
di Michael Galster
Siegfrieden, traducibile in italiano con Pace dopo la Vittoria, è il termine usato dall’Impero Germanico nella prima guerra mondiale in contrapposizione a possibili negoziazioni di pace, puntando invece al prolungamento della guerra, nelle occasioni in cui le sorti della guerra sembravano favorevoli al Reich. Oggi, a novembre 2022, le sorti della guerra sembrano volgersi a favore dell’Ucraina, che non rischia più, come all’inizio del conflitto, di essere assoggettata alla Russia e perdere la sua libertà. E di nuovo compare il concetto di Siegfrieden, usando il termine Frieden/pace, per cercare la pace in modo paradossale sempre di più attraverso le armi e la morte.
Infatti, secondo Calenda, qualora si arrivasse oggi a un armistizio e alla negoziazione, questo equivarrebbe a una “resa degli ucraini”, in quanto questi dovrebbero rinunciare alla riconquista delle terre ucraine ancora occupate dalla Russia. Ma queste sono davvero solo e soltanto terre ucraine? O non sono magari anche le terre di chi ci abita? Gli abitanti di queste terre sono in gran parte, nel Donbass addirittura per la grande maggioranza, persone di etnia russa. Perché non chiedere mai a loro, ai diretti interessati cosa vogliono, come e dove vogliono stare? Nel 2014 l’allora presidente del consiglio italiano, Matteo Renzi, in occasione della Conferenza euroasiatica a Milano ha proposto di concedere l’autonomia alle regioni russofone del Donbas sul modello altoatesino in cambio del ritiro dei soldati russi. Mosca ha accolto positivamente la proposta, Kiev ha rifiutato in modo categorico, come ricordato anche durante l’anno in corso dallo stesso Matteo Renzi in un Podcast di Italia Viva. Così per otto anni nelle trattative di Minsk si è andati avanti a forza di rifiuti da parte di Kiev, fino alla recente proposta di Elon Musk che prevedeva l’organizzazione di referendum controllati da un ente indipendente come l’ONU. Di nuovo una reazione di rifiuto indignata da parte di Kiev.
Come noto, i governi ucraini da otto anni perseguono un progetto di pulizia etnico culturale che prevede l’istituzione di una nazione monoetnica, quindi la sparizione del gruppo etnico russo sul piano culturale, di una minoranza a cui si contesta il diritto di esistere. Questo fatto, in particolare il divieto dell’uso della lingua russa nella sfera pubblica, incluso il sistema educativo, attraverso la legge n° 5670-d del 2019 – ad esempio ai ragazzini russofoni oltre i dieci anni si nega l’insegnamento nella loro madre lingua – è stato denunciato da più parti, tra l’altro da Il blog di Sabino Paciolla (qui) . Soprattutto, nello stesso senso si è espresso a dicembre 2019 la Commissione Europea per la Democrazia attraverso il Diritto del Consiglio d’Europa, bocciando le leggi ucraine in merito e avvertendo dei pericoli correlati (qui) . Come sappiamo, la classe politica UE non ha tenuto conto di tali osservazioni e dei relativi suggerimenti, anche se formulati in modo chiaro ed esplicito. Purtroppo lo stesso Matteo Renzi non sembra aver ha insistito a promuovere la sua propria proposta.
Chiedere, come fa oggi Calenda, la continuazione della guerra per la riconquista dei territori occupati dai russi significa sostenere il piano ucraino di pulizia etnico culturale, il quale come non è difficile indovinare, difficilmente resterà limitato sul piano propriamente culturale. Si muove non solo in contrasto con le stesse raccomandazioni della Commissione Europea per la Democrazia attraverso il Diritto, ma anche in contrasto con la maggioranza degli italiani, i quali hanno ben compreso che qualcosa nella riduzione del conflitto alla “distinzione tra aggressore e aggredito e nient’altro”, perpetrata dalla narrazione dei media e di certi politici, tra cui il Carlo Calenda con le sue ataviche velleità da Siegfrieden, non quadra.
In Italia e nell’UE non c’è nessuno che giustifica l’aggressione della Russia all’Ucraina. Altrettanto c’è da augurarsi che non si cerchi la vendetta sanguinosa, di giustificare la continuazione della guerra oltre la legittima difesa, nel caso specifico, per realizzare il progetto di pulizia etnico culturale da parte del nazionalismo ucraino. Sostenere ora incondizionatamente l’Ucraina, sostenerla fin dove il suo governo “lo ritiene necessario”, come propone la “contromanifestazione” del 5 novembre a Milano all’Arco della Pace (!), è in netto contrasto con i valori fondamentali dell’Unione Europea. Mina dall’interno della nostra società gli stessi valori democratici che si dice voler difendere.
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