Meeting di Rimini 2022-08-24 generale Francesco Paolo Figliuolo, Guido Bertolaso, Gianni Rezza e Giancarlo Cesana
Meeting di Rimini 2022-08-24 generale Francesco Paolo Figliuolo, Guido Bertolaso, Gianni Rezza e Giancarlo Cesana

 

 

di Mattia Spanò

 

Ho letto con sorpresa un articolo di Giancarlo Cesana, ex leader laico di Cl, pubblicato su Tempi e ripreso dal sito ufficiale del movimento fondato da don Giussani.

Cesana, medico colto dotato di carisma personale, riprende la risposta che don Giussani diede ad una studentessa nel 1994, che sintetizzo così:

“Mai la schiavitù è stata così vasta, imperante, profonda come adesso. […] Qual è l’unica risposta all’omologazione? Fare la rivoluzione. […] Un popolo costruisce; gente omologata – anche se cento, mille volte superiore di numero – non crea niente: ripete, anzi, ripete scadendo. [Il cristiano] afferma che la vita è responsabilità, è libertà, che la vita dell’uomo dovrà render conto di questa libertà e di questa responsabilità. L’inferno è il concetto più importante nella concezione cristiana dell’uomo. Perché? Perché senza l’inferno non ci sarebbe libertà”.

Un giudizio netto pronunciato trent’anni fa, che fa a pugni con quanto sostenuto dallo stesso Cesana – e non solo lui, dentro e fuori Cl – durante la pandemia.

Cesana dov’era negli ultimi tre anni, quando gente che non si omologava è stata murata in casa e inoculata con una pozione sperimentale tanto inutile quanto dannosa, i diritti fondamentali di milioni (milioni) di italiani – e non solo – sono diventati carta straccia?

Dov’era quando milioni (milioni) di suoi concittadini e correligionari sono stati espulsi dalla società, ridotti in miseria e umiliati da un diluvio di provvedimenti uno più idiota dell’altro? Solo un cretino a 24 carati dopo un anno e mezzo di mascherine, lockdown e gel alcolico (chiudiamo due settimane per riabbracciarci a Natale) non si fa venire il dubbio che tutto ciò non serva a niente. Ma Cesana queste cose le ha capite da un pezzo, perché non è cretino.

Davvero uno psichiatra cattolico che ha ricoperto importanti ruoli amministrativi, cioè conosce la natura del potere, non si è fatto venire qualche dubbio di fronte alla violenza montante contro i cosiddetti no-vax? Se una cosa è vera e funziona, non ho bisogno di manganello e olio di ricino per farla accettare.

Cesana non ha colto nessuna stonatura nel diluvio di menzogne, sciocchezze e iniquità messe in campo dai governi Conte e Draghi?

Da medico, non ha letto nemmeno una delle ricerche che esprimevano dati contrari alla narrazione dominante, o per lo meno invitavano a smussare gli entusiasmi ed esercitare l’antica virtù della prudenza?

Nell’ottobre 2021, a dieci mesi dall’inizio della campagna vaccinale, Cesana liquidò una lunga lettera, profonda e argomentata, dei suoi colleghi Porretta, Vignoli e Pacini dell’Associazione CoScienze Critiche, che esponeva dubbi sui cosiddetti vaccini con due righe all’Imodium:

“Tutto l’articolo pubblicato su Tempi [articolo dello stesso Cesana, ndr] risponde già alle obiezioni della lettera, assai prevedibili nella loro provenienza da ambienti no vax”.

Prevedibile provenienza. Al di là di convinzioni personali incenerite dai fatti – capita a tutti, ci mancherebbe – una risposta a suo modo imprevedibile a queste domande Cesana l’ha data.

Nell’agosto 2022 al Meeting di Rimini partecipò all’incontro con il Gen. Figliuolo, Bertolaso e Rezza, una specie di Festival della Vaccinazione Italiana in cui si celebrava il successo della campagna vaccinale. Successo non tanto dal punto di vista dei risultati profilattici, devo presumere, quanto per il numero spaventoso di persone effettivamente traforate come merletti.

In quell’occasione espresse concetti notevoli che meritano di essere riportati. Richiesto di commentare il legame fra libertà e responsabilità, Cesana fece un’illuminante digressione storica. Illuminante per un prevedibile no-vax come me, almeno.

“All’inizio [della storia della medicina, ndr] il sistema era molto semplice: gli ammalati venivano allontanati. Avete presente quello che dice il Vangelo dei lebbrosi, che venivano mandati fuori dalla città. Qualcosa del genere sta succedendo anche adesso, ma questo è un altro discorso”.

Quale sarebbe “l’altro discorso” è lo stesso Cesana a spiegarlo pochi attimi dopo:

“Gli ospedali sono nati col cristianesimo, nel IV-V secolo dopo Cristo, per la speranza della resurrezione. La morte non è più l’ultima parola sulla vita, e quindi si potevano curare gli ammalati anche col rischio di morire. Però era appunto un’assistenza ai malati terminali, ai moribondi. Le amministrazioni pubbliche si sono progressivamente attrezzate […] e con provvedimenti di carattere politico-amministrativo cercavano di rimediare all’ignoranza dei medici”.

Al netto della propaganda, non mi pare che i secoli trascorsi abbiano portato retto consiglio: trovo divertente che i politici pongano rimedio all’ignoranza di chicchessia, ma questo può essere un problema mio. Cesana prosegue centrando il punto:

“I sistemi sono quelli che abbiamo visto all’inizio del Covid: l’isolamento, la quarantena, […] la proibizione delle manifestazioni pubbliche, anche di quelle religiose. […] All’inizio dell’800 Joseph [Johann, ndr] Peter Frank, un medico di Gottinga che era il direttore sanitario del lombardo-veneto sotto l’impero austriaco, inventò la polizia medica, che aveva come compito di perseguire quelli che violavano le norme sanitarie. […] Il sistema legislativo ha cominciato a proteggere la società anche attraverso interventi di carattere punitivo”.

Quello che Cesana chiama “sistema legislativo” di Frank fu, sul piano storico, parte della repressione dell’invasore nei confronti del sottomesso, ma il relatore non ritiene la cosa degna di menzione, come non commenta l’ovvietà che i sistemi adottati per contrastare il Covid siano per lo meno ottocenteschi.

“Si è cominciato a pensare che la sanità poteva essere uno strumento per realizzare il benessere delle persone. Tant’è che Guido Baccelli […] disse che la forza dei popoli è la sanità”.

Il problema, conclude Cesana, dell’affermare che la libertà è fare ciò che si vuole, è se si vuole qualcosa di sbagliato. E con quest’unica frase in tutto il suo primo intervento, anche questa liofilizzata, ritiene di aver esaurito il tema della libertà e della responsabilità.

Il problema è che la libertà è tale – soprattutto è mia – anche quando vuole qualcosa di sbagliato, altrimenti non si capisce più l’idea giussaniana dell’inferno come concetto cardine del cristianesimo.

Una società che miri a risolvere “problemi” come la libertà delle persone – o il male stesso, fisico e morale – è una società intrinsecamente totalitaria. Ma questo Cesana lo sa meglio di me. Quanto al benessere dei popoli di cui il potere avrebbe tanta cura, mi sembra opportuno riportare un giudizio di Céline in Viaggio al termine della notte:

“Quando i grandi di questo mondo si mettono ad amarvi, è che vogliono ridurvi in salsicce da battaglia… È il segnale… È infallibile. È con l’amore che comincia.”

Per dovere di cronaca, concludendo il suo intervento e l’incontro, Cesana riferisce che grazie alla campagna vaccinale:

“Secondo l’ISS, sono stati evitati 8 milioni di contagi, 500 mila ospedalizzazioni e 150 mila decessi. Che non è male, anche se le stime sono magari un po’ in eccesso, ma non è male lo stesso”.

Non è male se l’ISS, un’emanazione dello stesso Stato che ha vietato a suoi cittadini di lavorare e spostarsi senza che violassero alcuna legge, ha “stimato giusto”. Viceversa sono corbellerie.

Trovo inconsistente l’idea di stimare il numero di fatti non accaduti: se non esco di casa, non mi può cadere in testa un rotore di un aeroplano, come non possono farlo cento o mille rotori. Stimare l’occorrenza di avvenimenti che non sono accaduti è osteoporosi della ragione.

In calce al suo intervento, non posso dire se questo rifletta convinzioni personali di Cesana o sia stato un’analisi storica oggettiva che non necessariamente condivide e approva. Ciò che emerge da questa disposizione degli argomenti è che la medicina e la scienza sono strumenti (repressivi?) del potere, evoluti da un primitivismo cristiano un po’ pirla per approdare ad un’idea della libertà che si riduce a fare la cosa giusta. Giusta secondo chi? Secondo chi ha il potere.

Poche volte nella vita ho ascoltato descrivere il servilismo con tanta finezza, e la negazione oggettiva di tutti (tutti) i principi cristiani ridotti ad un coagulo di retorica passatista. Il fatto è che Cesana – che è un uomo in perenne equilibrio fra realismo e cinismo, tra salvezza e disperazione – descrive perfettamente la realtà dei fatti.

L’idea cioè che Scienza e Medicina, rigorosamente maiuscole, siano uno strumento repressivo del potere è un’idea no-vax, intendendo con l’infelice epiteto persone in maggioranza plurivaccinate (il sottoscritto ha in corpo una decina di vaccini oltre quelli d’ordinanza) che hanno prima sentito un forte odore di bruciato nella propaganda pandemica, e poi hanno compreso la gigantesca truffa in corso, patendo conseguenze non trascurabili sotto tutti i punti di vista. Gente che sottoscriverebbe in toto le affermazioni di Cesana, perché sono sgradevolmente esatte.

Cesana è libero di inocularsi ciò che vuole, com’è libero di reggere il sacco a chi vuole, ma come si concilia allora la sua posizione vaccinale con l’inno alla ribellione contro il sistema postulato da don Giussani, di cui Cesana è stato discepolo e assiduo frequentatore?

Non si concilia, ma non lo fa in un senso molto preciso: quello del camaleontismo di Talleyrand. Cesana e molti leader di Cl hanno sempre coltivato un’aurea mediocritas sia in seno alla Chiesa, sia nella società italiana.

Per la verità, la Chiesa stessa sembra aver capitolato di fronte al mondo rassegnandosi a far da megafono a idee altrui, al limite cavillando leziosamente su punti che un tempo erano invalicabili linee rosse: ricordiamo, ma è un esempio fra molti possibili, la “cooperazione remota al male” che giustificò l’impiego di linee cellulari da feti abortiti nella produzione di vaccini contro il Covid-19, sancita dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. 

I cattolici sembrano consegnati ad una tiepida irrilevanza. Altro che ribellione. Potenti, ma non troppo. Influenti con moderazione, culturalmente frastagliati, poco numerosi ma compatti. Morigerati nelle ambizioni, sempre attenti a non pestare i calli al potere vero. Critici accomodanti, dialogano focosamente fra loro ma mostrano senso della misura e deferenza davanti all’avversario ideologico, all’oppositore oggettivo, facendo molta attenzione a chi sale e chi scende nel borsino del potere.

È un approccio molto lontano dal mio sentire, ma non lo ritengo in sé e per sé immotivato. Sono disposto a riconoscere che abbia senso sotto il profilo politico e sociale: quando si guidano miliardi, o anche soltanto centinaia di migliaia di persone e, come gruppo umano, si è incastonati in una realtà più grande e complessa, è d’obbligo mantenere un profilo diplomatico e un registro medio ispirato a logiche oblique di cui non sono capace, ma delle quali riconosco la legittimità e la consistenza. Con una battuta, si potrebbe dire che non di solo pane vive l’uomo, ma anche di quello.

Posso allora intendere l’evocazione incendiaria del “ribellismo” giussaniano (“ogni porsi, è un opporsi”) come una mano tesa offerta ai dissidenti – una minoranza rumorosa di ciellini non ha ceduto all’Impero degli Atti d’Amore, e una molto più vasta fuori dal confortevole alveo di Cl – o come la proposta di guardare avanti tornando al passato (a Giussani, appunto), superando con uno svolazzo e una pacca sulla spalla l’abominio cui abbiamo assistito.

La mia obiezione a Cesana, e in fondo alla Chiesa in genere: non è sempre domenica, non si fanno le nozze coi fichi secchi. Il camaleontismo funziona sino a che le cose restano in una distribuzione normale (si chiama così anche in statistica) sul mercato della convivenza civile e delle opinioni. Quando diventano estreme, il cerchiobottismo lascia il tempo che trova e mina la credibilità personale e di ciò che si testimonia. Non siamo più testimoni, non siamo più martiri. Siamo diventati i laudatores del potere.

Il pensiero cristiano non separa la forma dalla sostanza: l’una è necessaria all’altra, l’una non esiste senza l’altra. Un rimedio imposto con mezzi brutalmente totalitari non può funzionare. Infatti non solo non ha funzionato, ma ha persino ucciso persone. Molte, moltissime.

Morire per una malattia è inevitabile – tutti muoiono per qualcosa – il discorso cambia, e parecchio, quando si muore per la stupidità e la follia umane. E passi l’avervi aderito in perfetta buonafede, magari, ma di fronte a certe evidenze non è possibile passare oltre: occorre ribellarsi, appunto.

È morta gente che ha creduto all’immensa trafila di balle raccontate dal potere politico e finanziario, che è stata costretta a vaccinarsi per non finire sotto un ponte, o lo ha fatto per non finire nella deprecabile cloaca degli untermeschen.

Questo un cristiano deve denunciare in tempi estremi, estremi non per volontà di un piccolo manipolo di dissidenti ma per imposizione brutale dall’alto.

Questo deve denunciare per piacere a Dio, non farfugliare parole altrui cui forse non si crede nemmeno più, ma che si tirano fuori dal cassetto per accalappiare quattro poveretti ancora innamorati di Cristo e di un vecchio prete brianzolo morto da tempo, illudendoli che i cattolici abbiano ancora la schiena diritta, abbiano ancora qualcosa da dire al mondo: questo è pattume motivazionale da congresso di venditori di aspirapolveri.

Da cattolico apostolico romano: se il papa dichiara e ribadisce che “vaccinarsi è un atto d’amore”, il papa sbaglia due volte. Non ha alcuna competenza in materia, suo compito è confermare i fratelli nella fede in Cristo, non nella Scienza o nella politica.

Sua Santità sbaglia malamente solo a toccare l’argomento, figuriamoci nel merito di ciò che ha detto e imposto in Vaticano. Fine dei discorsi. Si può dire, si deve dire. Con rispetto filiale e tutti i salamelecchi del caso, ma non si può fare a meno di dirlo. Se lo si deve e lo si può fare col papa, a maggior ragione si deve fare col resto del popolo cristiano e degli uomini.

La questione non è chi abbia avuto ragione e chi torto nel giudicare le inutili mostruosità giuridiche, sanitarie, economiche e persino religiose cui abbiamo assistito: è molto chiaro da che parte vada la realtà, riconoscerlo o meno è un problema di convenienza politica di cui sinceramente poco mi cale.

La questione è l’habeas corpus della verità, l’habeas corpus di ogni uomo, infine l’habeas corpus di Cristo stesso. Non ci si ribella a capocchia – Giussani non l’ha mai fatto – ma ci si ribella per affermare la realtà di Cristo, centro del Cosmo e della Storia. Il resto è fuffa.


Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente le opinioni del responsabile di questo blog. Sono ben accolti la discussione qualificata e il dibattito amichevole.


 

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