di Mattia Spanò
L’occasione che fa l’uomo ladro: la guerra russo-ucraina ha visto lo sbarco in Normandia della cultura della rimozione americana (cancel culture), su un terreno già ampiamente dissodato da qualche decennio di politicamente corretto.
Siamo alla stretta finale. Pensavamo di essercela cavata con la pubblica gogna di Guido Barilla, colpevole di aver dato un’immagine “tradizionale” della famiglia italiana. O di Dolce e Gabbana (non il marchio: i proprietari) omosessuali rei di pensare che i bambini debbano avere un papà e una mamma, e l’utero in affitto non sia la cosa più bella. O della Rowling, l’autrice di Harry Potter, che ha sommessamente ricordato che le donne esistono ed hanno un utero, mentre un uomo con seno e capelli lunghi no.
Difficile – ed inutile – elencare tutti i precedenti, mentre nel mondo anglosassone e scandinavo fioccano dimissioni e processi per odio. Una marea che non manca di travolgere illustri professori universitari, ministri, persone comuni.
Si escludono querce russe da concorsi di alberi, si sopprime il dissenso di professori come Orsini, si sbeffeggiano personalità come Franco Cardini, si chiede a gran voce il ritiro di premi ad inviati di guerra come Toni Capuozzo, che esprime dubbi sul massacro di Bucha. Il preludio all’abbattimento delle statue, la rimozione delle targhe, il seppellimento della memoria.
Quanto manca all’abbattimento dello Yad Vashem, il museo-santuario ebraico dell’Olocausto? Impossibile, direte voi. Sicuri? Il grande storico del fascismo e del nazismo, Ernst Nolte, fu accusato di revisionismo. Stessa sorte toccò a Michel Houllebecq accusato di razzismo (nel 2002, non era stato ancora formulato il reato di islamofobia).
La morsa costituita dalla distruzione economica spiattellata tanto da Mario Monti – con la formula “distruzione della domanda interna” – quanto dall’altro Mario detto “il Migliore” che si accanisce contro le “imprese zombi” procede di pari passo con la distruzione della scuola con l’alibi della pandemia, e con quella della cultura, chiusa nella morsa tra censura e crisi innescata da lockdown e green pass. Uomini affamati e senza passato sono disposti ad abbracciare qualunque “nostro valore”, perfino a suicidarsi per il bene supremo della salvezza del pianeta.
Non voglio indulgere su implicazioni già ampiamente trattate da figure ben più autorevoli del sottoscritto. Mi limito a considerazioni basiche abbastanza ovvie, e come tali in forte odore di estinzione.
Innanzitutto, l’alternativa alla civiltà o è un’altra civiltà, che nasce nel tempo in opposizione, per gemmazione o evoluzione della prima, oppure è barbarie. Un conto è criticare e superare, un altro è distruggere.
L’uomo in massima parte non uccide, non depreda, non distrugge e non stupra per motivi essenzialmente culturali, in senso positivo. Spiace per le anime belle innatiste – cioè i poverini che pensano e credono al mito del buon selvaggio descritto da Rousseau, cioè alla natura intrinsecamente buona del sapiens sapiens – ma queste raffinatezze non accadono per ragioni esclusivamente culturali.
Non si può gridare allo scandalo per la distruzione dei Buddha di Bamiyan o la decapitazione del direttore del sito archeologico di Palmira, e giustificare i nazisti del battaglione Azov che leggono Kant accostandoli a Perlasca e Schindler come fa l’insigne Gramellini, o la soppressione di corsi universitari su Dostoevskij. Per la contradizion che nol consente.
Perfino i greci, che chiamavano i persiani oi barbaroi, ne riconoscevano la grandezza nel combatterli. Runciman, il maggior studioso inglese delle Crociate non certo tenero coi crociati, non manca di annotare i riguardi coi quali veniva concesso ai maomettani prigionieri di pregare.
Il Saldino per parte sua – forse il leader musulmano più sapiente e illuminato di sempre – dopo la conquista di Gerusalemme concesse ai pellegrini cristiani di visitare i luoghi santi. Si dice che rifiutò di entrare nella Basilica del Santo Sepolcro “altrimenti i miei uomini un giorno ne rivendicheranno il possesso”.
Vlad Tepes, noto come Draculia, l’impalatore, crebbe alla corte del sultano turco. Rifiutò di convertirsi, a differenza del fratello, e fu mandato a governare la provincia che fu di suo padre, la Valacchia. La ribellione scattò quando ricevette gli emissari del sultano che dovevano incassare i tributi.
Ingiungendo agli ambasciatori attovagliati per la cena di togliersi il turbante, al rifiuto dei medesimi perché faceva parte della loro cultura, trovò giusto di fissargli il turbante al cranio tramite chiodi da maniscalco. Sebbene ortodosso, fu l’unico a rispondere all’appello di papa Pio II Piccolomini, il quale poi lo bollò di “furibonde scelleratezze”, non senza però accostarvi lo status di brillante umanista e uomo d’intelletto raffinato.
Si potrebbero fare innumerevoli esempi, mi limito a questi. Non stiamo parlando di cortesie fra gentiluomini. Parliamo di capi leggendari che hanno impilato cadaveri fino alle nuvole e forse oltre. Acerrimi avversari capaci di efferatezze inenarrabili, eppure con una consapevolezza chiara del valore del nemico.
L’intolleranza radicale, assoluta che sta prendendo piede è qualcosa che oltrepassa la barbarie. I fiocchi di neve assiepati nelle safe-room nelle università americane ad accarezzare orsacchiotti per riprendersi dai microtraumi, i nerd che lavorano nelle start-up digitali intenti a svagarsi sulle amache masticando caramelle sono gli alfieri della cancel culture: cultori di una violenza figlia della fragilità interiore e perciò culla di una ferocia senza pari – la ferocia del debole – che non è più soltanto sopraffazione per motivi politici, di predominio economico o religioso, ma distruzione di ciò che c’è.
L’annichilimento del “nemico culturale”, la sua degradazione a Untermensch, la rimozione di tutti i segni di ciò che piaccia o meno è accaduto, la guerra furibonda contro ciò che contraddice, l’assolutismo antropologico che divide l’umanità in buoni e cattivi facendo valere ora caratteri oggettivi – neri, musulmani, omosessuali – ora soggettivi o morali – i no-vax, i filo-russi, la mascolinità tossica – rivelano in filigrana un acutissimo rifiuto dell’uomo (una nausea in senso sartriano, si direbbe) verso se stesso.
L’aspetto stupefacente è casomai l’adesione popolare, si direbbe convinta o almeno prona, a questo stato delle cose. L’inerzia stupefatta di chi non si spiega come possa accadere, e in fondo non ha nulla da opporre a questi figli ammalati di disperazione e brama di mondare il mondo. L’incapacità, o il rifiuto, di ammettere che qualcosa non va.
Le persone si sono rassegnate, o plaudono estatiche a questi progressi distruttivi del pensiero e della materia, nel rifiuto radicale di ciò che separa l’uomo dalla scolopendra o da un ferro da stiro. Perché? Perché non c’è più un Dio custode dell’eternità, e niente di degno da lasciare a chi viene dopo – di cui l’adagio “che mondo lasciamo ai nostri figli” è il controcanto sardonico.
Per la prima volta nella storia si ama odiare, si muore in vita, si costruisce la distruzione. Non durerà, ma lascerà macerie orribili a vedersi.
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“Per la prima volta nella storia si ama odiare, si muore in vita, si costruisce la distruzione. Non durerà, ma lascerà macerie orribili a vedersi.”
ho capito cosa non condivido mai di quello che scrivete: il tono profetico e le profezie che, come accade sempre, non si avverano;
la storia, come ci ricordi, è storia anche di guerre e, ti rammento io, la limpieza de sangre non è il prodotto di estenuati figli della modernità che ha in odio se stessa bensì di maschie e virili weltanscauungen di gente con saldi principe e fede profonda;
l’hostis publicus non l’hanno inventato i giacobini ma la repubblica romana, il sillabo non è un’idea dei liberali ma di un papa e last but not least l’adesione popolare a opinioni e credenze errate era nota a Mosè e a Gesù; i profeti vengono spesso giustiziati pubblicamente con gran concorso di pubblico: nihil novi sub sole e, prendendo sul serio la vostra apocalisse, le cose son state stabilite in questo modo molto tempo fa da un’autorità superiore perchè sta scritto che il Figlio non troverà la fede alla fine dei tempi….
mi sembrate insomma usare toni apocalittici senza credere alla vostra apocalisse
e dunque ve, e te, ne propongo un paio di due laicisti veri, Giacomo e Philip, che profetizzavano- uno 200 anni fa il secondo 20 anni or sono – quel che tanto vi e ti disturba oggi:
«Καὶ ἠγάπησαν οἱ ἄνθρωποι / µᾶλλον τὸ σκότος ἢ τὸ φῶς»
«E gli uomini vollero / piuttosto le tenebre che la luce»
(Gv, III, 19)
«Noi lasciamo una macchia, lasciamo una traccia, lasciamo la nostra impronta. Impurità, crudeltà, abuso, errore, escremento, seme: non c’è altro mezzo per essere qui. Nulla a che fare con la grazia o la salvezza o la redenzione. È in ognuno di noi. Insita. Inerente. Qualificante. La macchia che esiste prima del suo segno. Che esiste senza il segno. La macchia così intrinseca che non richiede un segno. La macchia che precede la disobbedienza, che comprende la disobbedienza e frusta ogni spiegazione e ogni comprensione. Ecco perché ogni purificazione è uno scherzo. Uno scherzo crudele, se è per questo. La fantasia della purezza è terrificante. È folle. Cos’è questa brama di purificazione, se non l’aggiunta di nuove impurità?»
(La macchia umana)
Riguardo alla fede sulla terra, Gesù fa una domanda (terribile), non un affermazione. Sul resto: sono le tue legittime opinioni – che valgono le mie. Ma per un cristiano non è vero che non c’è nulla di nuovo sotto il sole: Dio si è fatto uomo, è morto ed è risorto. Per un cristiano tutto dalla venuta di Cristo è Apocalisse. Per chi cristiano non è, sono favole. Come tutto il resto, e quindi not in my name. Posso dirlo? Sì.