficace, esso ha attirato pochissimo l’attenzione. Vorrei, dunque, presentare, in questo articolo, il capitolo del saggio che precede immediatamente la conclusione. Come si vedrà, si tratta di un argomento particolarmente scottante ed attuale.

 

  1. e. Ecumenismo e dialogo interreligioso

 

            «Noi abbiamo una vasta eredità, ma non abbiamo alcun inventario dei nostri tesori».

Questa affermazione di Newman, già richiamata all’inizio di questo lavoro, appare estremamente calzante se l’applichiamo alla situazione attuale della teologia cristiana e cattolica riguardante i rapporti tra le confessioni cristiane e le diverse religioni. Infatti, è specialmente in quell’hegelismo neo-ortodosso di cui abbiamo parlato, e che, purtroppo, nella cultura generalmente diffusa è praticamente assente, che possiamo trovare una parola profonda e chiarificatrice sul dialogo ecumenico e interreligioso.

La filosofia della religione di Hegel, per quanto fondata su una cristologia eretica, ha offerto un fondamento solido e geniale a Vladimir Solov’ëv per sviluppare una riflessione illuminante sulla situazione delle confessioni cristiane e del cristianesimo nel complesso mondo delle religioni. Nella sua speculazione, che al suo tempo non poteva essere convenientemente apprezzata, la religione – che egli considera una realtà unitaria – non si presenta sulla scena del mondo in uno stato di disordine casuale, ma è governata da una legge divina.

Proprio nel momento in cui, per vie provvidenziali, scoprivo l’esistenza dell’hegelismo neo-ortodosso, ebbi l’ispirazione di scrivere un articolo che, certamente con molte approssimazioni, che dovranno essere ulteriormente chiarite, precisate e completate, presenta un quadro suggestivo del cristianesimo nella storia religiosa del mondo.

Lo riporto integralmente, con qualche lieve modifica, anche come ricapitolazione generale al termine di tutto il discorso fin qui svolto.

 

Verranno dall’Oriente e dall’Occidente

Riflessioni sulla festa di Natale[1]

 

Obietta Vincenzo Gioberti ad Hegel che il richiamo dialettico dall’essere al nulla è pienamente giustificato quando si tratta dell’essere contingente – che per sua natura di ente soltanto possibile ha un rapporto ineliminabile con la non esistenza – mentre è assurdo pretendere di applicarlo all’Essere assoluto e necessario, come fa il filosofo di Stoccarda. Sulla base di questa critica rigorosa, Gioberti ha buon gioco di riappropriarsi del pensiero dialettico, riconducendolo alle sue genuine fonti platoniche e patristiche, e in modo speciale alla coincidentia oppositorum di Nicolò Cusano.

Nell’ambito del pensiero trascendente platonico-cristiano la dialettica non è più, come nell’immanentismo hegeliano, la legge assoluta e suprema di tutto l’essere, ma soltanto la legge dell’essere creato: legge provvisoria, pertanto, che mira a ricomporre le opposizioni presenti nel tempo nella pacificazione della divina eternità. Per questo, mentre la filosofia di Hegel è stata denominata un “pantragismo”, in cui domina sovrana la distruzione di ogni realtà, se pure in vista di una realtà superiore, che però a sua volta sarà distrutta, la filosofia della storia cristiana si potrebbe ben denominare – prendendo i termini nel senso dantesco medievale – una vera, sublime “Divina Commedia”, nella quale tutte le opposizioni sono destinate a ricomporsi nella sintesi soprannaturale dell’Essere Divino.

Del resto anche questa sovrumana “Divina Commedia” ha i suoi inferni e i suoi purgatori, e prima che le dilaniate membra della creatura mortale si ricompongano nella luce dei misteri cristiani, le passioni degli uomini hanno tutto l’agio di fare a brandelli e di tirare a sorte per secoli la tunica inconsutile del Verbo creatore e redentore. Ma agli occhi di Dio mille anni sono come il giorno di ieri che è passato.

Ora, sebbene alla nostra vista mortale, almeno finché siamo in questa vita, la sfolgorante luce dell’eternità rimanga avvolta in un’impenetrabile caligine – da qui la docta ignorantia di Nicolò Cusano – ci è però dato percepire, nella «cruenta polvere» della storia del mondo, un riflesso della divina coincidentia oppositorum. La solennità del Natale ci offre l’occasione più propizia per rivolgere il nostro sguardo, timoroso e adorante, ma anche fiducioso e audace, ai più affascinanti misteri della storia.

Proprio Hegel ce ne offre lo spunto. Non so se egli si sia mai soffermato a contemplare la grotta di Betlemme, ma certamente il mistero dell’Incarnazione è al centro di tutto il suo pensiero. Per il filosofo di Stoccarda, la religione è il secondo momento dello svolgimento triadico dello Spirito Assoluto, dopo l’arte e prima della filosofia. A sua volta anche la religione si svolge in tre momenti: nel primo essa confonde il divino con la natura, come nell’Induismo e nel Buddismo, nel secondo divide nettamente Dio dal mondo, come nell’Ebraismo, nel terzo, cioè nel Cristianesimo, grazie al mistero dell’Incarnazione, riconcilia Dio con il mondo. Il Cristianesimo sarà perciò la religione assoluta. Nella concezione eterodossa di Hegel, Dio, facendosi uomo, cessa di essere trascendente e diviene immanente. In questo senso Hegel per primo parla, con un’espressione destinata ad una singolare fortuna, della «morte di Dio», e anche del «Venerdì Santo speculativo», intendendo con ciò, almeno nelle intenzioni, non una dichiarazione di ateismo, bensì una concezione del divino non più trascendente, ma esclusivamente immanente.

Questa sua originale filosofia della religione dopo di lui doveva spaccarsi in due: per alcuni il divino vi era affermato in modo troppo debole e contraddittorio, per gli altri la trascendenza vi era negata soltanto per modo di dire. Sui primi, che da Hegel erano risaliti all’ortodossia cristiana, se pure in modo nuovo, una storiografia filosofica manifestamente troppo partigiana ha steso un velo opaco, a tutt’oggi non rimosso, cosicché i secondi hanno finito per occupare tutta la scena. Sono stati i primi, però, a comprendere che il vero colpo di genio che rendeva Hegel immortale, nonostante le sue insanabili contraddizioni, consisteva nell’aver posto al centro di tutta la storia e di tutto il pensiero il mistero dell’Incarnazione. Gli altri non l’hanno capito, né hanno sufficientemente valutato il ruolo che questo mistero svolge nell’hegelismo. Tuttavia, senza saperlo, pur stravolgendolo, gli hanno reso testimonianza.

Per comprendere tutta l’importanza di questo punto, conviene ripercorrere alcune tappe della storia religiosa del mondo, facendo tesoro della lezione di Hegel.

Che l’Incarnazione costituisse il centro irrinunciabile del Cristianesimo, lo troviamo espresso già nella seconda lettera di S. Giovanni, in cui l’apostolo scrive:

«Molti sono i seduttori che sono apparsi nel mondo, i quali non riconoscono Gesù venuto nella carne. Ecco il seduttore e l’anticristo!» (2Gv 7).

Sennonché proprio questo mistero doveva scontrarsi con la più fiera opposizione.

Già dietro le parole di S. Giovanni si intravede la prima eresia cristologica, il Docetismo, secondo il quale il corpo umano di Cristo era soltanto apparente. In seguito la storia dell’Oriente cristiano non è che un susseguirsi di eresie che tendono a negare o a sminuire il mistero dell’Incarnazione: l’Arianesimo negava la divinità di Cristo, il Nestorianesimo l’unità reale tra il Figlio eterno di Dio e l’uomo Gesù Cristo, il Monofisismo la distinzione nell’unità delle due nature nell’Uomo-Dio, il Monoteletismo la volontà umana di Cristo, l’Iconoclastia la liceità di rappresentare con immagini i misteri divini. Tutte queste eresie, che travagliarono la Chiesa con il ripetuto appoggio degli imperatori bizantini, secondo autorevoli storici del Cristianesimo antico, sono la replicata manifestazione dell’indisponibilità dello spirito religioso orientale ad accettare realmente il mistero dell’Incarnazione di Dio, adorato come assolutamente trascendente, ineffabile e incomunicabile.

Ma l’ultima eresia sopra elencata era stata preceduta, e anche condizionata, da un’altra grandiosa “eresia”, destinata ad un ruolo di incalcolabile importanza nella storia del mondo: l’Islam. Nella sua strenua e bellicosa affermazione dell’assoluta unità e trascendenza di Dio, possiamo vedere veramente la più aperta e decisa ribellione dell’Oriente contro la dottrina, e la realtà, dell’Incarnazione.

Anche la Chiesa cristiana d’Oriente, staccatasi dalla Chiesa occidentale, pur mantenendo il dogma dell’Incarnazione, doveva privilegiare l’aspetto mistico della religione, conservando, anche a beneficio delle generazioni a venire, il tesoro di un’alta spiritualità. In Occidente il Cristianesimo, più attivo e più a contatto con la vita del mondo, doveva influire in misura molto più vasta sullo sviluppo della società civile, improntando di sé cultura, arte, legislazione, scuola, e giungendo a far sentire – grazie anche al protestantesimo e alle trasformazioni a cui esso era fatalmente soggetto – il suo influsso negli stessi movimenti di rinnovamento sociale, quali l’affermazione dello stato di diritto, la diffusione del liberalismo, della democrazia e del socialismo. In tal modo veniva reso visibilmente operante il dogma dell’Incarnazione del divino nel mondo, e la testimonianza di Hegel ne costituisce, oltre che la formulazione teorica “post factum”, un’autorevole conferma.

Ma cosa avviene con l’hegelismo di sinistra? La dottrina di Feuerbach, di cui non si potrebbe esagerare l’importanza, data la sua influenza su tutto l’ateismo contemporaneo, lo esprime in modo fin troppo esplicito: ciò a cui si mira, senza averne piena coscienza, è di radicalizzare l’Incarnazione di Dio, eliminando ogni residuo di trascendenza, ancora presente in Hegel, ma non tuttavia la divinizzazione dell’uomo. Dunque il Mistero dell’Incarnazione senza Dio. Un concetto contraddittorio, ma che doveva perpetuarsi nel vano tentativo, attraverso varie trasformazioni, di eliminare la contraddizione. Così Marx sposta la riappropriazione da parte dell’uomo dei caratteri alienati in Dio dall’operazione teoretica del pensiero alla trasformazione del mondo, in vista della messianica società “totalmente altra” del comunismo. Dopo di lui il mito del mondo nuovo viene “secolarizzato”, affidando non alla dialettica della storia – un concetto ancora troppo metafisico e a suo modo religioso – ma allo sviluppo della scienza applicata alla tecnica la sua realizzazione.

Sembrerebbe, a questo punto, che ogni motivo “mistico” sia stato eliminato e che perciò non si possa più parlare di Incarnazione. E tuttavia lo spirito di Feuerbach e di Nietzsche, se pure adulterato, continua a scorrere nelle vene della moderna città secolare: il sogno di una scienza onnipotente, le svariate forme di estasi materialistiche – di cui la pillola Ecstasy è l’eloquente simbolo – non sono manifestazioni di misticismo e di aspirazione ad una perversa divinizzazione dell’uomo? Divinizzazione materialistica, tuttavia, in cui è la carne che vuole sottomettere a sé lo spirito.

Chissà che nell’inconscio collettivo dell’Oriente non vi fosse l’orrore per il funesto presentimento di ciò che l’Incarnazione sarebbe divenuta nelle mani dell’uomo! Eppure anche nell’Islam, come in tutta la storia religiosa dell’umanità, è presente, in modo ineliminabile, l’aspirazione all’incarnazione di Dio. Lo testimoniano le manifestazioni dell’arte, del rito, dell’osservanza, le pietre cadute dal cielo, i pellegrinaggi, le stesse Urì del paradiso islamico. E come altrimenti spiegare la problematica e sofferta, ma reale, attrattiva dei popoli islamici verso le forme sociali, le realizzazioni della cultura, dell’arte, della scienza, dell’umanitarismo dell’Occidente? D’altra parte non sono pochi gli occidentali che, stufi di una mistica materialistica, vanno a cercare un’esperienza religiosa puramente spirituale in Oriente.

Così, nell’attuale rimescolamento di popoli, vediamo incontrarsi e scontrarsi i rampolli dell’antica eresia dello spirito e della moderna eresia della carne, nelle quali si è infranto il mistero dell’Incarnazione.

Ma se si è infranto, è forse perché le energie dello spirito e della carne potessero, se pure tra infinite tragedie, manifestare più compiutamente se stesse, per ritrovarsi, attraverso una più alta dialettica degli opposti, in una sintesi suprema, ai piedi di quella culla che è celebrata, bene o male, in tutto il mondo, quale augustissima sede della vera e intramontabile conciliazione tra lo spirito e la carne nella Persona divina e umana del Bambino Gesù.

 

[1] Pubblicato su “Il Legno Storto”, rivista online non più esistente, il 22 dicembre 2009, e successivamente nel volume La luce splende nelle tenebre, pp. 317-320.

 

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