Roma (kath.net/as/wb) Oggi (ieri, ndr) il Cardinale Walter Brandmüller critica espressamente il documento di lavoro (“Instrumentum Laboris”) pubblicato il 17 giugno 2019 per il Sinodo Panamazzonico che si terrà nell’ottobre 2019. Il Cardinale ha scritto questo documento per il sito web americano-canadese LifeSiteNews e per il quotidiano online cattolico kath.net.
Ma, soprattutto, lo storico della Chiesa si occupa in quattro sezioni di quattro problemi fondamentali del testo, uno dei quali comporta, a suo modo di vedere, il pericolo della “decadenza dalla fede”. Per quanto riguarda l’affermazione che gli indigeni del Brasile siano una fonte speciale della Rivelazione, egli afferma: “Se poi è messo in discussione ovvero frainteso addirittura il fatto della Rivelazione divina, bisogna parlare di apostasia”
L’articolo del card. Walter Brandmüller pubblicato su Kath.net è stato tradotto da Alessandra Carboni Riehn.
Una critica dell'”Instrumentum Laboris” per il Sinodo sull’Amazzonia
Introduzione
Può certo suscitare meraviglia Il fatto che, a differenza di precedenti assemblee, questa volta il Sinodo dei Vescovi si debba occupare esclusivamente dei problemi di un’area della terra la cui popolazione è solo la metà di quella di Città del Messico, cioè circa 4 milioni. Così pure vi è motivo di nutrire sospetti riguardo alle vere intenzioni che in tal modo si intende perseguire clandestinamente. Ma in particolare ci si dovrà chiedere quale idea di religione, di Cristianesimo e di Chiesa sia alla base del testo dell’”Instrumentum laboris” appena pubblicato. A questa analisi s’intende procedere in base a singoli elementi del testo.
Perché un Sinodo su questa regione?
In linea di principio ci si deve domandare perché un sinodo dei vescovi dovrebbe trattare temi che –come si articolano per tre quarti dell’Instrumentum laboris – hanno a che fare tutt’al più marginalmente con il Vangelo e la Chiesa. Evidentemente si sta verificando qui, da parte del Sinodo dei Vescovi, un’ingerenza invadente in affari puramente laici dello Stato e della società del Brasile e degli altri Stati menzionati nel documento (Bolivia, Perù, Ecuador, Colombia, Venezuela, Guyana, Suriname e Guyana francese). Che cosa hanno a che fare – ci si domanda – l’ecologia, l’economia e la politica con la missione della Chiesa? E soprattutto: quale competenza specialistica legittima un sinodo ecclesiale dei vescovi a esprimersi su tali argomenti?
Se il sinodo dei vescovi lo facesse davvero, si tratterebbe effettivamente di uno sconfinamento e di una dimostrazione di arroganza clericale che l’autorità statale dovrebbe respingere con decisione.
Sulle religioni naturali e l’inculturazione
A questo si aggiunge un ulteriore momento che permea l'”Instrumentum laboris” nel suo complesso: la valutazione estremamente positiva delle religioni naturali, ivi comprese le pratiche indigene di guarigione ecc., e addirittura anche di pratiche e forme di culto mitico-religiose. In relazione all’esigenza di armonia con la natura, per esempio, si parla anche di dialogo con gli spiriti (n. 75).
Non è solo l’ideale illuministico e rousseauiano del “buon selvaggio” che viene opposto all’uomo europeo decadente. Questo filo di pensiero continua finché, all’inizio del XX secolo, sfocia in un’idolatria panteistica della natura. Hermann Claudius (1913) scrisse l’inno del movimento operaio socialista “Wenn wir schreiten Seit an Seit’…” [Quando marciamo fianco a fianco…], in cui una delle strofe recita: “Verde delle betulle e verde dei semi, come in un gesto orante, la vecchia madre Terra tende le mani piene all’uomo, perché diventi suo…”.
Va detto che questo testo fu adottato nel repertorio dei canti della Gioventù Hitleriana, presumibilmente perché corrispondeva al mito nazionalsocialista di “sangue e terra”. Questa vicinanza ideologica è degna di nota. Vi si esprime il medesimo rifiuto anti-razionale della cultura “occidentale”, accentuante invece l’importanza della ragione, che è caratteristico dell'”Instrumentum laboris”, dove al n. 44 si parla di “Madre Terra”, e poi anche del “grido della terra e dei popoli” (n. 101).
Coerentemente anche il territorio – quindi le foreste dell’Amazzonia – diventa addirittura un “locus theologicus”, una fonte speciale della Rivelazione Divina. Qui ci sono luoghi dell’epifania, dove si rivelano le riserve di vita e saggezza del pianeta, le quali parlano di Dio (n. 19). Come già detto, tale rifiuto anti-razionale della cultura “occidentale”, accentuante invece l’importanza della ragione, è caratteristico dell'”Instrumentum laboris”. Ad esso si associa una ricaduta dal Logos al mito – e questa ricaduta viene invece elevata a criterio di ciò che l'”Instrumentum laboris” intende per inculturazione della Chiesa. Il risultato è una religione naturale mascherata da Cristianesimo.
Qui il concetto di inculturazione è addirittura pervertito, poiché in realtà esprime esattamente l’opposto di ciò che stabilisce il documento della Commissione Teologica Internazionale del 1988 e che già aveva insegnato il decreto missionario “Ad gentes” del Concilio Vaticano II.
Sull’abolizione del celibato e sull’introduzione di un sacerdozio femminile
Non poteva rimanere nascosto che il “Sinodo” doveva servire soprattutto a realizzare due “desideri del cuore” coltivati da decenni e finora mai esauditi: l’abolizione del celibato e l’introduzione del sacerdozio femminile, per cui si intende cominciare con la consacrazione delle diaconesse. In ogni caso, si tratta di “accettare il ruolo, la leadership delle donne all’interno della Chiesa” (n. 129a3). Similmente si aprono “ulteriori spazi per la creazione di nuovi ministeri, così come li richiede questo momento storico. È tempo di ascoltare la voce dell’Amazzonia…” (n. 43).
Contemporaneamente, si tace il fatto che da ultimo anche Giovanni Paolo II ha constatato con la massima autorità magisteriale che non è in potere della Chiesa conferire il sacramento dell’Ordine sacro alle donne. Infatti, in duemila anni la Chiesa non ha mai conferito a una donna il sacramento dell’Ordine sacro. La richiesta, opponendosi a tale constatazione, permette di riconoscere il concetto puramente sociologico di “Chiesa” degli autori dell'”Instrumentum laboris”, che in tal modo ne negano implicitamente il carattere sacramentale-gerarchico.
Sulla negazione del carattere sacramentale-gerarchico della Chiesa
In modo simile, quasi casuale, nel n. 127 si attacca direttamente la costituzione gerarchico-sacramentale della Chiesa, quando si chiede se non sia opportuno “riconsiderare se l’esercizio della giurisdizione in tutti gli ambiti (sacramento, giustizia, amministrazione) debba essere per sempre legato al sacramento dell’Ordine sacro”. Da una tale errata visione deriva quindi (al n. 129) la richiesta di creare nuovi uffici che corrispondano alle necessità dei popoli amazzonici.
Il campo in cui deve esprimersi in modo particolarmente spettacolare l’ideologia dell’indigenismo di una malintesa inculturazione, tuttavia, è la liturgia, il culto. Qui l’intenzione è di assumere senz’altro forme delle religioni naturali. Non spetta all'”Instrumentum laboris” esigere che “il popolo dei poveri e dei semplici possa esprimere la sua (!) fede attraverso immagini, simboli, tradizioni, riti e altri sacramenti” (!!) (126e). Ciò non corrisponde in alcun modo a quanto previsto dalla Costituzione “Sacrosanctum Concilium” e dal decreto missionario “Ad gentes”, e dimostra una comprensione puramente orizzontale della liturgia.
Conclusione
Summa summarum: l’Instrumentum laboris richiede al Sinodo dei Vescovi e infine al Papa una grave rottura con il “depositum fidei”, il che di conseguenza significa l’autodistruzione della Chiesa o la sua trasformazione da “Corpus Christi mysticum” in una ONG secolare con missione eco-socio-psicologica.
Dopo queste osservazioni sorgono naturalmente domande: si ha intenzione, soprattutto in relazione alla struttura sacramentale-gerarchica della Chiesa, di rompere decisamente con la tradizione apostolica costitutiva per la Chiesta stessa, oppure gli autori partono più dal presupposto di un concetto di sviluppo dogmatico che vada a giustificare teologicamente le rotture menzionate?
In effetti sembra che sia proprio questo il caso. Stiamo vivendo una nuova edizione del modernismo classico dell’inizio del XX secolo. Da un approccio decisamente evoluzionista, all’epoca, si ritenne che nell’ambito del costante progresso dell’uomo verso stadi evolutivi superiori si sarebbero verificati anche sviluppi verso un più alto livello di coscienza o di cultura, da cui sarebbe potuto risultare che oggi fosse vero ciò che ancora ieri era sbagliato. A tale dinamica evolutiva sarebbe stata soggetta, naturalmente, anche la religione ovvero la coscienza religiosa con tutte le sue forme in dottrina e culto – naturalmente anche nella morale.
Questo, tuttavia, presupporrebbe un concetto di sviluppo dogmatico che è nettamente contrario alla genuina comprensione cattolica. Quest’ultima intende piuttosto lo sviluppo del dogma e della Chiesa non come mutamento, bensì come sviluppo organico del soggetto che rimane identico a se stesso. Così insegnano i due Concili Vaticani nelle Costituzioni “Dei filius”, “Lumen gentium” e “Dei verbum”.
Va detto con forza che l'”Instrumentum laboris” contraddice in punti decisivi la dottrina vincolante della Chiesa e deve quindi essere qualificato come eretico. Se poi è messo in discussione ovvero frainteso addirittura il fatto della Rivelazione divina, bisogna parlare di apostasia.
Ciò è tanto più giustificato in quanto bisogna constatare che l'”Instrumentum laboris” parte da un concetto puramente immanentistico di religione e la considera come il risultato e la forma espressiva della personale esperienza spirituale dell’uomo. L’uso di parole e concetti cristiani non deve ingannare sul fatto che essi, senza considerarne il loro contenuto originale, sono usati come puri involucri di parole.
L'”Instrumentum laboris” per il Sinodo sull’Amazzonia rappresenta un attacco ai fondamenti della fede come finora non lo si sarebbe ritenuto possibile, e deve quindi essere respinto con la massima fermezza.
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